IL PIANO REGOLATORE DEL 1873 (Pianciani e Viviani)
ANTEFATTI
Alle ore
10 del 20 settembre 1870 l’esercito italiano
entra a Roma dalla breccia di Porta Pia. Tre giorni
dopo il generale Cadorna insedia la Giunta municipale,
presieduta dal duca M. Caetani.
Il 30 settembre la Giunta costituisce una Commissione
di 11 ingegneri e architetti “la quale si occupi
di progetti di ampliazione ed abbellimenti della città
per poi sottoporli all’approvazione della Giunta Municipale.”
La commissione sarà presieduta da
P. Camporesi, e ne farà parte tra gli altri l’ing. A.
Viviani.
Il 13 novembre 1870 si tengono le elezioni amministrative
per il Consiglio Comunale.
Il 1 luglio 1871 la Corte
si trasferisce al Quirinale.
Nel 1871
la popolazione residente nel Comune di Roma è di 244.484 persone. La superficie
del Comune di 203.350 ha (entro le mura 1470 ha circa,
di cui 400 edificati)
Il 28
novembre 1871 il Consiglio Comunale approva uno schema
di Piano che prevede l’espansione urbana soprattutto
verso est.
Il voto del Consiglio dà ragione a chi, come Q. Sella o Monsignor De Merode sostiene da tempo che la città debba
svilupparsi “verso l’altipiano orientale dove migliori
sono le condizioni igieniche, più piacevoli le viste,
più fermo e asciutto il suolo”. Banche piemontesi e genovesi, imprese
romane hanno investito su molti terreni in questa direzione.
In questa direzione, lungo via XX settembre, erano stati
localizzati, secondo le indicazioni di Q. Sella, i Ministeri
delle Finanze e della Guerra In seguito lungo la stessa
direttrice ne verranno localizzati altri (Agricoltura
e Foreste, Lavori Pubblici e Trasporti, Lavoro) ma altri
ancora saranno costruiti in parti diverse della città
(Grazia e Giustizia a via Arenula, Istruzione a Trastevere,
Marina a via Flaminia, Interni al Viminale).
Secondo
Insolera, nella polemica che inizia ora e “che tornerà
sempre nella storia di Roma moderna” se la città debba
espandersi ad est, oppure ad ovest, ovvero nelle due
direzioni , con l’approvazione dello schema
di Piano del 1871 i sostenitori dell’espansione ad est
riportano una vittoria. In realtà questa alternativa
è stata, nel corso di un secolo, fortemente “ideologizzata”.
E’ singolare che dei due autori che nel secondo dopoguerra
ne hanno parlato più diffusamente in relazione ai primi
due decenni post unitari, e cioè A. Caracciolo e I.
Insolera, il primo attribuisca all’espansione ad est
un carattere di conservazione “ . . . la direttrice
indicata [ da Q. Sella ] di estendere cioè la superficie
urbana verso la zona alta e ancora disabitata racchiusa
dalle mura verso oriente, è la più prudente e conservatrice
tra quelle in discusione” . Mentre il secondo, all’opposto,
consideri conservatrice la scelta dell’espansione ad
ovest e innovatrice quella ad est . In realtà queste interpretazioni
possono essere state influenzate dalle simpatie “politiche”
degli schieramenti di proprietari e imprenditori che
propugnano l’una o l’altra soluzione, in ragione degli
investimenti e delle speculazioni immobiliari alle quali
sono interessati.
Nel
1872 un gruppo di proprietari di terreni nella
zona dei Prati di Castello presenta un progetto
di massima per la costruzione di un nuovo grande quartiere,
che sarà al momento accantonato, ma tornerà nell’anno
successivo.
IL PIANO
REGOLATORE DEL 1873
18 ottobre 1873: approvazione
in Consiglio Comunale del Piano Regolatore elaborato dall’Ufficio d’Arte Comunale diretto dall’ing. Alessandro
Viviani. Il Sindaco è Luigi Pianciani.
Dimensionamento
e struttura
Il piano si riferisce al territorio
entro le mura (circa 1.500 ha) prevede nuovi quartieri
per poco più di 150mila abitanti su 278 ha e una zona
industriale di circa 28 ha (Testaccio). Gli ampliamenti
principali sono ad est, per quasi metà della crescita
demografica complessiva (48%) e ad ovest in riva destra
del Tevere per circa un quarto (23%). In realtà l’ampliamento
della città ad ovest (Prati di Castello) non è formalmente
inserito nel piano, bensì approvato come progetto esterno
al piano (sarà inserito, ampliato, nel piano del 1883).
Nelle zone già edificate si prevedono integrazioni o
completamenti (Trastevere, Gianicolo) per circa un altro
quarto dell’aumento di popolazione (26%); nell’area
di Testaccio, assieme alla zona industriale, si prevedono
nuove case per una quota molto piccola (3%).
In particolare gli ampliamenti
(in rosso nella mappa) e le rispettive densità
territoriali (stima) sono:
Nuovi
quartieri:
|
sup.
territ. |
abitanti |
densità |
|
(ha) |
(unità) |
(ab/ha) |
Terme-Via Nazionale |
11 |
6.000 |
545 |
Castro Pretorio |
40 |
22.000 |
550 |
Esquilino |
66 |
35.000 |
530 |
Viminale |
9 |
5.000 |
555 |
Celio |
9 |
5.000 |
555 |
|
8 |
4.000 |
500 |
Abitato esistente
(Trastevere, Gianicolo, ecc.) |
70 |
40.000 |
571 |
|
65 |
35.000 |
538 |
|
|
|
|
Totale |
278 |
152.000 |
546
ab/ha |
Rete
stradale
Poiché i nuovi quartieri circondano
la città storica, per spostarsi dall’uno all’altro
si prevedono arterie che la attraversano rendendo necessarie
molte demolizioni (in nero nella mappa).
Queste sono finalizzate solo all’attraversamento, non
a creare una diversa organizzazione dell’intero sistema
stradale urbano. Non c’è, nel piano del ’73 alcuna ispirazione
che venga dalle trasformazioni urbane che hanno caratterizzato
la scena europea negli ultimi venti anni. Non si guarda
né alla Parigi di Haussmann, né alla Barcellona di Cerda,
né alla Vienna del Ring.
Tra le principali demolizioni previste dal piano ed
effettuate negli anni successivi si ricordano quelle
di corso Vittorio, di via delle Muratte (parte), di
via Tomacelli, di via del Tritone, di via Arenula, di
via Cavour, di alcuni tratti dei Lungotevere.
Nella sua relazione al piano l’ing. Viviani dà grande
enfasi all’organizzazione di alcuni sistemi stradali
destinati a rendere “permeabile” la città storica,
vista come un “intricato labirinto di anguste vie”
da raddrizzare, collegare o disegnare ex novo per rendere
agevole il transito.
Vie
poligone che costeggiano le rive del Tevere
Sono alcune sequenze di strade esistenti in riva
sinistra del Tevere (di Ripetta, di Monte Brianzo e
Giulia) e in riva destra (Borgo S. Spirito, della Lungara
e Lungaretta) da rettificare e collegare tra loro.
Tra gli interventi proposti vi è quello di prolungare
via Condotti “che per una fortunata combinazione fa
capo al Ponte di S. Giovanni dei Fiorentini (sic !).
Si avrà così un rettilineo di 1.800 metri [più dei 1.500
metri di via del Corso dunque !] il quale ha punti singolari
di bellezza e di comunicazione” . Per ottenere un simile “rettilineo”
il piano prevedeva demolizioni da Via Zanardelli (realizzata)
fino a Via Paola e Via Giulia che avrebbero sventrato
Piazza S. Salvatore in Lauro e rovinato il tridente
“paolino” (fortunatamente non realizzate). In riva destra
del Tevere il piano prevede il prolungamento di via
della Lungara per congiungersi con via di S. Francesco
a Ripa e via della Lungaretta, da allargare, sventrando
piazza S. Maria in Trastevere e realizzando “una linea
quasi retta di oltre due chilometri”. Anche in questo
caso le demolizioni fortunatamente non sono state realizzate.
Arterie
principali longitudinali
In realtà si tratta del mero prolungamento, con
conseguenti sventramenti, delle tre strade “sistine”
- le vie di Ripetta, del Corso e del Babuino - che
“s’arrestano poi senza comode comunicazioni coi Rioni
Trastevere e Monti”. Alle arterie principali longitudinali
si aggiungono quelle “secondarie longitudinali”, tra
le quali basta citare il prolungamento di via dei Serpenti
fino al Colosseo (attuale via degli Annibaldi) per collegare
il centro al nuovo quartiere del Celio e, attraverso
“lo stradone di S. Gregorio e per la via di S. Paolo
rettificata” (attuale viale Aventino) al “quartiere
industriale di Testaccio”.
Da segnalare che nel grande
triangolo tra Porta S. Paolo, via Marmorata e piazza
Albania (attuale parco della Resistenza dell’8 settembre)
il piano prevede una edificazione compatta.
Arterie principali trasversali
Il Piano definisce altre strade “non
meno importanti che dovrebbero attraversarla [la Città]
nell’altro senso, e che completerebbero la grande rete
di circolazione”. In realtà anche in questo caso il
piano utilizza tracciati esistenti, ma li snatura cercando
allineamenti, ampliamenti e rettifiche ove il tessuto
storico era continuo e compatto. E ciò ottiene attraverso
un gran numero di demolizioni, fortunatamente realizzate
solo in parte. Sono previsti:
il
prolungamento di via del Tritone (realizzato)
fino a sfociare di fronte al Palazzo Chigi e di qui,
“correggendo” le vie degli Uffici del Vicario, della
Stelletta e dell’Orso (demolizioni non realizzate) fino
al previsto nuovo Ponte Umberto (realizzato) in asse
con piazza Cavour;
il
prolungamento di Via Nazionale fino al Palazzo Sciarra,
e di qui con ulteriori demolizioni per via dei Pastini
e Piazza del Pantheon, anch’essa da sventrare fino alla
chiesa della Maddalena. Demolizioni che, se realizzate,
avrebbero fatto impallidire quella della spina di Borgo
“per far posto alla vista della cupola di Michelangelo”,
pure prevista, iniziata dopo oltre 60 anni, nel 1936,
dal regime fascista e poi conclusa negli anni ’50 del
secondo dopoguerra.
Ancora, afferma Viviani, “una strada importantissima
per enorme transito è quella volgarmente chiamata la
via papale dal Gesù al ponte S. Angelo” cioè l ‘attuale
Corso Vittorio in gran parte realizzato secondo
le previsioni del piano.
Le larghezze delle strade nei nuovi quartieri sono indicate in: 12 m, 16 m, 18
m, 22 m, 25 m. Si indicano 30 m per i viali che circondano
i quartieri; 40 m per le passeggiate e i pomeri.
“Ma per le arterie da aprirsi o da migliorarsi nell’interno
dell’attuale abitato stimiamo che debba moderarsi il
desiderio di grandi ampiezze . . .” . Le strade all’interno della città
storica varieranno dai 12 metri (strade secondarie)
ai 15 o 16 (strade principali) e arriveranno ai 18 metri
nei tratti “riconosciuti di massima importanza”.
Quanto ai tipi edilizi il piano non li definisce, né in termini
generali né in relazione ai singoli quartieri o alle
loro parti. In genere i fabbricati che si realizzano
dopo il piano sono “case di affitto” di quattro
o cinque piani, più il piano terreno, che si erano andate
affermando dall’inizio del secolo e che avevano caratterizzato
l’espansione ottocentesca di Torino.
Sono tipi oggi ben visibili nei quartieri dell’Esquilino,
del Celio, di Castro Pretorio, di Prati di Castello,
sostanzialmente realizzati secondo le previsioni del
piano del ’73. In qualche caso, come lungo il perimetro
di piazza Vittorio, secondo la tradizione torinese e
settentrionale in genere, si sono introdotti i portici.
Il
piano di Viviani è dunque un piano di ampliamento
progettato senza riferimenti veri alle esperienze europee,
con una visione banale della città storica (“intricato
labirinto di anguste vie”), senza un’idea guida se non
quella di “rispondere alle esigenze delle comunicazioni”,
al più integrata da una attenzione alla “condizione
della pubblica igiene” che in molti casi resta però
una mera intenzione . Apparentemente il riferimento possono
essere gli sventramenti haussmaniani per la realizzazione
delle nuove arterie: ma a Parigi c’era un sistema e
un’idea della nuova città borghese da realizzare, alla
quale corrispondeva una strategia economico-finanziaria
per le trasformazioni. A Roma non ci sono né sistema
né strategia.
Sul significato del piano stesso l’ingegner Viviani e il sindaco
Pianciani non vanno d’accordo.
Per Viviani è uno strumento,
per così dire “facoltativo” molto duttile nelle mani
dell’amministrazione.
“Il piano regolatore quando sia con tutte le formalità di legge approvato,
non impone al Comune l’obbligo di generale esecuzione.
Questi è libero di costruire alcune delle sue parti,
se e quando amministrativamente gli convenga, entro
il periodo di venticinque anni, durante il quale l’utilità
pubblica è riconosciuta dalla legge sulle espropriazioni
in tal genere di opere . . .Che se meglio gli convenisse
lasciar decorrere il tempo e rinunciare a questa esecuzione
, il Comune è pur libero di farlo.”
I vantaggi di avere un piano regolatore approvato sono, per Viviani, due:
che i privati se vogliono costruire o modificare devono
attenersi alle linee del piano, e che il Comune può
procedere direttamente agli espropri “quando gli talenti
eseguire direttamente una via, una piazza, una parte
qualunque del piano regolatore”. Proprio “l’indefinito modo e tempo
di esecuzione” è il motivo per cui Viviani si ritiene
esonerato dal produrre qualsiasi stima dei costi relativi
alle opere del piano.
Al contario il sindaco Pianciani dà un valore assai più impegnativo
al piano, che afferma potersi completamente realizzare
nel termine dei 25 anni previsti dalla legge, anzi
“. . .in uno spazio di quindici anni siccome io vorrei, giacché affrettandosi
l’esecuzione di quei lavori si affretterebbero secondo
me i vantaggi che la Città nostra ha il diritto di aspettare”
.
Per il sindaco l’aspetto essenziale del piano è che nel suo insieme le
opere che esso prevede siano dichiarate di pubblica
utilità. Il vincolo così imposto alle proprietà “invece
di esserle dannoso [ alla Città ] le è utile, invece
di diminuirne il valore l’accresce . . . I proprietari
degli edifici, compresi nelle modificazioni da farsi
per i Piani Regolatori, hanno fatto in ogni luogo degli
stupendi guadagni.” Pianciani è convinto che il Comune
debba entrare attivamente nella realizzazione del piano,
acquisendo le aree dove dovranno sorgere gli edifici,
realizzando strade e sottoservizi e poi rivendendo le
aree ai costruttori. All’Esquilino egli inizia una operazione
del genere . Ma l’operazione non avrà buon esito.
Anzi di lì a poco gli insuccessi e i sovra costi nella
realizzazione di via Nazionale saranno fortemente criticati
dagli avversari di Pianciani che coglieranno l’occasione
per metterlo in minoranza.
Il nuovo sindaco Venturi, che succede a Pianciani nel luglio 1874, sospende
le iniziative di esproprio e non perfeziona l’approvazione
del piano. La delibera comunale non sarà mai inviata
al Re per il decreto. Il primo Piano di Roma non diventa legge.