Scheda 16
L’IMPATTO DEI MUTAMENTI NEI PROCESSI DI URBANIZZAZIONE
SUI PIANI TRADIZIONALI
Città contemporanea e strumenti tradizionali di pianificazione: aspetti critici
Le metropoli della terza rivoluzione industriale: tendenze strutturali considerate nelle precedenti lezioni:
- Arresto della crescita demografica e occupazionale (fig. 1, fig. 2)
- Cambiamenti nella base economica urbana: dalla produzione di merci alla produzione di servizi (v. scheda B)
- Emergere di nuovi stili di vita e domande sociali (cultura, ambiente, tempo libero)
Conseguenti cambiamenti delle trasformazioni fisiche urbane, dei temi rilevanti, degli obiettivi e degli strumenti dell’urbanistica.
- dal controllo della crescita alla promozione dello sviluppo sostenibile;
- dalla crescita quantitativa alla trasformazione qualitativa;
- dalla addizione al recupero della città esistente (Gabrielli, 1990, 1993);
- strumenti generali: dal Piano regolatore Generale tradizionale alla “nuova forma di Piano”;
-
strumenti attuativi: dai piani attuativi tradizionali ai programmi
complessi e ai progetti urbani; (v.
scheda 19)
- centralità dello spazio pubblico.
Qui di seguito si esaminano i fattori di crisi e la riformulazione di tre capisaldi metodologici degli
strumenti tradizionali. Il dimensionamento dei piani; gli “standard”
urbanistici; la zonizzazione (“zoning”).
Le origini del “proporzionamento” del Piano urbanistico comunale.
La domanda classica di Piccinato è “quanto deve essere vasta una città per contenere un dato numero di abitanti ?” (Piccinato, 1946) cui fa seguito la precisazione di Rigotti “Quanto devono essere vasti una città o un territorio per contenere una data popolazione avente o tendente ad avere un determinato stato collettivo e le attrezzature necessarie a mantenere o a raggiungere un determinato livello sociale ?” (Rigotti, 1952).
Il proporzionamento originariamente è definito in relazione
ad un modello urbanistico (quello “organico” in particolare); sue radici affondano nell’urbanistica
razionalista (Piano di Amsterdam, 1935
[1]
; Carta di Atene 1933- ’42, ed. Le C.).
Il tema centrale del dimensionamento sono le abitazioni e i servizi alla popolazione residente.
Il procedimento classico per il proporzionamento:
- si stabilisce il periodo di validità del Piano (in genere 25-30 anni);
- si effettuano proiezioni degli andamenti demografici recenti su tale arco temporale;
- si definiscono, attraverso indici tipizzati per funzioni e servizi, le superfici necessarie ad una città di popolazione pari a quella calcolata attraverso le proiezioni.
Il metodo del “proporzionamento” viene modificato nel tempo, perde progressivamente il riferimento a modelli di città e diviene mero calcolo dimensionale. Nella pratica corrente il “proporzionamento” diviene così “dimensionamento” e si identifica (soprattutto negli anni ‘50, ‘60 e ‘70 della grande crescita demografica) con il calcolo del “fabbisogno abitativo”.
Forme sofisticate di calcolo del fabbisogno abitativo, tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70, si servono di analisi della utilizzazione dello stock abitativo esistente per formulare previsioni che mettano in conto possibilità di una migliore distribuzione delle famiglie all’interno dello stock medesimo. (esempi di matrici di affollamento, S 15, figg. 125/128)
IL CASO DI ROMA:
Dimensionamento
dei Piani regolatori di Roma moderna:
-
1873 n.d.
-
1883 : Popolazione residente: circa 300.000 ab. Incremento
previsto al 1908: +150.000 ab;
-
1909: Popolazione residente: circa 500.000 ab. Incremento
previsto al 1934: +500.000 ab;
-
1931: Popolazione residente: 937.177 ab. Incremento previsto
al 1956: +1.000.000 ab;
-
1962: Popolazione residente: 2.247.532 ab. Incremento previsto:
+ 3.000.000 ab circa
Motivi di crisi:
- arresto della crescita demografica e soddisfazione dei fabbisogni abitativi primari mutano i termini della questione residenziale, non più centrale;
- la possibilità di previsioni su archi temporali ampi è ridottissima (la logistica della crescita urbana è nell’asintoto superiore, caratterizzato da lievi oscillazioni attorno a valori costanti);
- la domanda di Piccinato, anche nella formulazione di Rigotti non ha più senso perché la dimensione della popolazione (e dei posti di lavoro) urbana è stabile;
- la durata del Piano si articola nelle sue diverse dimensioni (operativa e strutturale) e quindi non è più definibile univocamente
Riformulazione: La domanda di Piccinato diventa: “Cosa
è trasformabile nella città, una volta stabilite le invarianti ambientali
e storiche, al fine di migliorarne efficienza, equità e bellezza?”. Il tema
del dimensionamento tradizionale non è più rilevante. Rilevanti divengono
invece la definizione delle caratteristiche dell’offerta formulata dal Piano
e il modo di gestire le trasformazioni e di controllarne gli effetti.
L’offerta del Piano non ha più al suo centro la residenza e i relativi servizi, bensì: tutela e valorizzazione del sistema storico-ambientale; accessibilità; diffusione e qualità dei servizi pubblici e privati; creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo delle nuove funzioni urbane. Il carattere del Piano non si definisce più in termini di quantità di nuova edificazione, bensì di qualità delle trasformazioni che esso promuove (Piano di “offerta”). Essenziali sono l'integrazione degli interventi con i sistemi di mobilità, e l'obbligo, per ogni nuovo intervento di contribuire a migliorare le reti dei servizi nel contesto urbano.
fig.1: Da "Roma, Parigi, New York, quale urbanistica per le metropoli?",
a cura di D. Cecchini, G. Hermanin, M. Talia, Roma, 1987
LA POPOLAZIONE DELLE CITTA' E DELLE
AREE METROPOLITANE DI ROMA, PARIGI E NEW YORK DAL 1800 AL 1980
fig.2
LA POPOLAZIONE DI AMSTERDAM
SECONDO I QUATTRO AMBITI URBANI DAL 1850 AL 1980
Significato generale del termine “Standard urbanistici”.
Definizione delle Zone Territoriali Omogenee (ZTO) e degli standard urbanistici minimi nel DM 1444/1968. Significato quali-quantitivo della norma e suo ruolo nella definizione dei Piani degli anni '70 e'80 (vedi Manuale di Ingegneria Civile e Ambientale, Zanichelli ed., 2006, pp U50/U52)
.
Il DM 1444 è una risposta al problema della crescita intensa e impone una riserva minima di aree per garantire i servizi pubblici essenziali.
Limiti della norma emersi via via nel tempo:
- insufficienza della dimensione quantitativa rispetto alle mutate esigenze: il caso dei parcheggi (insufficienze generali:L. 122/89 aggiunge 1 mq di parcheggi privati per ogni 10 mc di edificazione. Sovrabbondanze specifiche: contraddittorietà con politiche di sostegno al trasporto pubblico, caso del Comprensorio direzionale di Pietralata)
- insufficienza della dimensione qualitativa rispetto alle mutate esigenze: il caso degli standard ambientali (permeabilità dei suoli, rumore ecc)
- difficoltà gestionali: la riserva di aree nulla dice sulla effettiva realizzazione (verde attrezzato, scuole, attrezzature socio-sanitarie ecc.) e sulla effettiva acquisizione delle aree: questa viene delegata alle procedure espropriative
La questione degli espropri. L’esproprio come strumento basilare per l’attuazione dei Piani fino alla proposta Sullo e alla legge n. 167/1962. Conflitto con il regime proprietario. La disponibilità delle aree e il progetto urbanistico. Le sentenze della Corte Costituzionale, l’equo ristoro, la durata quinquennale delle destinazioni preordinate all’esproprio e il regime espropriativo attuale.
- 1865: legge su espropri per pubblica utilità: indennizzo pari al “giusto prezzo che avrebbe avuto in libera compravendita” [2]
- 1885: legge per risanamento Napoli: indennizzo paria alla "media tra valore venale e i fitti coacervati”.
- aprile 1968 decreto interministeriale n.1444 su Standard Urbanistici
- Novembre 1968 L. 1187 stabilisce durata quinquennale dei vincoli espropriativi
- 1971-1977 L. 865/71 e L.10/77 riconducono l'entità dell'indennizzo al valore agricolo medio, corretto da indici ad hoc
- 1980: sentenza n. 5 Corte costituzionale annulla 865/71 e 10 /77: si ritorna, con la L. 396/90 per "Roma capitale" alla disciplina del 1885
- 359/92 art. 5 bis conferma valore medio tra venale e dominicale
- 1999: sentenza n.179 Corte Costituzionale: vincoli reiterabili una sola volta, con indennizzo
La ricerca di soluzioni diverse da quella espropriativa per assicurare gli standard e garantire l’indifferenza dei proprietari al disegno del Piano e al Progetto urbano. La “perequazione urbanistica” e la “compensazione” (Gabellini, 2001).
Riformulazione: la qualità urbana non è garantita dagli “standard urbanistici”. La riserva di aree che essi stabiliscono è una condizione necessaria ma non sufficiente. Occorrono, affinché effettivi innalzamenti della qualità urbana siano possibili, nuovi strumenti.
Riferimento al nuovo PRG di Roma sia per l'alternativa all'esproprio (cessione delle aree attraverso la perequazione compensativa) sia per l'introduzione di altre forme di "standard ambientali" (rete ecologica, indice di permeabilità).
ZONIZZAZIONE (“zoning”)
Le origini: gli obiettivi funzionali, igienici e sociali nelle esperienze tedesche e americane della seconda metà del XIX sec. (Mancuso F., 1978).
La teorizzazione funzionalista nella carta di Atene (zoning come “necessaria distinzione delle diverse attività umane che reclamano ciascuna un proprio spazio particolare”) e la generalizzazione del suo uso nei piani di espansione.
L’enfasi di Piccinato e la critica di DeCarlo (Gabellini, p. 17-18).
Motivi di crisi:
- cambiamenti nella base economica rendono non più necessaria, spesso addirittura negativa, la separazione territoriale di attività e la individuazione di zone mono-funzionali;
- la unicità tipologica legata alla unicità di funzione rompe i tessuti urbani, e rende impossibile il controllo spaziale delle connessioni tra una zona e l’altra;
- la monofunzionalità delle zone crea quartieri dormitorio e zone industriali o di ufficio alienanti e diseconomiche
Riformulazione: mantenendo la possibilità-necessità di definire aree, perimetri ed ambiti all’interno dei Piani, occorre superare la monofunzionalità, promuovendo l’integrazione fra funzioni e attività diverse che possono coesistere all’interno delle stesse zone, spesso degli stessi edifici; articolare la disciplina di Piano per tessuti, più che per zone; agire con programmi di interventi fattibili, mirati al recupero e al riuso di strutture esistenti.
RIFERIMENTI AI TESTI
Gabellini P., Tecniche urbanistiche, Roma, 2001 (Parte del vol. è di riferimento per il laboratorio progettuale. V. Bibliografia)
Gabrielli B., Introduzione a K. Lynch, Progettare la città, Milano, 1990 (Il volume di Lynch, Parte II, è di riferimento per l’esame. V. Bibliografia);
Gabrielli B., Il recupero della città esistente, Milano, 1993;
Mancuso F., Le vicende dello Zoning, Milano, 1978
Piccinato L., La progettazione urbanistica, la città come organismo, Venezia, 1988 (1° ed., Roma, 1947)
Rigotti G., Urbanistica, la composizione, Torino, 1973 (1° ed., Toirno, 1953).
[1] Il Piano è fondato su ampi studi previsivi reltivi ad un orizzonte di 50/65 anni. Previsto un incremento da 750.000 (anno 1935) a 900/1.100.000 (anno 2000) abitanti; prevista la costruzione di 84.000 nuovi alloggi per famiglie di dimensione media da 3,74 a 3,37 componenti. (Vedi scheda Amsterdam, 1928-1935)
[2]
La legge sulle “Espropriazioni per causa di pubblica utilità”
(n. 2359 del 25 giugno 1865) fissa l’indennità espropriativa nel
“giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l’immobile in una
libera contrattazione di compra vendita” (art. 39) fissa la durata venticinquennale
(art. 87) dei piani regolatori di ricostruzione (art. 86) o di ampliamento
(art. 93) delle città e stabilisce, tra l’altro, l’obbligo dei privati
di “uniformarsi alle norme tracciate nel piano [regolatore]” (art. 89).
L’indennità espropriativa sarà modificata 20 anni dopo dalla
legge per il risanamento della città di Napoli (n. 2892 del 15 gennaio
1885) che la fisserà nella “media del valore venale e dei fitti coacervati
dell’ultimo decennio . . . in difetto di tali fitti accertati . . .sarà
fissata sull’imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui
fabbricati” (art. 13).