PRINCIPALI FASI DELLA TRASFORMAZIONE URBANA
 
 
 
  0 SCHEMA GENERALE
 
  1 FORMAZIONE DELLA CITTA INDUSTRIALE
    XIX secolo
 
  2

FORMAZIONE DELLE
AREE URBANE E METROPOLITANE

    1900-1970
 
  3

CITTA' DIFFUSA,
RIUSO E RIQUALIFICAZIONE

    1970 - OGGI
 
 
 

Scheda 10 Il Piano regolatore generale del 1962-'65 (e la sua vanificazione)

Negli anni del secondo dopoguerra la disciplina urbanistica che governa il territorio di Roma è formalmente ancora quella del piano del 1931, e dei numerosissimi piani particolareggiati e loro varianti che si continuano ad approvare [1] ; informalmente quella rivista dalla variante generale del 1942.
La lunga vicenda del nuovo piano regolatore generale che, secondo la legge urbanistica approvata nel 1942, dovrà riferirsi all'intero territorio comunale cioè a 150.670 ha , una estensione dieci volte più grande di quella del piano del 1931 o dei piani delle altre grandi città italiane, inizia il 12 ottobre 1951 con un ordine del giorno proposto dalla giunta Rebecchini e votato dal Consiglio comunale [2] . Il documento dà gli indirizzi per la redazione del piano: tutela del centro storico, anche trasferendo altrove funzioni direzionali; due direttrici di crescita a est verso i colli Albani e a sud verso il mare, per evitare la “macchia d'olio” indotta dal piano del '31; zone industriali concentrate tra le vie Tiburtina e Prenestina; aumento di verde e attrezzature sportive un po' ovunque.
Le complesse vicende successive, segnate dall'irrisolto e squilibrato conflitto tra le forze strettamente intrecciate dei costruttori e della speculazione immobiliare, e quelle del riformismo e della cultura urbanistica, sono state ampiamente narrate in altre sedi [3]. Qui si ricordano solo alcuni passaggi utili a comprendere i contenuti del piano regolatore generale che sarà adottato undici anni dopo.
Nel maggio 1954, dopo un ampio dibattito in Consiglio comunale che conferma gli indirizzi generali per il nuovo piano, vengono nominati una “grande commissione”, organo misto tecnico-politico, [4] e un comitato di elaborazione tecnica (CET) [5], incaricati di redigerlo.
Dopo tre anni e mezzo, nel novembre '57, il CET consegna il progetto del nuovo piano alla grande commissione che lo trasmette al Consiglio comunale. La struttura del piano è basata sulla crescita nel settore orientale, tra la via Salaria e l'EUR; sulla localizzazione in questo settore del grande asse attrezzato che collega l'autostrada del sole con l'EUR e lungo il quale sono localizzati i centri direzionali (Pietralata, Centocelle, Colombo, EUR); sulla tutela del centro storico, alleggerito di funzioni grazie al previsto spostamento dei ministeri nei centri direzionali.
Nel giugno del 1958 il Consiglio respinge il piano del CET e dà mandato alla Giunta di elaborarne una nuova versione. Redatta dall'Ufficio speciale nuovo piano regolatore [6] questa prevede un drastico ridimensionamento dell'asse attrezzato, lo spostamento della direzionalità sulla Colombo e all'EUR, la riduzione dell'espansione verso est e l'aumento verso sud e ovest. Le modifiche vanno in direzione opposta al progetto del CET: crescita isotropa sostenuta da una struttura viaria organizzata per cerchi concentrici. Il 24 giugno 1959 la nuova versione del piano è adottata dal Consiglio Comunale. Scattano le norme di salvaguardia che scadranno tra tre anni, il 24 giugno 1962.

Dopo le elezioni comunali del 1960 l'impossibilità di formare una Giunta stabile [7] induce alla nomina di un Commissario governativo. Nel novembre 1961 il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici emette un parere che impone di rivedere drasticamente il piano della Giunta. Il ministro Sullo nomina allora una commissione presieduta dal sub commissario Bianchi e composta da cinque urbanisti (Piccinato, Fiorentino, Lugli, Passarelli, Valori) per la revisione del piano. Il 9 giugno 1962, a quindici giorni dalla scadenza delle norme di salvaguardia, la commissione consegna la rielaborazione del piano che ora torna più vicino a quello elaborato dal CET cinque anni prima. Ma il Commissario Diana non firma l'adozione. Il 10 giugno si tengono le nuove elezioni amministrative; il 19 il Governo emana un decreto legge che proroga le misure di salvaguardia fino all'adozione da parte del Consiglio e comunque non oltre sei mesi. A luglio il nuovo Consiglio comunale elegge sindaco Glauco Della Porta che guida una giunta di centro sinistra. Da luglio a dicembre l'Uffico del nuovo piano regolatore rielabora il piano proposto dalla commissione dei cinque e, il 18 dicembre a sei giorni dalla scadenza dei termini, il Consiglio lo adotta. Esattamente tre anni dopo, il 16 dicembre 1965, con alcune modifiche tra le quali l'ampliamento del parco dell'Appia antica, il Presidente della Repubblica firmerà il decreto di approvazione.
La struttura del piano adottato dal Consiglio comunale è il frutto di numerosi compromessi e rispecchia sia alcuni elementi dell'impostazione del CET, e quindi di una cultura urbanistica riformatrice che punta ad un assetto nuovo della città, sia altri elementi tipici dell'impostazione tradizionale e conservatrice che aveva espresso il piano del 1931. Nella forte presenza di un sistema direzionale localizzato ad est, articolato in quattro comparti contigui (da nord a sud Pietralata, Tiburtino, Casilino e Centocelle) percorsi dal grande asse attrezzato che si congiunge a nord con l'autostrada del sole e a sud con la via C. Colombo dopo l'EUR, e che dovrebbe accogliere una edificazione assai rilevante (40 milioni di mc), si riconosce l'impostazione di uno sviluppo urbano non isotropo, orientato ad est e concentrato sul settore terziario-direzionale, cioè l'impostazione del CET e dell'urbanista più autorevole del tempo, Luigi Piccinato che è anche l'unico ad aver preso parte sia al CET sia al gruppo dei cinque. Ma la crescita residenziale, rappresentata nel disegno del piano dai “comprensori” che la vulgata urbanistica chiamerà, con una confidenza che è anche dileggio, “le patate gialle”, è localizzata soprattutto a sud, lungo quell'asse “imperiale” verso il mare nato già con l'E42 e che ritorna prepotentemente: qui si riconosce la mai sopita spinta a tornare alle impostazioni dominanti nel ventennio fascista. Nell'insieme la crescita residenziale (due milioni di abitanti) [8 viene distribuita per il 40% a sud, il 30% ad est, il 15% a nord e il 15% a ovest. Più che un piano “orientato” è uno sviluppo in tutte le direzioni i cui effettivi “pesi” saranno decisi solo dalle scelte attuative degli anni seguenti. Così la localizzazione di ampie zone industriali tra la Tiburtina e la Prenestina ripropone la soluzione CET, ma il piano adottato prevede anche una grande area industriale a cavallo della Pontina, al confine con Pomezia, in considerazione degli incentivi della Cassa per il Mezzogiorno.
Una certa attenzione alle aree verdi rispecchia battaglie condotte dagli urbanisti riformatori, ma il parco dell'Appia è invaso da “patate gialle”, anche se sottoposte a “progettazione unitaria”: sarà solo il decreto del Ministro Mancini, nel '65, a tutelare l'integrità del parco eliminando le previsioni edificatorie.

Dunque una struttura “ambigua” il cui destino dipenderà, come scriverà Piccinato stesso a due anni dall'adozione, dal “programma dei tempi di esecuzione che fa parte integrante del piano, che è, anzi il piano stesso”. Ed è proprio “il silenzio che ovatta una precisa impostazione per la realizzazione del grande sistema viario dell'asse attrezzato, che è la grande opera risolutiva del nuovo organismo” [9] a preoccuparlo.
Sull'asse attrezzato cade il silenzio, ma l'amministrazione è ben attiva sul fronte delle case e prepara il primo Peep, reso necessario dalla L. 167 che era stata varata il 18 aprile 1962 [10].
Il Peep, adottato dal Consiglio comunale il 26 febbraio 1964, ha dimensioni amplissime anche per una città che da oltre un decennio cresce ad un ritmo di 60.000 abitanti l'anno. Con una previsione di 712.000 stanze su 5.179 ha e 70 piani di zona è di gran lunga il più grande piano per l'edilizia economica e popolare varato in Italia [11]. Viene presentato con notevole enfasi come “un formidabile mezzo per condurre essa stessa (l'amministrazione), finalmente, la ristrutturazione e lo sviluppo della città su nuove basi tecniche, sociali ed economiche” [12. In realtà, già la semplice distribuzione delle previsioni per quadranti mostra che la sua concezione mira al mantenimento dell'impostazione tradizionale piuttosto che a quella riformatrice: nel quadrante sud è localizzato il 44% delle previsioni, in quello est il 28%, in quelli nord e ovest rispettivamente il 19% e il 9%. Anche il Peep guarda alla crescita verso il mare. In realtà i singoli piani di zona verranno approvati con molti anni di ritardo (l'unico in cantiere negli anni '60 è Spinaceto): per tutti gli anni '50 e '60 l'industria edilizia romana, assestata su una organizzazione tradizionale dei processi produttivi, su un forte intreccio tra rendita immobiliare e profitto di impresa, su tipologie edilizie ereditate dal piano del '31 (palazzine e intensivi) non è interessata a forme innovative di “produzione di città” e preferisce operare attraverso i piani particolareggiati ereditati da allora, la cui validità viene prorogata e che permettono di edificare con alte densità nelle zone D del nuovo piano regolatore.

Solo all'inizio degli anni '70, esaurita la riserva delle zone D, dieci anni dopo l'adozione e permanendo alta la domanda abitativa, si verifica una complessiva riorganizzazione del settore delle costruzioni romana e decollano i nuovi quartieri della 167. Quindici anni dopo, quando nel 1985 sarà varato il secondo Peep, le stanze realizzate del primo saranno 273.487, il 60% di quelle confermate dalle successive varianti [13 e solo il 38% di quelle inizialmente previste.
A venti anni dall'inizio del dibattito sul piano e a sei dalla sua formale approvazione, quando nel 1971 viene approvata la variante di recepimento del Peep, il piano risulta dimensionato per una città di 5 milioni di abitanti [14 e prevede la realizzazione di circa 3 milioni . di nuove stanze (712.000 nel Peep, 2,3 milioni nei comprensori di iniziativa privata). La sua struttura è quella già descritta, anche se nel '71 il “silenzio ovattato” denunciato nel '64 da Piccinato è divenuto fragoroso.
Il complesso sistema della zonizzazione introdotto dal piano è fondato su 29 tra zone e sottozone (v. legenda). Le prime due zone, A e B, riguardano sostanzialmente la città esistente: il centro storico (A) sottoposto ad una disciplina di conservazione e risanamento conservativo che dovrebbe tutelarne la morfologia ma non riuscirà a difenderne le funzioni, e la zona edificata dalla fine dell'Ottocento (B) suddivisa in sottozona B1, per la quale è prevista una disciplina di tutela più rigorosa (conservazione dei volumi, delle superfici e delle sagome esistenti) e B2 per la quale è ammessa la variazione delle sagome.
Le zone D, E ed F sono destinate sostanzialmente alla residenza: le zone D prevedono il “completamento secondo i piani particolareggiati in attuazione del piano regolatore del 1931, con tipi edilizi modificati”: in altri termini questa zona “trascina” l'attuazione del piano del '31 fino ai primi anni '70, permettendo di edificare con densità altissime e tipi edilizi modificati nel senso di un maggiore sfruttamento dei suoli e di una riduzione di spazi e servizi pubblici: sono queste le parti oggi più sofferenti della periferia consolidata. Le zone E sono riservate alla edificazione residenziale di iniziativa privata (E1 ed E2) secondo piani comprensoriali o convenzionati da redigere ex novo, o di iniziativa pubblica (E3). La zona F di “ristrutturazione urbanistica” raccoglie i nuclei edilizi e le borgate intorno alle quali si sono via via aggregati interi quartieri privi di effettiva struttura urbana che richiederebbero una “ristrutturazione” in realtà mai intrapresa [15].
Ugualmente ineffettuale la previsione relativa alla zona C, di “ridimensionamento viario ed edilizio”, nella quale sono collocate parti di città a ridosso del centro storico, utilizzate per attività industriali, artigianali, attrezzature, depositi, magazzini tipici della prima metà del secolo scorso. Di fatto la ristrutturazione, anche per nuove residenze con densità elevate (400-600 ab/ha), uffici o servizi privati, da definire attraverso piani attuativi non si è mai realizzata.
La zona G, che si articola in 5 sottozone (v. legenda), include tutte le aree di verde privato, prevedendo in qualche caso (G4) la possibilità di edificare case unifamiliari con giardino.
La zona H include l'agro romano in larga misura non vincolato (H1) e quindi edificabile in modo estensivo ma non irrilevante.
La zona I è destinata ai centri direzionali e ad edilizia speciale di tipo terziario: dovrebbe accogliere “la grande opera risolutiva del nuovo organismo [urbano]”.
La zona L è destinata ad accogliere impianti industriali classificati grosso modo secondo la dimensione
La zona M è destinata ad attrezzature per servizi locali o generali, pubblici o privati ed è articolata in 4 sottozone (v. legenda).
La zona N è destinata al verde pubblico.

La variante per il primo Peep non è stata l'unica variante generale importante. Negli anni '70 ne vanno ricordate altre due: quella adottata nell'agosto del 1974, essenzialmente di revisione delle norme tecniche di attuazione e quella adottata nel luglio del 1978, volta al recupero dei “nuclei abusivi”.
Con la prima [16] si prende atto del ritardo nell'attuazione dell'asse attrezzato: il “silenzio ovattato” domina ancora ed è fallito il tentativo dello “studio Asse” di promuoverne la realizzazione puntando sulle partecipazioni statali. Comunque, seppure ridimensionato drasticamente [17] l'asse è confermato come cardine strategico del piano. Vengono introdotte maggiori tutele per i tessuti edificati nelle zone A e B e si rende un poco più rigorosa la tutela di una parte dell'agro romano.
Con la seconda variante sono inseriti nel piano, istituendo una nuova zona “O”, i nuclei abusivi sorti nei primi anni del dopoguerra e cresciuti nei due decenni successivi. Al termine di un lungo percorso fortemente partecipato dalle organizzazioni che rappresentano gli abusivi e che ha visto il Comune, retto da giunte di sinistra, farsi promotore di una legge regionale in materia, la variante approvata nel 1983 include 77 [18] nuclei nei quali risiedono circa 250.000 abitanti e il cui completamento, da definirsi attraverso piani particolareggiati per il recupero urbanistico, dovrebbe rendere possibile l'insediamento di altri 150.000. Si conclude così una seconda tappa di quella “legalizzazione” ex post della crescita abusiva della città, iniziata nel ventennio fascista, che non sembra aver mai fine e che costituisce un tarlo corrosivo nella vicenda urbanistica della capitale.
Nel corso degli anni ‘80 la variante generale più significativa è per inserire il secondo Peep nel piano generale. Scaduto nell'84 il primo Peep, con la crescita demografica ridotta ad un decimo di quella dei due decenni precedenti ed in ulteriore calo [19], il nuovo piano delle zone adottato nel aprile 1985 e approvato nel marzo 1987, può limitarsi a localizzare 96.680 stanze/abitanti in 24 zone [20], con l'impegno a successive integrazioni fino a 120.200. La novità non è solo nella dimensione ridotta rispetto al Peep della grande crescita. I singoli PdZ saranno più piccoli (nessuno supererà 10.000 abitanti), con densità territoriale media inferiore a 100 ab/ha (contro i 138 ab/ha del primo Peep), con edifici più bassi (4/5 piani), evitando case in linea alte (8/11 piani) o torri; saranno orientati a formare tessuti e ad integrarsi con i quartieri circostanti anche colmando il loro deficit di attrezzature [21].
A metà degli anni '80 il dibattito intorno al secondo Peep, la conclusione nella primavera del 1985 dell'esperienza delle giunte di sinistra senza che si sia intrapresa una seria riflessione sul piano [22], il successivo dibattito sulla necessità di una nuova legge per la capitale, che verrà approvata dal Parlamento solo nel 1990, sono altrettante occasioni perché emerga una sempre più diffusa percezione del fallimento del piano. Percezione che diventerà dichiarata consapevolezza agli inizi del decennio successivo, nel corso del dibattito in Consiglio comunale sulle proposte di “programma degli interventi” per l'attuazione della legge 396/90 per “Roma capitale”. Fallimento di un piano rimasto formalmente in vigore più a lungo di qualsiasi altro, ma la cui efficacia rispetto agli obiettivi inizialmente dichiarati è stata inferiore a quella di qualsiasi altro. Un piano vanificato dalla sua stessa gestione.
Fattore decisivo della progressiva vanificazione è stata senz'altro la mancata realizzazione dell'asse attrezzato che avrebbe dovuto essere la vera “spina dorsale del sistema cittadino” [23].
Oggi possiamo dire che la sua stessa concezione peccava di gigantismo, si incardinava sul trasporto automobilistico privato sottovalutandone i futuri costi economici ed ambientali, e, affondando le radici in una storia iniziata già negli anni '20 con le proposte del Gruppo di Urbanisti Romani, concepiva una smisurata e demiurgica trasformazione dell'intero impianto urbano. [24]. E' certo comunque che il sistema imprenditoriale, amministrativo e tecnico-culturale che operava nella città era inadatto ad ideare concretamente, figuriamoci a realizzare, una impresa di questo tipo, come i numerosi tentativi, tutti coronati da insuccesso, hanno dimostrato [25].
Ma la progressiva vanificazione del piano del '62-'65 ha anche altre cause. L'espansione residenziale – vera origine della sua interminabile vigenza – è stata troppo a lungo dominata dalla costruzione intensiva nelle zone D che ha contraddetto le stesse norme del piano relative alle dotazioni di verde e servizi di quartiere, che pure erano state uno degli elementi qualificanti del piano e che sarebbero poi state riprese dalla legge “ponte” e dal decreto del 1968.
Antitetici al piano sono stati anche il lassismo nei confronti dell'abusivismo – proprio di tutte le amministrazioni dal dopoguerra all'inizio degli anni '90 – e il ritardo più che decennale con cui si è concretizzata l'offerta pubblica di abitazioni per le famiglie a reddito medio basso (primo Peep). Sicché può dirsi, paradosso tutto romano, che tra gli anni '60 e la metà degli '80 l'offerta legale e quella illegale di abitazioni destinate a queste famiglie abbia avuto lo stesso ordine di grandezza: circa 250.000 stanze. Nelle borgate, poi incluse nelle zone O del piano, sono mancate a lungo le opere di urbanizzazione secondaria (e molto spesso anche quelle primarie). Nei quartieri del primo Peep, anche se in genere migliori di gran parte delle borgate abusive, le aree per i servizi non sono state espropriate o lo sono state molti anni dopo il completamento delle abitazioni: i servizi reali sono arrivati lo con ritardi insopportabili. I decenni della grande crescita hanno creato una periferia destrutturata e priva di qualità urbana.
Altro elemento antitetico al piano è stata “l'infrastrutturazione interrotta”. Il piano del '62 è stato giustamente criticato per aver puntato tutto sulla viabilità e sul trasporto privato, trascurando il trasporto pubblico e in particolare quello su ferro ambientalmente più sostenibile, negli stessi anni in cui altre città europee si dotavano di reti metropolitane come prerequisiti per la crescita [26]. Ciononostante, ed è questo il secondo paradosso romano, la stessa rete viaria è rimasta incompleta e priva di connessioni. L'asse attrezzato avrebbe dovuto essere anche spina dorsale di un sistema viario che avrebbe dovuto garantire l'interconnessione tra i comparti residenziali. Questi, dotati di viabilità interna ma non di quella esterna di collegamento, sono rimasti isolati. Ciò ha aumentato molto il loro carattere di “recinti autoreferenziali”.
Dunque la gestione del piano del ‘62, prolungata per oltre quarant'anni, ne ha vanificato l'impostazione originaria. Il piano è stato “superato logicamente” [27], ma nel senso peggiore del termine. Il diffuso disagio, poi insofferenza, generati da un piano che aveva posto regole ma rinunciato agli obiettivi che avrebbero dovuto dar loro significato, ha fatto il resto. La gestione, contraddicendo il piano, si è fatta sempre meno comprensibile e trasparente. L'urbanistica è divenuta qualcosa di poco chiaro, spesso fonte di corruzioni: certo non in grado di dare ai cittadini una città migliore.
All'inizio degli anni '90 i tempi erano maturi per un cambiamento.

[1] La variante al piano particolareggiato n. 46 di Monte Mario era stata nel 1956 all'origine del processo Immobiliare-“Espresso” sulle denunce contenute in una serie di articoli significativamente titolati “Capitale corrotta-nazione infetta”.
[2] Secondo la L : 1150 il piano di Roma, come tutti i piani regolatori precedenti alla legge stessa, sarebbe scaduto il 1° settembre 1952. Proroghe successive, spostarono i termini al 1° settembre 1958
[3]I testi fondamentali della narrazione sono in Urbanistica nn. 27 e 28/29, 1960, e n. 40, 1964; I. Insolera, Roma moderna, un secolo di storia urbanistica 1870-1970 , Giulio Einaudi ed., Torino,1962, IX 1993; P. O. Rossi, Roma, guida all'architettura moderna , 1909-2000, Editori Laterza, Bari, 1984, III 2000; M. Sanfilippo, La Costruzione di una capitale , 3 Voll, Silvana Editoriale, Milano, 1992-1994
[4] Formato da 79 membri in rappresentanza di tutte le istituzioni locali e centrali, degli enti e organismi interessati al piano.
[5] Formato da Lenti e Marino (in rappresentanza dell' Ordine degli Ingegneri); Piccinato e Monaco (in rappresentanza dell' Ordine degli Architetti.); Quaroni e Muratori (in rappresentanza dell'INU); Nicolosi e Del Debbio (per le Facoltà di Ingegneria e di Architettura) e presieduto da assessore urbanistica (prima Storoni, poi D'Andrea) v. Insolera 93, p. 222)
[6] L'Ufficio era stato istituito il 20 marzo 1953
[7] Il Consiglio rielegge sindaco Urbano Cioccetti che però deve dimettersi nel luglio 1961
[8] Per la quinta volta il piano prevede il raddoppio della popolazione.
[9] V. L. Piccinato, Ancora Roma, in Urbanistica n. 40, 1964 .
[10] La legge è approvata mentre i cinque consulenti esperti erano da poco al lavoro e otto mesi prima dell'adozione del piano che tuttavia non ne tiene conto.
[11] Negli stessi anni Milano si dota di un Peep di 164.000 stanze, Torino di 170.000, Bologna di 160.000 (v. V. Erba, L'attuazione dei piani urbanistici , Edizioni delle autonomie, Roma, 1977, p. 71 sgg)
[12] V. P Samperi, “ Le caratteristiche urbanistiche e tecniche del Piano di Zona ”, in Urbanistica n. 40, 1964
[13] Le stanze confermate dalla successione di varianti, che hanno tenuto conto di vincoli, ritrovamenti archeologici ed altre circostanze di impedimento alla realizzazione, risultavano al 1985 pari a 463.710 (Camera di Commercio di Roma, Abitare la periferia, l'esperienza della 167 a Roma , Roma , 2007, p. 115)
[14]Al momento della adozione del piano non si formulano dati chiari sul suo dimensionamento. L'unico riferimento esplicito sono le indagini per il piano intercomunale che indicano per il quindicennio 1958/72 un incremento di 900.000 ab. e una popolazione residente nel comune di Roma al 1972 di 2.761.000 ab. (Informazioni urbanistiche p 123 e 127). Secondo dati pubblicati da Comune di Roma, Ufficio Speciale Piano Regolatore, Il piano per l'edilizia economica e popolare , Tipografia Operaia Romana, 1981 l e stanze effettivamente previste dal piano dopo la variante per il Peep del 1964 sono 5.392.000 di cui 2.378.000 esistenti, 2.340.000 previste nelle zone di espansione residenziale privata, 674.000 nel Peep.
[15] La possibilità di edificare le aree libere in tali zone secondo un indice di edificabilità di 1,5 mc/mq ha contribuito al loro completamento “lotto per lotto”, senza il ricorso a piani attuativi pure previsti dal piano, con livelli spesso sufficienti o addirittura buoni di qualità edilizia ma del tutto insufficienti quanto a qualità e dotazioni di spazi e attrezzature pubbliche locali.
[16] Redatta da una commissione composta da Borsi, M. D'Erme, P. M. Lugli, C. Nucci e M. Vittorini
[17] La previsione complessiva di edificabilità viene ridotta da 40 a 15 milioni di mc
[18] 9 nuclei passeranno alla amministrazione del Comune di Fiumicino al momento della sua costituzione
[19] Il censimento del 1981 ha descritto un comune di Roma con 2.840.259 abitanti cioè solo 58.266 in più rispetto al 1971. Nei due decenni precedenti la crescita era stata rispettivamente di 593.833 (anni '60) e di 536.406 (anni '50)
[20] In fase di adozione il secondo Peep localizzava 180.000 stanze in 41 nuove zone che venivano ridotte a 24 (per 96.680 stanze) in fase di approvazione definitiva (v. Camera di Commercio di Roma, 2007, p 118 sgg)
[21] V. Camera di Commercio, cit; Rossi, 200, p.343.
[22] L'esperienza era iniziata nel segno del “logico superamento” del piano del 1962-‘65 propugnato dal sindaco Argan, si era poi concentrata sull'immane lavoro per dotare le periferie, soprattutto quelle abusive, dei servizi primari e si era conclusa con l'adozione del secondo Peep e del secondo PPA.
[23] L'espressione è tratta dalle Conclusioni della Relazione del comitato di consulenza (Fiorentino, Lugli, Passatelli, Picconato, Valori) al Piano del giugno 1962, nelle quali si indicava anche uno “schema della successione dei tempi di esecuzione” che vedeva al primo posto, naturalmente, la realizzazione dell'Asse attrezzato. (v. Informazioni urbanistiche 1962, p.86)
[24] Quello stesso peccato originario che induceva, in quegli anni, una parte significativa della cultura urbanistica a architettonica a concepire il terziario e i centri direzionali come occasioni per imporre improbabili ( e inquietanti) segni macro architettonici ai tessuti urbani esistenti, salvo disinteressarsi allora e dopo, ai modi concreti in cui anche in altre esperienze europee si governavano i processi di localizzazione delle funzioni direzionali (v. C. Aymonino, . e P. Giordani, I centri direzionali , De Donato editore, Bari, 1967; F. Karrer, Terziario: il peso di una pianificazione impossibile, in Urbanistica n. 84, 1986
[25]E' anzi piuttosto stupefacente constatare come dopo un fallimento trentennale e il totale cambiamento delle dinamiche che avevano motivato l'idea iniziale, questa sia stata ancora difesa da alcuni nel momento del suo effettivo superamento.
[26] V. G. Campos Venuti, Il trasporto su ferro per trasformare le città. Roma a confronto con le metropoli europee , in Urbanistica n. 112, 1999
[27] V. D. Cecchini, Un piano mai esistito: appunti sulla gestione del PRG di Roma , in Urbanistica n. 84, 1986 e nota 22

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 
 

  Il Piano Regolatore Generale adottato il 18 dicembre 1962 approvato il 16 dicembre 1965. I centri direzionali lungo l'asse attrezzato e la via Cristoforo Colombo.
 

  La legenda del Piano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

   
 

   
 

 

 

 

 

Corso di URBANISTICA
Prof. Domenico Cecchini

Università degli studi di Roma
"La Sapienza"
Facoltà di Ingegneria