PRINCIPALI FASI DELLA TRASFORMAZIONE URBANA
 
 
 
  0 SCHEMA GENERALE
 
  1 FORMAZIONE DELLA CITTA INDUSTRIALE
    XIX secolo
 
  2

FORMAZIONE DELLE
AREE URBANE E METROPOLITANE

    1900-1970
 
  3

CITTA' DIFFUSA,
RIUSO E RIQUALIFICAZIONE

    1970 - OGGI
 
 
 

FORMAZIONE DELLA CITTA' INDUSTRIALE
XIX secolo

SCHEDA - A

LE TEORIE CLASSICHE DI LOCALIZZAZIONE DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE
 
La teoria di Von Thunen
  L'avvio delle teorie classiche di localizzazione delle attività produttive nel territorio si fa in genere risalire all'economista tedesco Von Thunen (opere principali: 1826-1863) che elaborò, intorno alla metà del XIX° secolo, una teoria delle localizzazioni delle produzioni agricole [1]. La spiegazione della distribuzione di tali attività sul territorio fu ricondotta da Von Thunen alla distanza dal mercato di vendita dei prodotti agricoli (di solito un centro urbano) ed ai connessi costi di trasporto. Secondo l'economista tedesco le diverse produzioni agricole si distribuirebbero in fasce circolari con al centro il mercato urbano. Nelle fasce ad esso più vicine si localizzerebbero le produzioni in grado di "pagare" una rendita più elevata grazie alla riduzione dei costi di trasporto resa possibile dalla prossimità al mercato, e nelle fasce via via più esterne quelle in grado di pagare rendite via via minori (cioè quelle per le quali il risparmio sui costi di trasporto determinato dalla riduzione della distanza dal mercato è progressivamente meno significativo). In questo modello estremamente semplificato, la variabile essenziale nel determinare le localizzazioni produttive (agricole) è dunque costituita dai costi di trasporto ed è la riduzione di tali costi a generare la rendita.
 


 

Rendita e localizzazione di tre produzioni agricole:
il modello di Von Thunen

(da R.Camagni; 1992, p.79)

 
E' significativo che il primo tentativo di elaborare una vera e propria "teoria delle localizzazioni", da cui deriva anche una teoria della rendita, sia connesso all'agricoltura ed ai mercati urbani: i due luoghi nei quali si registrano i maggiori impatti della prima rivoluzione industriale nella sua fase nascente [2].
   
   
   
 

La teoria delle localizzazioni industriali di A.Weber

   
 

È con A. Weber, all'inizio del XX° secolo, che il problema della localizzazione industriale viene affrontato in forma sistematica, e nasce una prima, compiuta teoria della localizzazione industriale. Quando Weber pubblica il suo trattato, "Teoria della localizzazione industriale" il problema cruciale è quello di spiegare la straordinaria rapidità ed intensità dei processi di agglomerazione degli impianti industriali intorno ai principali centri urbani. La tumultuosa formazione delle immense periferie industriali tedesche lo colpisce non meno di quanto, poco più di cinquant'anni prima, il giovane Engels era stato colpito dalla straordinaria concentrazione di attività, commerci, poteri e profitti attorno ai docks dell'East-end londinese.
Weber si pone il problema del perché un'impresa - o meglio un impianto industriale - si sposti da un luogo all'altro: in termini più generali, di quali siano i fattori che determinano la scelta, da parte di una impresa, di una determinata localizzazione sul territorio.
Per fornire risposte sufficientemente generali a tali quesiti, Weber introduce alcune definizioni e semplificazioni.

In primo luogo Weber definisce:
- il "fattore localizzativo" come "il vantaggio che si ottiene quando una attività economica si colloca in una località piuttosto che in qualsiasi altro luogo. Un vantaggio è il risparmio nei costi, cioè la possibilità per l'impresa di produrre un determinato prodotto a minor costo, in quella località piuttosto che altrove, ovvero di svolgere l'intero processo produttivo e distributivo a prezzi minori in un luogo piuttosto che in un altro" [3].
- il "fattore agglomerativo, o deglomerativo" come "il vantaggio, cioè una riduzione del costo di produzione o di commercializzazione causato dal fatto che l'attività produttiva si svolge in misura rilevante in uno stesso luogo, mentre un fattore deglomerativo è una riduzione del costo di produzione che deriva dal decentramento produttivo (l'attività produttiva si svolge in più luoghi)" [4].

In secondo luogo precisa che: "Occorrerà sempre paragonare i vantaggi, così come sono rappresentati dai fattori localizzativi, in relazione allo stesso prodotto; è infatti solo la produzione di uno stesso prodotto a costituire una unità in relazione alla distribuzione spaziale di cui si può parlare con sufficiente precisione". In altri termini, in Weber e nella "teoria classica" il problema localizzativo è analizzato rispetto ad una singola unità di produzione, ovvero, come si direbbe oggi, ad imprese un impianto - un prodotto.

In terzo luogo Weber definisce una prima classificazione generale dei fattori di localizzazione distinguendoli in:

 

Fattori localizzativi generali o specifici:

 

generali, quelli che agiscono indipendentemente dal tipo di industria e quindi per tutte le industrie;
specifici, quelli che agiscono solo per alcune industrie ( solo per l'industria tessile o dell'abbigliamento ecc.).

   
 

Fattori localizzativi regionali o agglomerativi:

 

regionali, quelli che attraggono l'impresa in una "regione" determinata geograficamente, dando luogo ad una struttura di localizzazioni industriali;
agglomerativi, quelli che spingono l'impresa a concentrarsi in determinati punti all'interno della struttura regionale.
Ad esempio: i differenziali nei costi di trasporti; o i divari regionali nel costo del lavoro, che possono attrarre un'impresa in una regione (fattori regionali); un più economico uso degli impianti o la prossimità con strutture commerciali possono concentrare l'impresa in un'area (fattori agglomerativi).

 

Fattori naturali e tecnici, o sociali e culturali:

 

naturali e tecnici quelli che derivano da condizioni naturali (clima, geomorfologia, ecc.) o da loro modificazione operate dall'uomo (tipicamente le reti infrastrutturali, ecc.);
sociali e culturali quelli che derivano da particolari abitudini, tendenze culturali, ecc.

 


Tra tutti questi fattori Weber considera, nella teoria, solo quelli generali, regionali o agglomerativi: quelli "specifici non potrebbero far parte di una teoria generale; quelli naturali - tecnici o sociali - culturali o sono integrabili nella teoria, in sede applicativa (es: le infrastrutture di trasporto) oppure costituiscono fattori distorcenti". In altri termini la "teoria classica", nata tra la prima e la seconda rivoluzione industriale sotto lo shock della formazione delle grandi agglomerazioni urbane e metropolitane, non può che assumere queste formazioni territoriali straordinarie e del tutto nuove, come "derivanti" da quelle convenienze localizzative che la teoria stessa intende spiegare.

Fatte queste semplificazioni, Weber, attraverso una analisi assai dettagliata del processo di produzione industriale individua come

 

FATTORI DI LOCALIZZAZIONE (generali-regionali)

 

- il COSTO DEL TRASPORTO
- il COSTO DEL LAVORO

 

FATTORI DI AGGLOMERAZIONE

 

- quelli INTERNI AD UN IMPIANTO (tecnici, organizzativi, di mercato);
- quelli ESTERNI ALL'IMPIANTO ma pur sempre di natura industriale (e quindi tecnici, organizzativi, di mercato);
- quelli DI URBANIZZAZIONE (cioè di natura non industriale, ma aventi effetti sull'industria).

 
Come agiscono, ciascuno di questi fattori assunti prima singolarmente e poi nel loro insieme ?
La risposta offerta dalla teoria di Weber conserva ancor oggi un valore metodologico esemplare; nel corso di quasi un secolo dalla sua prima formulazione, è stata fertile di applicazioni e sviluppi. Naturalmente essa appare oggi superata in virtù delle trasformazioni occorse nei sistemi di produzione e nella organizzazione territoriale: quelle "immense agglomerazioni urbane" che si stavano allora formando sono oggi il paesaggio "normale", e, per rispondere alla terza rivoluzione industriale, si sono costituite in reti urbane globali e gerarchizzate; quelle imprese un impianto - un prodotto, spiazzate dai mercati globali, sono scomparse o divenute marginali. Di come tutto ciò abbia condotto a formulazioni teoriche nuove si darà conto più avanti.
 

IL COSTO DEL TRASPORTO
L'impresa un impianto - un prodotto tenderà a localizzarsi in modo da ridurre i costi di trasporto. Supponendo, in una ipotesi elementare, che siano definite due località di approvvigionamento delle materie prime (A' e A'') e una località di mercato dei prodotti (M), l'impianto tenderà a localizzarsi all'interno del triangolo ideale con vertici le tre località, in posizione (P) tale da minimizzare i costi di trasporto.
Il punto P di localizzazione è determinabile una volta note le quantità di materie prime (inputs) che devono essere trasportate da A' e A" a P e le quantità di prodotto (outputs) che devono essere trasportate da P a M. Tali quantità possono essere espresse in termini vettoriali; applicando i vettori all'orto-centro (O) del triangolo e calcolando la risultante si ottiene facilmente il punto P di localizzazione ottima rispetto al fattore costo di trasporto. La figura così determinata viene definita "figura di localizzazione".

Figura di localizzazione
 
IL COSTO DEL LAVORO
Una volta determinata la localizzazione in funzione del costo del trasporto, occorre valutare l'incidenza del costo del lavoro. Anche in questo caso l'impianto tenderà a localizzarsi ove esso è minimo. Ma, in linea di principio, la localizzazione ove il costo di lavoro è minimo (L) non coinciderà con quella ove è minimo il costo del trasporto (P). L'esigenza di ridurre il costo del lavoro interagirà con la "figura di localizzazione", e, a certe condizioni, potrà modificare la localizzazione dell'impianto. Quali sono tali condizioni?
"Una localizzazione può essere spostata dal punto di costo minimo di trasporto (P) in una localizzazione di lavoro più conveniente (L) solo se i risparmi nel costo del lavoro che la nuova localizzazione rende possibili sono maggiori dei costi addizionali di trasporto che essa richiede (costi di deviazione)" [5].
Ora, intorno a ciascuna figura di localizzazione è possibile tracciare delle linee, definite da Weber "isodapane", cioè "linee dello stesso costo", luogo dei punti nei quali il costo addizionale di trasporto che l'impianto dovrebbe sostenere, se vi fosse localizzato, è lo stesso. Ad esempio (v. figura) è possibile tracciare la linea dei luoghi ove il costo del trasporto aumenterebbe del 5%, rispetto a quello minimo sostenuto in P, quella ove aumenterebbe del 10% e così via.
 



ISODAPANE
  Tra le varie "isodapane" individuabili intorno a P ne esisterà una ( che Weber definisce "isodapana critica") definita dai luoghi trasferendosi nei quali l'impresa dovrà sostenere costi di trasporto addizionali rispetto a quelli che dovrebbe sostenere nella localizzazione P, pari ai risparmi derivanti dalla riduzione del costo del lavoro. "Una localizzazione di lavoro (L) attrarrà l'industria solo se è posta all'interno dell'area della isodapana critica, perché in tal caso le economie che essa consente sono maggiori dei costi di deviazione, ed il trasferimento in essa provocherà economie superiori ai costi addizionali" .
Risultano in tal modo definite le condizioni entro le quali il fattore "costo del lavoro" può determinare un mutamento di localizzazione.
 
Lo spostamento NON avviene Lo spostamento avviene
 
I FATTORI DI AGGLOMERAZIONE
Si è già enunciata la definizione di Weber dei "fattori di agglomerazione". Essi danno luogo ad economie (risparmi nei costi di produzione) determinate dal fatto che più impianti si localizzano in prossimità l'uno dell'altro. Prima di esaminare in che modo i "fattori di agglomerazione" possono modificare la localizzazione iniziale, conviene descriverli, seppur brevemente, ricordando che è proprio nello studio di tali fattori - e dei loro effetti - che la teoria di Weber ha offerto il contributo più originale ed innovativo.
 


Fattori tecnici (esterni o interni all'impianto). Lo sviluppo della specializzazione industriale (molto intenso nel periodo in cui Weber scriveva) fa sì che il processo produttivo necessiti di attrezzature sempre più sofisticate e specifiche. Può accadere che un singolo impianto, una volta raggiunta la sua dimensione ottimale (cioè una volta utilizzati tutti i vantaggi di agglomerazione interni all'impianto che gli permettono di aumentare la produzione aumentando il numero e la dimensione degli apparati tecnici) non sia in grado di far funzionare a tempo pieno un nuovo apparato tecnico. In questo caso l'apparato viene spostato all'esterno, dà luogo ad una impresa-impianto complementare di nuova formazione e viene utilizzato da più imprese. Perché ciò sia possibile esso sarà localizzato in prossimità di queste ultime: tale è l'origine dei vantaggi (o economie) di agglomerazione esterni all'impianto.

Fattori organizzativi (esterni o interni all'impianto). Una organizzazione sviluppata, differenziata ed integrata del lavoro, può essere assimilata ad una attrezzatura tecnica e dà luogo a processi analoghi a quelli esaminati al punto precedente.

Fattori di mercato (esterni o interni all'impianto). Un grande impianto (impresa) è avvantaggiato, rispetto ad un piccolo impianto, perché può acquistare e vendere a grande scala, ed ottenere credito più a buon mercato. Una volta raggiunta anche per questo aspetto la dimensione ottimale, sussisteranno ulteriori vantaggi esterni all'impianto, sia nell'acquisto di materie prime, sia nella collocazione dei prodotti sul mercato. Per le materie prime l'esistenza di un raggruppamento di grandi impianti darà luogo ad un mercato delle materie prime cui essi possono attingere secondo i tempi richiesti dai propri processi produttivi, evitando di doverle acquistare in anticipo, immagazinarle ecc. (come avverrebbe per un grande impianto isolato). Analogamente per le vendite, una agglomerazione di impianti darà luogo ad un mercato più ampio che permetterà una collocazione dei prodotti più rapida, programmabile ed efficiente, con conseguenti economie

I fattori tecnici, organizzativi e di mercato sono connessi alla produzione industriale. Vi sono tuttavia anche altri vantaggi, spesso rilevanti, che derivano dagli aspetti non industriali della agglomerazione, è cioè dal fatto che la presenza di più impianti dà luogo alla realizzazione di infrastrutture, servizi, ecc. della prossimità alle quali si avvantaggiano tutti gli impianti. In altri termini vi è una maggiore disponibilità di "capitale fisso sociale", cioè di quell'insieme assai complesso e articolato di investimenti realizzati nei campi delle infrastrutture (di trasporto, comunicazione, energetiche ecc.) delle attrezzature (formative, sanitarie, culturali ecc.) e dei servizi (privati, pubblici, di pubblica utilità ecc.) che si sono accumulati nel tempo e concentrati in corrispondenza delle agglomerazioni delle attività produttive.La disponibilità di capitale fisso sociale è dunque, in generale, connessa alle città, e, in generale, crescente al crescere della loro dimensione. Le economie cui tale disponibilità dà luogo dà luogo possono anche essere definite "economie di urbanizzazione"

Una volta definiti i fattori di agglomerazione e le relative economie (interne all'impianto, esterne, e di urbanizzazione) si tratta di definire in che modo esse agiscono. La risposta di Weber è chiara in proposito. Supposto infatti che si siano determinate due o più figure di localizzazione in rapporto ai due fattori costo di trasporto e costo del lavoro lo spostamento di due o più unità produttive da tali localizzazioni (Po) verso un'altra ove siano realizzabili economie di agglomerazione (Ao) avverrà tutte la volte che siano rispettate due condizioni:

 

- che si intersechino le rispettive "isodapane critiche"
- che all'interno dell'area di sovrapposizione delle "isodapane critiche" la dimensione della agglomerazione sia tale da garantire economie di agglomerazione superiori ai costi addizionali di trasporto e di lavoro (si ricordi che le isodapane critiche possono avere valori diversi per ciascuna unità).

 


La agglomerazione ha luogo in Ao solo se le economie che essa comporta sono maggiori del 9% (tre impianti) o del 7% (due impianti)
 

I tre grandi fattori di localizzazione considerati da Weber agiscono, nella realtà, in forma congiunta, e ciò che determina la localizzazione finale è la loro risultante. Non solo: lo stesso Weber, e gli autori che successivamente hanno sviluppato e approfondito la teoria, erano ben consapevoli che, nella realtà, ai tre fattori principali se ne aggiungono altri, più o meno particolari e contingenti, i quali concorrono alla decisione finale della localizzazione di un impianto industriale.
Grande merito del "paradigma weberiano" resta quello di aver fornito una prima teoria interpretativa dei processi di agglomerazione industriale e, per questa via, della formazione delle grandi aree urbane tra la metà dell'Ottocento e la metà del Novecento.
   
 
 
  1 -Thunen fu indotto allo studio del rapporto tra produzione agricola e mercato urbano dalla sua esperienza giovanile nella Germania del nord, regione ove si verifica all'inizio del secolo una vera e propria rivoluzione economica, e dalla successiva attività di amministratore della propria azienda, nel Mecklembourg, a 35 km dalla città di Tellow.
  2 - Ponsard, 1958,p.13
  3 - A. Weber, 1929., p. 18
  4 - A. Weber, 1929, p. 126.
  5 - Weber, 1929, p. 103
   
 

Riferimenti bibliografici

  • Camagni Roberto, "economia urbana", NIS, Roma, 1992
  • Ponsard Claude, "Histoire des teories economiques spatiales", ARHAND COLIN ED., Rennes, 1958
  • Weber Alfred, "Veber den Standart der Industrien", Tulingue, 1909; Trad, inglese Carl J. Friedrich, "Alfred Weber's theory of location of industries", Chicago, Univerity of Chicago Press, 1929, 3° ediz. 1958.

 

 

Corso di URBANISTICA
Prof. Domenico Cecchini

Università degli studi di Roma
"La Sapienza"
Facoltà di Ingegneria