Stadi di sviluppo del sistema urbano italiano[1]

di Domenico Cecchini

 

 

 

 

Il modello generalmente noto come degli «stadi di sviluppo» o del «ciclo di vita urbano», formulato embrionalmente alla fine degli anni '70 negli USA per spiegare l'arresto della crescita demografica e manifatturiera delle grandi aree urbane (Norton, 1979) e messo a punto in Europa negli anni immediatamente successivi (Hall e Hay, 1980; Van den Berg et al., 1982), si fonda su un paradigma interpretativo che pone in relazione i successivi stadi di urbanizzazione - definiti in termini di tassi di variazione demografica delle città centrali e delle rispettive periferie (hinterland) - con le successive fasi della industrializzazione.

Secondo tale paradigma a ciascuno dei tre stadi di urbanizzazione finora succedutisi nelle economie industrializzate, e cioè il primo della «concentrazione urbana», il secondo della «crescita sub - urbana», il terzo della «de - urbanizzazione», corrisponde una specifica fase della industrializzazione e del progresso tecnico (Cafiero, 1988) [2]. Il connotato ciclico del modello deriva non tanto dai riferimenti originari alla teoria del ciclo del prodotto, quanto dal fatto che nella sua più compiuta formulazione esso prevede che al terzo stadio, quello della deurbanízzazione, faccia seguito uno stadio di riurbanizzazione; quest'ultimo sarebbe caratterizzato, pur in un quadro di stabilità o addirittura di lieve riduzione della popolazione urbana complessiva, da un aumento del peso demografico delle città centrali rispetto alle periferie analogo a quello verificatosi nel primo stadio di concentrazione urbana.

Altra proposizione essenziale del modello è che i passaggi da uno stadio al successivo ‑ ovvero dalla prima alla seconda delle fasi in cui ciascuno stadio è suddivisibile (v. prospetto a pag. 2) ‑ pur potendo avvenire in tempi e con velocità diverse in relazione alle diverse caratteristiche ed evoluzioni delle basi economiche, seguono di norma l'ordine stabílito: un'area urbana può passare dallo stadio della concentrazione urbana a quello della de - urbanizzazione anche saltando, o percorrendo in tempi rapidi, lo stadio della sub - urbanizzazione ma non può percorrere un cammino inverso.

Indagini successive (Camagni, 1986; Cheshire e Hay, 1989) hanno definitivamente chiarito la natura generale del modello, cioè il fatto che esso interpreta le tendenze prevalenti nella organizzazione spaziale dei sistemi urbani dei paesi industrializzati, ma non fornisce, né potrebbe, indicazioni univoche sulle performances delle loro basi economiche [3]; sono state avanzate, inoltre, motivate perplessità sull'effettivo carattere ciclico della evoluzione descritta dal modello (De Matteis, 1989): I casi reali di ri - urbanizzazione appaiono così limitati ed il fenomeno della gentrification di dimensioni così contenute da rendere molto incerta la previsione del passaggio dal terzo stadio della de ‑ urbanizzazione al quarto della ri – urbanizzazione [4].

Depurato da contenuti prescrittivo ‑ previsivi, il modello degli stadi di sviluppo può dunque essere considerato come un criterio sintetico di descrizione e comparazione delle fasi evolutive nelle dinamiche spaziali dei sistemi urbani di diversi paesi e di diverse regioni [5]. Esso inoltre consente la formulazione di ipotesi congetturali circa la collocazione di un sistema urbano in una determinata fase del processo di industrializzazione.

Entro tali limiti e secondo questo punto di vista si è svolta una applicazione del modello ai sistemi urbani italiani, che conferma e approfondisce alcune valutazioni formulate in scritti precedenti (SVIMEZ, 1987; Cafiero, 1988; Cecchini, 1988).

L'applicazione, i cui risultati sono esposti nel prospetto seguente, è estesa al decennio 1971‑81 ed ai successivi sei anni (1981‑87); si riferisce alle 33 aree urbane intercomunali dotate di città centrale [6] che, secondo la delimitazione al 1981, si estendono per oltre 32 mila Kmq e raccolgono 1.415 comuni con 30,9 milioni di abitanti.

 

                                   

 

 

Nel corso degli anni '70 la quasi totalità delle aree urbane italiane si collocava ancora nello stadio della sub‑urbanizzazione. Sole eccezioni l'area di Latina, in formazione, che si collocava nello stadio della urbanizzazione con concentrazione assoluta, e cinque aree settentrionali già nello stadio della de ‑ urbanizzazione: quattro, tra le quali la grande area urbana ligure di Genova e Savona, nella prima fase (de - urbanizzazione con decentramento assoluto) e una nella seconda (de - urbanizzazione con decentramento relativo).

Da segnalare che per la gran parte delle aree urbane meridionali, incluse due tra le maggiori (Bari e Palermo), il processo di sub‑urbanizzazione era, in questi anni, ancora nella fase iniziale caratterizzata da un tasso positivo di crescita delle città centrali, seppure inferiore a quello dei comuni periferici (sub‑urbanizzazione con decentramento relativo); solo l'area metropolitana di Napoli e l'area urbana di Catania si trovavano nella fase finale della sub‑urbanizzazione, contraddistinta da una riduzione assoluta di popolazione nella città centrale (sub‑urbanízzazione con decentramento assoluto). In tale fase si collocavano viceversa tutte le grandi aree urbane e metropolitane del Centro e del Nord, con le sole e comprensibili eccezioni dell'area romana e dell'area policentrico‑lineare‑diffusa Alto Adriatica (Ravenna‑Pescara‑Ancona).

Molto diverso il quadro emergente nel corso degli anni '80: ben tredici aree urbane, esclusivamente centro‑settentrionali, sono nello stadio della de‑urbanizzazione: nove nella sua fase «assoluta» e quattro in quella «relativa». Tra le prime si annoverano tutte le grandi aree urbane e metropolitane del Centro‑Nord tranne quelle a struttura policentríco‑diffusa del Nord‑Est (Verona‑Vicenza, Padova‑Treviso­Venezia e l'area Alto - Adriatica); tra le seconde la grande area ligure, e quelle minori di Trieste, di Alessandria e di Biella.

Diciassette aree, undici delle quali meridionali, permangono nello stadio della sub‑urbanizzazione: a Napoli e Catania, che già nel decennio precedente erano nella fase finale di tale stadio (decentramento assoluto) si sono aggiunte, tra le aree urbane meridionali, quelle di Pescara, Bari, Cosenza e Cagliari[7].

La comparazione statica tra i due periodi considerati conferma dunque quanto si è già osservato in altra sede: il sistema urbano del Nord è evoluto, nelle sue componenti principali e con la sola rilevante eccezione delle grandi aree policentrico‑dif fuse del Nord‑Est, dallo stadio della sub‑urbanizzazione a quello della de‑urbanizzazione; la realtà urbana meridionale è rimasta invece nello stadio della sub‑urbanizzazíone, pur evolvendo, in parte, dalla sua fase «relativa» a quella «assoluta».

Ulteriori considerazioni emergono dalla analisi dinamica dei passaggi delle singole aree da uno stadio al successivo. Delle 20 aree urbane centro ‑ settentrionali considerate, 12 sono progredite di una posizione: si tratta anzitutto delle grandi aree urbane e metropolitane che costituiscono il sistema Nord - occídentale (Torino, Milano, Emiliana, Ligure - Toscana e Firenze), passate dalla seconda fase della sub - urbanízzazione alla prima della de - urbanizzazione; dell'area ligure di Genova e Savona, che passa dalla prima alla seconda fase della de - urbanízzazione; delle due aree, di Roma ed Alto - Adriatica (Ravenna – Pesaro - Ancora), fra loro molto diverse quanto a struttura insediativa, ma accomunate dal passaggio dalla prima alla seconda fase della sub - urbanizzazione.

Altre cinque aree centro - settentrionali sono invece rimaste, per motivi diversi, nello stesso stadio evolutivo: nelle due grandi aree venete a struttura policentrico - diffusa il modello economico - territoriale ‑ caratterizzato da diffusione di piccole e medie industrie, da densità insediative non elevate negli hinterland, da marcata disponibilità (sia in termini di suoli utilizzabili che di modelli socio - culturali) alla prosecuzione della crescita urbana decentrata ‑ spiega la stabilità, anche negli anni '80, di incrementi demografici nei comuni periferici più che compensativi delle riduzioni nelle città centrali.

Delle altre tre aree urbane minori rimaste nella stessa fase evolutiva, due (Alessandria e Ferrara) si collocavano già negli anni '70 nello stato di de - urbanizzazíone e solo la terza, Perugia, rimane nella prima fase della sub - urbanizzazione.

Decisamente più statico appare il quadro urbano meridionale: su 13 aree urbane considerate solo 4 hanno compiuto, tra gli anni '70 e gli anni '80, un passaggio di fase: le due principali aree della direttrice adriatica, Pescara - Chieti e Bari, passate dalla prima alla seconda fase di sub - urbanizzazione, e due aree minori, Cosenza e Cagliari, le cui dinamiche insediative sono state caratterizzate da un notevole sviluppo edilizio dei comuni di prima corona: viceversa ben 7 aree urbane meridionali sono rimaste, negli anni '80, entro lo stesso stadio evolutivo in cui si collocavano nel decennio precedente, e per nessuna di esse, tanto meno per le due maggiori, Napoli e Catania, i motivi possono essere ricondotti alla stabilità di modelli policentrico - diffusi. E’ inoltre significativo che soltanto Palermo tra tutte le grandi aree urbane nazionali abbia registrato, ancora nel corso degli anni più re - centi, tassi di crescita demografica tipici della prima fase di sub - urbanizzazione, e che per due aree urbani minori, Messina e Lecce, si sia verificata la retrocessione da questa fase a quella precedente (urbanizzazione con concentrazione relativa): fenomeno, quest'ultimo, che appare contraddittorio con lo schema teorico degli stadi di sviluppo.

Anche secondo questo punto di vista, dunque, i mutamenti in corso nella organizzazione degli spazi urbani e metropolitani, in particolare i rapporti fra crescita o riduzione delle residenze nelle città centrali e nelle periferie, assumono connotati diversi nel Sud e nel Nord del paese. La popolazione urbana, che nel Mezzogiorno continua ad aumentare a ritmi sostenuti, seppur decrescenti, si distribuisce nel territorio urbano secondo schemi di progressiva saturazione di corone concentriche attorno alle città centrali, o di direttrici radiali, tipici dello stadio della sub - urbanizzazíone. La affermazione di modelli insediativi meno densi ed accentrati, corrispondenti ad uno stadio più avanzato delle trasformazioni urbane, potrebbe contribuire al miglioramento delle condizioni residenziali, e soprattutto della mobilità e della efficienza delle reti urbane. E’ forse inutile ricordare che un obiettivo di questo tipo, essenziale ai fini della riqualificazione dei sistemi urbani meridionali, non è certo perseguibile attraverso una indiscriminata moltiplicazione di infrastrutture stradali negli hinterland urbani: non diversamente dagli altri obiettivi propri di una politica di riqualificazione urbana, esso richiederebbe la definizione e la applicazione di criteri coerenti e di strumenti efficaci di governo del territorio.

 

 

 

 

 

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Berg, L. van den, et al., Urban Europe, a Study of Growth and Decline, London,1982.

Berry, B.J.L., Migration Reversals in Perspective: The Long‑Wave Evidence, in «International Regional Science Review», Vol. 11, n. 3, 1988.

Bonavero, P., Flussi di comunicazione e interazione fra città, Relazione presentata al Seminario internazionale «Effetto città. Sistemi urbani e innovazione: prospettive per l'Europa alle soglie degli anni '90», Fondazione G. Agnelli, Toríno, 1989.

Cafiero, S., Il ruolo delle città per lo sviluppo, in «Rivista economica del Mezzogiorno», n. 1, 1988, ora in “Tradizione e attualità del meridionalismo”, Roma, 1989.

Camagni, R., Onde innovative e distribuzione del reddito nel ciclo di vita delle città, in M. C. Gibelli 1986.

Cecchini, D., Le aree urbane in Italia: scopi, metodi e primi risultati di una ricerca in «Rivista economica del Mezzogiorno», n. 1, 1988.

Chesire, P. C., Hay, D.G., Urban problems in Western Europe, an economic analysis, London, 1989.

Cochrane, S.G., Vining, D.R. jr, Recent Trends in Migration Between Core and Peripheral Regions in Developed and Advanced Developing Countries, in «International Regional Scienee Review», Vol. 11, n. 3 > 1988.

De Matteis, G., Città reticolare vs. città areale, Relazione al Convegno AISRe «I sistemi urbani tra concentrazione metropolitana e struttura policentrica», Milano, 12‑13 gennaio 1989.

Ewers, HJ., Goddard, J.B., Matzerath, H., The Future of the Metropolis ‑ Berlin, London, Paris, New York: Economic Aspects, Berlín ‑ New York, Walter de Gruyter, 1986.

Hall, P., Hay, D., Growth Centers in the European Urban System, London,1980.

Norton, R.D., City Life‑Cycles and American Urban Policy, Academic Press ‑ New York, S. Francisco, London, 1979.

SVIMEZ, Rapporto 1987 sull'economia del Mezzogiorno, Bologna, 1987.



[1] Testo pubblicato in “Rivista economica del Mezzogiorno”, a. III, 1989, n. 4

 

[2] Il paradigma, ormai sufficientemente noto, può essere così schematizzato: al primo stadio, quello della «concentrazione urbana», corrisponde una fase di industrializzazione fondata sull'utilizzo di grandi quantità di materie prime, energia e forza di lavoro per unità di prodotto; gli elevati costi di trasporto richiedono la contiguità di tali fattori, e ciò dà luogo alla agglomerazione urbana di impianti, servizi e residenze. Nel prospetto e nello schema teorico, in questo stadio si distingue una 11 fase (concentrazione assoluta) in cui alla crescita della città centrale concorrono anche le periferie che perdono popolazione, ed una 2' fase (concentrazione relativa) in cui l'intensificarsi delle spinte agglomeratìve e della emigrazione dalle campagne induce un aumento della popolazione anche nelle periferie, seppure ad un tasso inferiore a quello della città centrale.

Al secondo stadio, quello della «sub‑urbanizzazione» corrisponde la fase Tayloristica della industrializzazione caratterizzata da nuovi processi e nuovi prodotti (catena di montaggio, produzione di serie, beni di consumo durevoli ecc.) per i quali sussistono o addirittura si accrescono le convenienze agglomerative, ma che richiedono quote crescenti di suoli per la produzione e lo stoccaggio; lo sviluppo delle reti e delle tecniche di trasporto (dalle prime metropolitane in elevazione alla motorizzazione privata) rendono convenienti localizzazioni sia produttive che residenziali in aree periferiche, ove si cumulano i vantaggi della prossimità al centro e della disponibilità di spazi. In questo stadio la popolazione delle aree urbane continua a crescere: molto intensamente nella 31 fase (decentramento relativo) durante la quale alla forte crescita periferica si aggiunge quella, pur in progressiva riduzione, delle città centrali; meno intensamente nella 4~ fase (decentramento assoluto) durante la quale la crescìta perife­rica compensa la riduzione assoluta delle residenze nelle città centrali.

Al terzo stadio, quello della «de‑urbanízzazione», corrisponde la fase di industrializzazio­ne ormai generalmente nota come «terza rivoluzione industriale», i cui effetti di decentra­mento degli insediamentí industriali e delle residenze e di conversione delle funzioni urbane sono ben noti. in questo stadio la popolazione delle aree urbane cessa di crescere, diminuendo ad un tasso contenuto nella 51 fase («decentramento assoluto») quando la ridotta crescita pe­riferica non compensa più le perdite di popolazione delle città centrali e ad un ritmo più so­stenuto nella 6 a fase Ndecentramento relatívo») durante la quale anche le periferie perdono popolazione.

 

[3] Come sinteticamente ricordano Chesbire e Hay, sì possono dare processi di decentra­mento «healthy» o «pathological» (Chesire e Hay, 1989, p. 30); in merito v. anche Ewers e al

1986, Parte Il (Changes in tbe Spatial Structure ofEconomic Activity Duiing the Last D1111S and the Metropolis) e Camagní, 1986.

[4] Il tema, di grande rilievo non solo sul piano teorico, è comunque oggetto di un attento dibattito fra geografi e demografi. V. in proposito i saggi raccolti in «International Regional Science Review», vol. 11, n. 3, 1988 ed in particolare Cochrane e Vining jr., 1988 e Frey, 1988.

[5] Non sarebbe certo questo l'unico caso, nell'ambito delle discipline econornico‑territoriali, di una teoria che, elaborata per spiegare trasformazioni in atto e prevederne gli esiti, dimostratasi poco efficace sotto il profilo previsionale, si è poi consolidata come strumento analitico per la descrizione di processi strutturali. Esemplare, in questo senso, è la storia della teoria della «base economica».

[6] Per la delimitazione delle aree v. Cecchini, 1988. Nella applicazione si sono escluse sei aree per le quali non è stato possibile individuare la città centrale: per quattro, costituite da un solo comune (Piacenza, Terni, Foggia e Catanzaro) ciò avrebbe richiesto la elaborazione di dati sub‑comunali; per due, a struttura diffusa (area di Bassano e area Medio‑Adriatica), i criteri di delimitazione utilizzati non individuano città centrali. Un esercizio condotto attraverso la definizione di due città centrali «virtuali» (Bassano per l'area omonima e S. Benedetto d.T. per l'area Medio‑Adriatica) ha comunque posto in chiaro che le due aree si collocherebbero, in entrambi i periodi considerati, nello stadio della sub‑urbanizzazione con decentramento relativo: la popolazione aumenterebbe sia nelle città centrali che nei comuni periferici, e in questi ultimi ad un tasso più elevato che nei primi.

Per le aree di nuova formazione al 1981 e dotate di città centrali (Pordenone, Latina e Lecce) si è preferito, onde evìtare ulteriori esclusioni, considerarle come esistenti, con la stessa delimitazione e struttura, anche al 1971.

In generale, poiché la teoria considera un unico «core» per ciascuna area urbana, i calcoli i cui risultati sono esposti nel prospetto dì pag. 2 si riferiscono alle città centrali indicate nelle Tabb. Al e A2, e considerano i «poli urbani» come facenti parte delle «periferie» (cioè degli «altri comuni») di ciascuna area. Tali risultati, tuttavia, non muterebbero se non per le aree di Firenze e di Napoli, nel caso in cui i «poli urbani» fossero considerati come parti del «core». In tal caso, mentre la collocazione e la dinamica di tutte le altre aree resterebbero invariate, Firenze e Napoli si collocherebbero nello stadio di sub‑urbanizzazione con decentramento relativo negli anni '70; l'area di Firenze passerebbe poi allo stadio di de‑urbanizzazione con decentramento assoluto negli anni '80, mentre quella di Napoli resterebbe nello stadio di sub - urbanizzazione, seppure con decentramento assoluto.

[7] Deve segnalarsi che per tre aree urbane minori, Trento, Messina e quella, in formazione nel decennio precedente, di Lecce, si verifica il percorso inverso dalla sub‑urbanizzazione alla urbanizzazione, escluso dal modello teorico.