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FORMAZIONE DELLA CITTA'
INDUSTRIALE
XIX secolo |
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SCHEDA
- A
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LE TEORIE CLASSICHE DI LOCALIZZAZIONE
DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE |
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La teoria di Von Thunen |
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L'avvio delle teorie classiche di localizzazione delle
attività produttive nel territorio si fa in genere risalire all'economista
tedesco Von Thunen (opere principali: 1826-1863) che elaborò, intorno
alla metà del XIX° secolo, una teoria delle localizzazioni delle
produzioni agricole [1]. La spiegazione della
distribuzione di tali attività sul territorio fu ricondotta da Von
Thunen alla distanza dal mercato di vendita dei prodotti agricoli
(di solito un centro urbano) ed ai connessi costi di trasporto.
Secondo l'economista tedesco le diverse produzioni agricole si distribuirebbero
in fasce circolari con al centro il mercato urbano. Nelle fasce
ad esso più vicine si localizzerebbero le produzioni in grado di
"pagare" una rendita più elevata grazie alla riduzione dei costi
di trasporto resa possibile dalla prossimità al mercato, e nelle
fasce via via più esterne quelle in grado di pagare rendite via
via minori (cioè quelle per le quali il risparmio sui costi di trasporto
determinato dalla riduzione della distanza dal mercato è progressivamente
meno significativo). In questo modello estremamente semplificato,
la variabile essenziale nel determinare le localizzazioni produttive
(agricole) è dunque costituita dai costi di trasporto ed è la riduzione
di tali costi a generare la rendita. |
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Rendita e localizzazione di tre produzioni agricole:
il modello di Von Thunen
(da R.Camagni; 1992, p.79)
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E' significativo che il primo tentativo di elaborare una vera e propria
"teoria delle localizzazioni", da cui deriva anche una teoria della
rendita, sia connesso all'agricoltura ed ai mercati urbani: i due
luoghi nei quali si registrano i maggiori impatti della prima rivoluzione
industriale nella sua fase nascente [2]. |
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La teoria delle localizzazioni industriali di
A.Weber
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È con A. Weber, all'inizio del XX° secolo, che il problema della
localizzazione industriale viene affrontato in forma sistematica,
e nasce una prima, compiuta teoria della localizzazione industriale.
Quando Weber pubblica il suo trattato, "Teoria della localizzazione
industriale" il problema cruciale è quello di spiegare la straordinaria
rapidità ed intensità dei processi di agglomerazione degli impianti
industriali intorno ai principali centri urbani. La tumultuosa formazione
delle immense periferie industriali tedesche lo colpisce non meno
di quanto, poco più di cinquant'anni prima, il giovane Engels era
stato colpito dalla straordinaria concentrazione di attività, commerci,
poteri e profitti attorno ai docks dell'East-end londinese.
Weber si pone il problema del perché un'impresa - o meglio un impianto
industriale - si sposti da un luogo all'altro: in termini più generali,
di quali siano i fattori che determinano la scelta, da parte di
una impresa, di una determinata localizzazione sul territorio.
Per fornire risposte sufficientemente generali a tali quesiti, Weber
introduce alcune definizioni e semplificazioni.
In primo luogo Weber definisce:
- il "fattore localizzativo" come "il vantaggio che si ottiene quando
una attività economica si colloca in una località piuttosto che
in qualsiasi altro luogo. Un vantaggio è il risparmio nei costi,
cioè la possibilità per l'impresa di produrre un determinato prodotto
a minor costo, in quella località piuttosto che altrove, ovvero
di svolgere l'intero processo produttivo e distributivo a prezzi
minori in un luogo piuttosto che in un altro" [3].
- il "fattore agglomerativo, o deglomerativo" come "il vantaggio,
cioè una riduzione del costo di produzione o di commercializzazione
causato dal fatto che l'attività produttiva si svolge in misura
rilevante in uno stesso luogo, mentre un fattore deglomerativo è
una riduzione del costo di produzione che deriva dal decentramento
produttivo (l'attività produttiva si svolge in più luoghi)" [4].
In secondo luogo precisa che: "Occorrerà sempre paragonare i vantaggi,
così come sono rappresentati dai fattori localizzativi, in relazione
allo stesso prodotto; è infatti solo la produzione di uno stesso
prodotto a costituire una unità in relazione alla distribuzione
spaziale di cui si può parlare con sufficiente precisione". In altri
termini, in Weber e nella "teoria classica" il problema localizzativo
è analizzato rispetto ad una singola unità di produzione, ovvero,
come si direbbe oggi, ad imprese un impianto - un prodotto.
In terzo luogo Weber definisce una prima classificazione generale
dei fattori di localizzazione distinguendoli in:
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Fattori localizzativi generali o specifici:
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generali, quelli che agiscono indipendentemente dal
tipo di industria e quindi per tutte le industrie;
specifici, quelli che agiscono solo per alcune industrie
( solo per l'industria tessile o dell'abbigliamento ecc.).
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Fattori localizzativi regionali o agglomerativi:
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regionali, quelli che attraggono l'impresa in una "regione"
determinata geograficamente, dando luogo ad una struttura di
localizzazioni industriali;
agglomerativi, quelli che spingono l'impresa a concentrarsi
in determinati punti all'interno della struttura regionale.
Ad esempio: i differenziali nei costi di trasporti; o i divari
regionali nel costo del lavoro, che possono attrarre un'impresa
in una regione (fattori regionali); un più economico uso degli
impianti o la prossimità con strutture commerciali possono concentrare
l'impresa in un'area (fattori agglomerativi).
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Fattori naturali e tecnici, o sociali e culturali:
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naturali e tecnici quelli che derivano da condizioni
naturali (clima, geomorfologia, ecc.) o da loro modificazione
operate dall'uomo (tipicamente le reti infrastrutturali, ecc.);
sociali e culturali quelli che derivano da particolari
abitudini, tendenze culturali, ecc.
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Tra tutti questi fattori Weber considera, nella teoria, solo quelli
generali, regionali o agglomerativi: quelli "specifici non potrebbero
far parte di una teoria generale; quelli naturali - tecnici o sociali
- culturali o sono integrabili nella teoria, in sede applicativa
(es: le infrastrutture di trasporto) oppure costituiscono fattori
distorcenti". In altri termini la "teoria classica", nata tra la
prima e la seconda rivoluzione industriale sotto lo shock della
formazione delle grandi agglomerazioni urbane e metropolitane, non
può che assumere queste formazioni territoriali straordinarie e
del tutto nuove, come "derivanti" da quelle convenienze localizzative
che la teoria stessa intende spiegare.
Fatte queste semplificazioni, Weber, attraverso una analisi assai
dettagliata del processo di produzione industriale individua come
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FATTORI DI LOCALIZZAZIONE (generali-regionali)
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- il COSTO DEL TRASPORTO
- il COSTO DEL LAVORO
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FATTORI DI AGGLOMERAZIONE
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- quelli INTERNI AD UN IMPIANTO (tecnici, organizzativi, di
mercato);
- quelli ESTERNI ALL'IMPIANTO ma pur sempre di natura industriale
(e quindi tecnici, organizzativi, di mercato);
- quelli DI URBANIZZAZIONE (cioè di natura non industriale,
ma aventi effetti sull'industria).
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Come agiscono, ciascuno di questi fattori assunti prima singolarmente
e poi nel loro insieme ?
La risposta offerta dalla teoria di Weber conserva ancor oggi un valore
metodologico esemplare; nel corso di quasi un secolo dalla sua prima
formulazione, è stata fertile di applicazioni e sviluppi. Naturalmente
essa appare oggi superata in virtù delle trasformazioni occorse nei
sistemi di produzione e nella organizzazione territoriale: quelle
"immense agglomerazioni urbane" che si stavano allora formando sono
oggi il paesaggio "normale", e, per rispondere alla terza rivoluzione
industriale, si sono costituite in reti urbane globali e gerarchizzate;
quelle imprese un impianto - un prodotto, spiazzate dai mercati globali,
sono scomparse o divenute marginali. Di come tutto ciò abbia condotto
a formulazioni teoriche nuove si darà conto più avanti. |
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IL COSTO DEL TRASPORTO
L'impresa un impianto - un prodotto tenderà a localizzarsi in modo
da ridurre i costi di trasporto. Supponendo, in una ipotesi elementare,
che siano definite due località di approvvigionamento delle materie
prime (A' e A'') e una località di mercato dei prodotti (M), l'impianto
tenderà a localizzarsi all'interno del triangolo ideale con vertici
le tre località, in posizione (P) tale da minimizzare i costi di trasporto.
Il punto P di localizzazione è determinabile una volta note le quantità
di materie prime (inputs) che devono essere trasportate da A' e A"
a P e le quantità di prodotto (outputs) che devono essere trasportate
da P a M. Tali quantità possono essere espresse in termini vettoriali;
applicando i vettori all'orto-centro (O) del triangolo e calcolando
la risultante si ottiene facilmente il punto P di localizzazione ottima
rispetto al fattore costo di trasporto. La figura così determinata
viene definita "figura di localizzazione". |
Figura di localizzazione
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IL COSTO DEL LAVORO
Una volta determinata la localizzazione in funzione del costo del
trasporto, occorre valutare l'incidenza del costo del lavoro. Anche
in questo caso l'impianto tenderà a localizzarsi ove esso è minimo.
Ma, in linea di principio, la localizzazione ove il costo di lavoro
è minimo (L) non coinciderà con quella ove è minimo il costo del trasporto
(P). L'esigenza di ridurre il costo del lavoro interagirà con la "figura
di localizzazione", e, a certe condizioni, potrà modificare la localizzazione
dell'impianto. Quali sono tali condizioni?
"Una localizzazione può essere spostata dal punto di costo minimo
di trasporto (P) in una localizzazione di lavoro più conveniente (L)
solo se i risparmi nel costo del lavoro che la nuova localizzazione
rende possibili sono maggiori dei costi addizionali di trasporto che
essa richiede (costi di deviazione)" [5].
Ora, intorno a ciascuna figura di localizzazione è possibile tracciare
delle linee, definite da Weber "isodapane", cioè "linee dello stesso
costo", luogo dei punti nei quali il costo addizionale di trasporto
che l'impianto dovrebbe sostenere, se vi fosse localizzato, è lo stesso.
Ad esempio (v. figura) è possibile tracciare la linea dei luoghi ove
il costo del trasporto aumenterebbe del 5%, rispetto a quello minimo
sostenuto in P, quella ove aumenterebbe del 10% e così via. |
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ISODAPANE
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Tra le varie "isodapane" individuabili intorno a P
ne esisterà una ( che Weber definisce "isodapana critica") definita
dai luoghi trasferendosi nei quali l'impresa dovrà sostenere costi
di trasporto addizionali rispetto a quelli che dovrebbe sostenere
nella localizzazione P, pari ai risparmi derivanti dalla riduzione
del costo del lavoro. "Una localizzazione di lavoro (L) attrarrà l'industria
solo se è posta all'interno dell'area della isodapana critica, perché
in tal caso le economie che essa consente sono maggiori dei costi
di deviazione, ed il trasferimento in essa provocherà economie superiori
ai costi addizionali" .
Risultano in tal modo definite le condizioni entro le quali il fattore
"costo del lavoro" può determinare un mutamento di localizzazione.
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Lo spostamento NON avviene |
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Lo spostamento avviene |
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I FATTORI DI AGGLOMERAZIONE
Si è già enunciata la definizione di Weber dei "fattori di agglomerazione".
Essi danno luogo ad economie (risparmi nei costi di produzione) determinate
dal fatto che più impianti si localizzano in prossimità l'uno dell'altro.
Prima di esaminare in che modo i "fattori di agglomerazione" possono
modificare la localizzazione iniziale, conviene descriverli, seppur
brevemente, ricordando che è proprio nello studio di tali fattori
- e dei loro effetti - che la teoria di Weber ha offerto il contributo
più originale ed innovativo. |
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Fattori tecnici (esterni o interni all'impianto). Lo sviluppo della
specializzazione industriale (molto intenso nel periodo in cui Weber
scriveva) fa sì che il processo produttivo necessiti di attrezzature
sempre più sofisticate e specifiche. Può accadere che un singolo
impianto, una volta raggiunta la sua dimensione ottimale (cioè una
volta utilizzati tutti i vantaggi di agglomerazione interni all'impianto
che gli permettono di aumentare la produzione aumentando il numero
e la dimensione degli apparati tecnici) non sia in grado di far
funzionare a tempo pieno un nuovo apparato tecnico. In questo caso
l'apparato viene spostato all'esterno, dà luogo ad una impresa-impianto
complementare di nuova formazione e viene utilizzato da più imprese.
Perché ciò sia possibile esso sarà localizzato in prossimità di
queste ultime: tale è l'origine dei vantaggi (o economie) di agglomerazione
esterni all'impianto.
Fattori organizzativi (esterni o interni all'impianto). Una organizzazione
sviluppata, differenziata ed integrata del lavoro, può essere assimilata
ad una attrezzatura tecnica e dà luogo a processi analoghi a quelli
esaminati al punto precedente.
Fattori di mercato (esterni o interni all'impianto). Un grande impianto
(impresa) è avvantaggiato, rispetto ad un piccolo impianto, perché
può acquistare e vendere a grande scala, ed ottenere credito più
a buon mercato. Una volta raggiunta anche per questo aspetto la
dimensione ottimale, sussisteranno ulteriori vantaggi esterni all'impianto,
sia nell'acquisto di materie prime, sia nella collocazione dei prodotti
sul mercato. Per le materie prime l'esistenza di un raggruppamento
di grandi impianti darà luogo ad un mercato delle materie prime
cui essi possono attingere secondo i tempi richiesti dai propri
processi produttivi, evitando di doverle acquistare in anticipo,
immagazinarle ecc. (come avverrebbe per un grande impianto isolato).
Analogamente per le vendite, una agglomerazione di impianti darà
luogo ad un mercato più ampio che permetterà una collocazione dei
prodotti più rapida, programmabile ed efficiente, con conseguenti
economie
I fattori tecnici, organizzativi e di mercato sono connessi alla
produzione industriale. Vi sono tuttavia anche altri vantaggi, spesso
rilevanti, che derivano dagli aspetti non industriali della agglomerazione,
è cioè dal fatto che la presenza di più impianti dà luogo alla realizzazione
di infrastrutture, servizi, ecc. della prossimità alle quali si
avvantaggiano tutti gli impianti. In altri termini vi è una maggiore
disponibilità di "capitale fisso sociale", cioè di quell'insieme
assai complesso e articolato di investimenti realizzati nei campi
delle infrastrutture (di trasporto, comunicazione, energetiche ecc.)
delle attrezzature (formative, sanitarie, culturali ecc.) e dei
servizi (privati, pubblici, di pubblica utilità ecc.) che si sono
accumulati nel tempo e concentrati in corrispondenza delle agglomerazioni
delle attività produttive.La disponibilità di capitale fisso sociale
è dunque, in generale, connessa alle città, e, in generale, crescente
al crescere della loro dimensione. Le economie cui tale disponibilità
dà luogo dà luogo possono anche essere definite "economie di urbanizzazione"
Una volta definiti i fattori di agglomerazione e le relative economie
(interne all'impianto, esterne, e di urbanizzazione) si tratta di
definire in che modo esse agiscono. La risposta di Weber è chiara
in proposito. Supposto infatti che si siano determinate due o più
figure di localizzazione in rapporto ai due fattori costo di trasporto
e costo del lavoro lo spostamento di due o più unità produttive
da tali localizzazioni (Po) verso un'altra ove siano realizzabili
economie di agglomerazione (Ao) avverrà tutte la volte che siano
rispettate due condizioni:
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- che si intersechino le rispettive "isodapane critiche"
- che all'interno dell'area di sovrapposizione delle "isodapane
critiche" la dimensione della agglomerazione sia tale da garantire
economie di agglomerazione superiori ai costi addizionali di
trasporto e di lavoro (si ricordi che le isodapane critiche
possono avere valori diversi per ciascuna unità).
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La agglomerazione ha luogo in Ao solo se le economie che essa
comporta sono maggiori del 9% (tre impianti) o del 7% (due impianti)
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I tre grandi fattori di localizzazione considerati da Weber agiscono,
nella realtà, in forma congiunta, e ciò che determina la localizzazione
finale è la loro risultante. Non solo: lo stesso Weber, e gli autori
che successivamente hanno sviluppato e approfondito la teoria, erano
ben consapevoli che, nella realtà, ai tre fattori principali se ne
aggiungono altri, più o meno particolari e contingenti, i quali concorrono
alla decisione finale della localizzazione di un impianto industriale.
Grande merito del "paradigma weberiano" resta quello di aver fornito
una prima teoria interpretativa dei processi di agglomerazione industriale
e, per questa via, della formazione delle grandi aree urbane tra la
metà dell'Ottocento e la metà del Novecento. |
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1 -Thunen fu indotto allo studio del rapporto tra produzione
agricola e mercato urbano dalla sua esperienza giovanile nella Germania
del nord, regione ove si verifica all'inizio del secolo una vera e
propria rivoluzione economica, e dalla successiva attività di amministratore
della propria azienda, nel Mecklembourg, a 35 km dalla città di Tellow. |
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2 - Ponsard, 1958,p.13 |
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3 - A. Weber, 1929., p. 18 |
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4 - A. Weber, 1929, p. 126. |
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5 - Weber, 1929, p. 103 |
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Riferimenti bibliografici
- Camagni Roberto, "economia urbana", NIS, Roma, 1992
- Ponsard Claude, "Histoire des teories economiques spatiales",
ARHAND COLIN ED., Rennes, 1958
- Weber Alfred, "Veber den Standart der Industrien",
Tulingue, 1909; Trad, inglese Carl J. Friedrich, "Alfred
Weber's theory of location of industries", Chicago, Univerity
of Chicago Press, 1929, 3° ediz. 1958.
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