“Progetto Urbano” è termine polisemico. Spesso è stato utilizzato anche come sinonimo di disegno di “politica urbana”; o di “grande progetto di architettura”; o di “strategia urbanistica” articolata territorialmente. Anche se può in parte corrispondere ad alcune di queste accezioni (essere un momento significativo della politica urbana, contenere grandi o piccoli progetti di architettura, costituire strumento della strategia urbanistica) nella nostra accezione, e nelle esperienze più recenti e significative, il Progetto Urbano (PU) è altra cosa.
E’ un metodo e uno strumento per la progettazione
urbanistica, appropriato alla fase attuale delle trasformazioni urbane, “atipico”
nel senso che, pur assai diffuso in Europa negli ultimi 10/15 anni, non è
stato codificato nella legislazione italiana ( a Roma è stato introdotto come
“è una procedura finalizzata alla definizione progettuale delle previsioni di PRG”, v.
NTA del PRG vigente, art. 15).
Ha come obiettivo il miglioramento della
qualità urbana: efficienza, giustizia (i due meta-criteri di Lynch) e bellezza.
E’ indispensabile in tutti i casi nei quali si intendano realizzare iniziative
complesse, valutando soluzioni diverse, mettere in regia opere, azioni, interventi
di diversa natura,che prevedono la partecipazione di soggetti diversi
[1]
Si occupa soprattutto dello spazio pubblico,
aperto a tutti, e dei servizi pubblici o di uso pubblico (per l’accessibilità,
il tempo libero ecc). Determina la forma fisica degli interventi e dello spazio
urbano cui è rivolto.
Tra le esperienze che hanno preceduto il
PU, anticipandone alcuni metodi e contenuti possono ricordarsi: le ZAC francesi
(Zone d’Aménagément Concerté) l’azione delle UDC inglesi (Urban Development
Corporation), i PRU italiani (Programmi di recupero o di riqualificazione
urbana).
Si avvale dei metodi della progettazione
urbanistica come si sono via via definiti nell’esperienza italiana ed europea
[2]
, e soprattutto introduce metodi e tecniche propri e multi
disciplinari, adeguati alle condizioni urbane attuali, all’obiettivo della
qualità e ai principi seguenti
CINQUE PRINCIPI PER IL PROGETTO URBANO
di Domenico Cecchini
(in "Intersezioni", Annali del DAU, n. 1, 2004)
Da tempo l’azione urbanistica nei paesi industrializzati ha a che fare soprattutto con le trasformazioni della città esistente “su se stessa”. Da quando le grandi città hanno smesso di crescere ed espandersi ai ritmi forsennati che ne avevano sconvolto la millenaria struttura l’urbanistica non si occupa più del “controllo della crescita” bensì di promuovere uno sviluppo che si vuole “sostenibile” e di sostenere le città nelle nuove sfide della competizione interurbana [3] .
Seppure con qualche ritardo rispetto ad altre discipline, l’urbanistica ha affrontato da tempo le questioni connesse al passaggio dalla modernità alla post modernità o, come si dice in mancanza di termini migliori, dalla “città moderna” alla “città contemporanea” [4] . All’inizio degli anni ’90 il piano urbanistico generale è stato autorevolmente definito “il piano della città esistente” [5] . E i piani locali, o “attuativi”, sono sempre più frequentemente chiamati non a disegnare nuove parti di città, ma a riorganizzare, completare, dare nuove “qualità” a parti già sostanzialmente costruite.
Le esperienze e la riflessione sul progetto urbano si inseriscono in questo quadro [6] . Nel noto saggio sulle origini del progetto urbano moderno, pubblicato nel 1989 con il significativo titolo “Un’altra tradizione moderna”, M. Solà Morales faceva risalire al 1930 la drammatica frattura tra progetto edilizio e piano urbanistico, frattura che avrebbe prodotto nei decenni successivi una divaricazione fra queste due “dimensioni” della trasformazione urbana. Egli interpretava il progetto urbano essenzialmente “come campo di lavoro intermedio in cui le scale si intrecciano e dove l’architetto acquisisce una ragionevole autorità sulla forma della città”. Un campo di lavoro intermedio essenziale, poi purtroppo “esautorato da parte della avanguardia ufficiale e cancellato dal frasario della propaganda” [7] . Senza nulla togliere all’interesse ed alla fertilità di approcci che guardano al progetto urbano come “frontiera ambigua fra urbanistica e architettura” [8] credo che il progetto urbano debba ormai risolutamente essere collocato tra quei (pochi) modi dell’azione urbanistica in grado di rispondere ai nuovi temi della città contemporanea. Non solo alla necessità, finalmente riconosciuta, che lo spazio urbano si imponga “come contenuto progettuale in sé” [9] , bensì ad una più radicale necessità di dare significato ed efficacia all’azione urbanistica nella “città contemporanea”. Se l’urbanistica vuole riconquistare il ruolo che può spettarle tra le discipline volte a configurare l’ambiente in cui viviamo dovrà occuparsi seriamente, nella pratica e nella teoria, dei “progetti urbani”.
Nell’ultimo decennio le concrete realizzazioni ottenute attraverso progetti urbani nelle grandi e medie città europee si sono fatte via via più numerose e significative. La riflessione su di esse ha generato una letteratura ormai piuttosto ampia. Ciò nondimeno il lavoro per chiarire natura, finalità e metodi del progetto urbano è appena avviato [10] . In queste note mi limito ad alcune considerazioni su ciò che non può essere considerato “progetto urbano” e propongo cinque “principi” che potrebbero configurarne una sorta di tipo ideale.
Che “progetto urbano” sia termine polisemico è ormai universalmente acquisito. La pluralità dei significati attribuibili non dovrebbe tuttavia esimere dal chiarirli, né rappresentare motivo sufficiente per parlare di progetto urbano dovunque e comunque, spesso seguendo effimere mode mediatiche. E’ bene dunque chiarire alcuni casi nei quali l’uso del termine può generare equivoci ed errori.
Un progetto urbano non è un “grande progetto di architettura”. Per quanto vasto ed articolato nelle sue funzioni e nelle sue forme un progetto edilizio o di architettura è realizzato entro un’area perimetrata fin dall’inizio, che non cambia nel tempo. All’interno dell’area, o del lotto, il progetto definisce tutto. Per quanto possa prestare attenzione al rapporto con il contesto urbano o ambientale, non può che risolverlo al proprio interno: è, per così dire, centripeto. Un grande progetto di architettura è elaborato secondo tappe definite da norme di legge (preliminare, definitivo, esecutivo) e, una volta affidato al realizzatore, non può cambiare che in minima parte, secondo modalità prefissate e in genere valutate negativamente. Anche il tempo della sua realizzazione è definito contrattualmente: se lo si supera si incorre in penalità; il suo trascorrere ha l’unico significato di avvicinare alla realizzazione dell’opera, che sarà conforme al progetto iniziale.
Al contrario il progetto urbano agisce per elementi puntuali, discontinui nello spazio e nel tempo. Fissa un programma di interventi che può anche corrispondere soltanto ad una prima fase operativa, e non ha alcun interesse a perimetrare un’area che racchiuda la totalità degli interventi. Se lo facesse non sarebbe comunque tenuto a “definire ogni cosa all’interno del perimetro”. Per il progetto urbano le connessioni contestuali sono il centro dell’azione, e vanno quindi concretamente risolte: esso è per così dire, centrifugo. Il tempo, per il progetto urbano, non è una passività ma un attore. Il suo trascorrere non si limita ad avvicinare le prime realizzazioni ma può contribuire a far nascere nuove proposte, nuove soluzioni in grado di conformare le fasi successive del progetto.
Due esempi molto noti possono aiutare a chiarire. Il Guggenheim Museum di F. O. Gary a Bilbao e l’Auditorium di R. Piano a Roma sono due grandi progetti di architettura, nessuno ne dubita. E nessuno dubita che essi abbiano prodotto effetti rilevanti e positivi per le città che li hanno realizzati, per la loro immagine nel mondo, la loro economia. Ma affinché il rapporto con le rispettive città si concretizzi nella creazione di spazi e funzioni urbane diverse e ulteriori rispetto a quelli realizzati al loro interno, le amministrazioni civiche devono decidere di realizzare altre “cose” accanto o intorno a loro. Devono decidere di realizzare nuove strade, piazze, case, uffici, spazi urbani e strutture edilizie plurifunzionali; devono dar vita ad altre attività e funzioni, dare maggiore “complessità” a quei luoghi. Insomma devono “fare città”, ed è ancora troppo presto per sapere quali saranno i risultati di tali “affiancamenti” resi possibili o addirittura necessari da questi grandi progetti di architettura. Poiché essi sono tali, non progetti urbani.
Un progetto urbano non è neanche un “piano urbanistico attuativo”, magari più complesso e aggiornato. Nessun aumento di complessità o aggiornamento potrebbe superare la sostanziale diversità tra i due approcci. Nato nell’epoca della crescita urbana il piano attuativo è destinato a regolare gli ampliamenti previsti dal piano generale: agisce quindi entro un perimetro pre-determinato, all’interno del quale disciplina l’uso dei suoli, stabilisce le regole per tutte le nuove edificazioni, per le quali in genere definisce i cosiddetti “plano volumetrici”, disegna le reti, reperisce gli standard urbanistici che saranno realizzati solo quando il bilancio comunale lo permetterà - cioè in tempi non prevedibili. Le connessioni con le reti infrastrutturali e dei servizi esterne al perimetro si presuppone siano risolte dal piano urbanistico generale e realizzate attraverso investimenti pubblici.
Al contrario il progetto urbano nasce quando la grande crescita è dietro le spalle e bisogna affrontare i temi nuovi della trasformazione qualitativa, risolvere problemi spesso nati proprio dalla costruzione della città mediante piani attuativi separati, reti incomplete, spazi pubblici scarsi e trascurati. Quindi è destinato a realizzare un programma di interventi, per i quali deve garantire risorse e soggetti attuatori, capaci di completare e integrare reti e servizi, realizzare standard vecchi e nuovi, creare e dar forma a spazi e strutture di uso pubblico. Il progetto urbano si costituisce in base a decisioni o opportunità concrete di investimento. Non stabilisce un assetto la cui realizzazione dipende da decisioni o eventi successivi: è esso stesso decisione ed evento. E’ più vicino ai cosiddetti “programmi complessi” che non ai piani urbanistici tradizionali.
Infine, per diradare le nebbie che spesso si addensano intorno al progetto urbano, sarebbe utile che questo termine non fosse usato come sinonimo di “politica urbanistica” o di “strategia urbana spazialmente definita”. Ciò che chiamiamo progetto urbano non può rinunciare ad applicarsi ad una porzione specifica e determinata della città o dell’agglomerazione; ad essere una risposta a domande locali ed occasioni trasformative reali che si riferiscono a luoghi specifici.
Riflettere su ciò che il progetto urbano non è non significa escludere che esso possa realizzarsi attraverso progetti di architettura. Anzi in molti casi ha contribuito a produrre importanti occasioni per progettare e realizzare opere di architettura. Né significa che esso non possa usare strumenti urbanistici attuativi tradizionali: nell’esperienza romana ciò è stato praticato e normato [11] . Né che esso non possa essere espressivo di una politica urbana complessiva, di cui ha talvolta rappresentato l’esempio più coerente e comunicativo: chi non ricorda i due casi antitetici della Villa Olimpica di Barcellona e dei Docklands londinesi? Significa semplicemente che il progetto urbano è altra cosa, che ha natura, metodi ed obiettivi propri, i quali emergono – circostanza assai interessante – non deduttivamente da politiche o norme generali, ma induttivamente dalla riflessione e dal confronto su un numero crescente di realizzazioni ed esperienze concrete nel quadro delle città europee [12] .
Il progetto urbano è un metodo per progettare e realizzare interventi di trasformazione fisica tipici e rilevanti per la città contemporanea. Caratterizzati da contesti operativi di forte complessità dei soggetti che decidono e realizzano e delle relazioni che essi intrattengono; da una considerevole frammentazione delle domande cui gli interventi devono rispondere; da una forte articolazione del tipo di azioni necessarie: riusi, sostituzioni, integrazioni, completamenti; dalla centralità che esso conferisce agli spazi pubblici che sono le componenti urbane più deficitarie e al tempo stesso decisive per l’innalzamento della qualità della città contemporanea [13] . Si occupa perciò soprattutto dello spazio, delle attrezzature, delle reti e dei servizi pubblici o di uso pubblico [14] . Attraverso queste azioni ed interventi il progetto urbano determina la forma fisica degli interventi e dello spazio urbano.
E’ un metodo che può avvalersi delle tecniche e degli strumenti di progettazione urbanistica tradizionali definiti nel corso delle precedenti fasi di urbanizzazione. Ma che introduce – qui è il suo contributo decisivo e la sua novità - tecniche e strumenti propri e multi disciplinari, adatti alle condizioni e alle domande urbane contemporanee.
Il
progetto urbano aspira a creare qualità urbana: esso si propone di migliorare
l’efficienza delle parti di città cui si rivolge; di facilitarne un uso integrato
e socialmente equilibrato; di contribuire alla loro bellezza.
Un
programma di ricerca sul progetto urbano dovrebbe dedicarsi ad una analisi
comparativa di esperienze concrete, da studiare lungo tutto il loro percorso
dalla concezione alla realizzazione ed all’uso. Un siffatto programma potrebbe
assumere come ipotesi di lavoro alcuni “principi”, intesi nel duplice significato
di “cominciamento” e di “fondamento”.
Il progetto urbano in quanto metodo e strumento per “promuovere lo sviluppo sostenibile” serve a realizzare un programma di interventi: non un semplice “elenco”, ma un sistema articolato e integrato di operazioni trasformative: si basa quindi sul principio di fattibilità, da applicarsi ai singoli interventi ed al loro insieme.
Il piano attuativo tradizionale, volto a realizzare quantità edilizie pre-determinate, poteva far conto su flussi di domanda costanti nel tempo e prevedibili e non poneva quindi questioni di “fattibilità”. Al contrario il contesto operativo entro cui si colloca il progetto urbano non è dato da flussi di crescita più o meno intensi, comunque “grosso modo” prevedibili, bensì da occasioni di investimento che variano rapidamente (in funzione di dinamiche assai poco prevedibili), dalla scarsità strutturale di risorse finanziarie pubbliche - tanto più grave se paragonata alle necessità di integrazione o sostituzione del capitale fisso sociale urbano - e da una crescente competizione per l’attrazione di investimenti. Il promotore del progetto urbano, pubblico o privato che sia, deve conoscere preliminarmente, ed aggiornare costantemente, il quadro dei costi e ricavi complessivi del programma, deve valutare gli investimenti necessari a realizzare e gestire gli interventi (anche in termini di servizi aggiuntivi che si renderanno eventualmente necessari) e gli utili cui tali investimenti potranno dar luogo. L’amministrazione della città, dal canto suo, deve poter valutare: a) gli effetti degli interventi nella valorizzazione degli immobili direttamente interessati e nella più ampia valorizzazione immobiliare che si diffonde nel tessuto circostante e che è spesso trascurata ma non per questo meno reale; b) l’entità e la natura del contributo (finanziario o in opere) cui il progetto potrà dar luogo e che sarà utilizzato per il miglioramento del contesto urbano. L’esperienza dimostra che in genere il progetto urbano, attivando rendite differenziali significative, può mettere a disposizione della città risorse maggiori di quelle derivanti dagli oneri concessori tradizionali [15] .
In questa integrazione di effetti positivi risiede, in ultima istanza, la finalità generale del progetto urbano.
Gli studi di fattibilità, e le relative valutazioni, riguarderanno dunque anzitutto gli aspetti economico-finanziari del progetto urbano, ma non solo. Essi dovranno rivolgere non minore attenzione alle dimensioni tecniche degli interventi, ricorrendo a scenari progettuali in grado di confrontare soluzioni tipo morfologiche alternative per gli impianti edilizi e per gli spazi aperti. Poiché ad ogni scenario progettuale possono associarsi costi e ricavi diversi, gli studi di fattibilità tecnica e quelli di fattibilità economico-finanziaria saranno condotti in parallelo, garantendo la reciproca interazione.
Oltre alle verifiche di fattibilità tecnica ed economico-finanziaria sono necessarie verifiche di fattibilità procedurale, organizzativa e sociale. Occorre valutare quale fra i diversi modelli procedimentali e fra le diverse ipotesi organizzative possibili garantisce maggiore efficacia rispetto agli obiettivi del progetto [16] . La fattibilità sociale, volta a valutare il grado di condivisione preliminare di scelte progettuali alternative, costituisce in genere il primo passo di un percorso partecipativo di condivisione che accompagna il progetto in tutte le sue fasi (v. più avanti il quinto principio).
In generale nello svolgimento degli studi di fattibilità, come del resto per molti altri aspetti del progetto urbano, il metodo preferibile non è quello di studi “in serie”, che richiedono la conclusione dell’uno per l’avvio dell’altro, bensì quello “in parallelo” secondo il quale gli studi si alimentano reciprocamente attraverso frequenti processi di feed-back e pervengono in tal modo alla definizione di scenari alternativi.
Principio di INTEGRAZIONE
Il progetto urbano nella sua versione attuale raccoglie la critica più che decennale al razionalismo modernista dei piani attuativi tradizionali e si basa sul principio di integrazione funzionale e spaziale della città. L’effettivo innalzamento della qualità urbana richiede oggi interventi che integrino, completino, accrescano le reti infrastrutturali e le attrezzature esistenti: in molti casi un progetto urbano nasce attorno ad azioni di ampliamento, ristrutturazione o integrazione di reti e attrezzature per la mobilità. Richiede interventi che migliorino i tessuti lavorando negli interstizi, per riusi, inserimenti limitati, puntuali e diffusi di servizi, spazi e luoghi di uso pubblico. Perciò esprime spesso il massimo di efficacia quando si rivolge ad aree dismesse, alle frange in stato di abbandono, a spazi di risulta senza senso e nome che la logica dei vecchi piani attuativi chiusi in perimetri rigidi, l’accumularsi di mancate soluzioni, di iniziative fermate a metà, di conflitti non risolti hanno depositato nel corpo della città consolidata e delle periferie metropolitane.
Il piano attuativo tradizionale presuppone un perimetro univoco; il progetto urbano lo rifiuta e agisce per sistemi integrati di interventi.
Il progetto urbano muove anzitutto dall’apprezzamento delle risorse locali, le valorizza e le integra tra loro. Lavora sulle identità e sulle specificità dei luoghi della città. Operando sullo spazio pubblico, aperto a tutti, e sulle reti della accessibilità e dei servizi, il progetto urbano presta la massima attenzione alle relazioni di contesto, ai completamenti e integrazioni necessarie per superare barriere, fratture, inaccessibilità.
Soprattutto nei casi di grandi progetti urbani si pone il problema del rapporto con le risorse e le forze sovra-locali, spesso promotrici di interventi cospicui. Il progetto urbano non le nega, ma al contrario opera per integrarle a quelle locali [17] .
Il principio di integrazione agisce non solo nella definizione del programma e nel disegno del progetto urbano, ma anche nel percorso decisionale e burocratico-amministrativo che lo accompagna. In Italia l’amministrazione “per competenze” ha prodotto danni gravi nel corpo delle città ed è ancor più inadatta ad affrontare i problemi complessi di oggi. Le riforme degli anni ’90 [18] ne hanno tentato il superamento, cercando di sostituirla con l’amministrazione “per obiettivi”. Ma le nuove figure del responsabile del procedimento e della conferenza dei servizi si sono mostrate quasi sempre insufficienti, riducendosi via via al mero esercizio autorizzativo senza un’effettiva capacità di indirizzo, coordinamento, controllo. Tendono così a riprodursi meccanismi di segmentazione dei ruoli e delle competenze amministrative che, nella fase precedente della crescita urbana, avevano già ostacolato l’integrazione tra i momenti progettuali, realizzativi e gestionali degli interventi. Ma è evidente che senza una tale integrazione non si fa alcun progetto urbano. Ciò non significa che le figure tecniche e i soggetti operativi delle diverse fasi debbano essere gli stessi, bensì che devono esservi figure tecniche e soggetti operativi capaci di gestire l’intero percorso del progetto urbano, dalla concezione alla realizzazione e gestione. Basti pensare, in proposito, al concetto e alla pratica della “maîtrise d’ouvrage urbaine” in Francia [19] o del Project Management in Inghilterra ed alle relative strutture operative ( Société d’économie mixte o Ètablissement public d’aménagement in Francia, Urban development corporation in Inghilterra).
La realizzazione di progetti urbani è al tempo stesso stimolo e risultato per l’affermarsi di una cultura orientata alla qualità del risultato urbano, basata sull’integrazione multi disciplinare, non sulla frammentazione delle competenze burocratiche; una cultura per la quale occorre formare tecnici e creare strutture [20] .
Principio di SOSTENIBILITA’:
La dimensione ambientale e gli obiettivi di rigenerazione ecologica della città contemporanea sono ormai parte rilevante dell’azione urbanistica. Da questo punto di vista il progetto urbano non è di per sé fonte di innovazione, bensì occasione e strumento di concreta sperimentazione e di diffusione di tecniche innovative. Si ispira alla definizione classica di sostenibilità, la rafforza e approfondisce assumendo il principio secondo il quale ogni intervento di trasformazione deve contribuire al miglioramento delle componenti ecologiche fondamentali e alla riduzione dei livelli di inquinamento esistenti. Usa tutti gli strumenti di simulazione per misurare e valutare preventivamente gli effetti ambientali degli interventi previsti e definisce le azioni volte a garantire un bilancio ecologico positivo. Opera in direzione della riduzione dei flussi di risorse necessari alla vita della città (agendo anzitutto sulla mobilità e privilegiando i modi di trasporto meno inquinanti); dell’aumento dell’efficienza ecologica (risparmio energetico attivo e passivo, trattamento delle acque e dei rifiuti ecc); del miglioramento generale della qualità ambientale (aree verdi, spazi pedonali ecc.).
L’esperienza dimostra che nella maggior parte dei progetti urbani si riescono ad ottenere forme di “compensazione ambientale” in termini di aree verdi effettivamente mantenute e attrezzate, di servizi pubblici effettivamente realizzati e gestiti, superiori a quelle ottenibili attraverso la pianificazione attuativa tradizionale [21]
Principio di DURATA.
Il tempo è un attore essenziale del progetto urbano. Le trasformazioni che esso concepisce, progetta e realizza sono complesse, estese, articolate, e richiedono l’azione di soggetti diversi. Il tempo che intercorre tra la prima ideazione e la realizzazione dell’intero progetto è medio lungo, mai inferiore a dieci anni, spesso superiore a venti [22] . Ma è un tempo diverso da quello che passa tra la redazione di un progetto edilizio o infrastrutturale e il collaudo dell’opera. Nel progetto urbano i primi interventi possono iniziare anche presto ed essere completati e utilizzati rapidamente (tre/cinque anni). Sono molto utili, essenziali per rendere credibile il progetto, sostenerne le successive fasi, renderlo partecipato, ma sono solo una prima parte [23] .
Spesso la durata dell’intera realizzazione del progetto non è definibile preventivamente; nel suo corso sono necessarie modifiche, integrazioni, cambiamenti; gli attori possono mutare al mutare delle convenienze e delle domande. Se restano gli stessi, possono cambiare il loro orientamento e le loro scelte. Dunque il tempo della comparsa del progetto sulla scena urbana può essere breve – spesso è bene che sia così – mentre la sua intera “gestione attuativa” richiede un tempo lungo. E’ nel corso di questo tempo che si devono garantire i risultati qualitativi di ciascuna fase e dell’intero percorso. Il progetto urbano si gioca sulla durata. Perciò il tempo nel quale esso si forma e si realizza non è un “contenitore” ma un protagonista [24] .
I modi nei quali è stato affrontato il tema essenziale della durata del progetto urbano sono tanto diversi da città a città e da paese a paese quanto è articolata la concreta tipologia dei progetti urbani finora realizzati. Si possono comunque individuare alcuni elementi ricorrenti:
- una definizione iniziale chiara ed esplicita degli obiettivi e di un programma efficace, fattibile, visibile;
- una articolazione per fasi temporali, la prima delle quali deve poter essere messa rapidamente in cantiere
- l’individuazione di elementi strutturanti (trama infrastrutturale primaria, sistema degli spazi aperti, alcune regole formali, spaziali, ambientali, alcune quantità fondamentali) che restano piuttosto stabili nel tempo; una grande, metodica flessibilità delle specifiche soluzioni architettoniche, spaziali e funzionali;
- una progettazione alle diverse scale – tutte quelle necessarie al perseguimento degli obiettivi e alla realizzazione degli interventi - che non si arresta alla fase iniziale ma accompagna tutta l’attuazione, servendosi ampiamente di scenari e simulazioni progettuali;
- una utilizzazione di tecniche di rappresentazione e di comunicazione nuove e appropriate agli obiettivi, alle domande delle comunità locali, agli interventi che via via si realizzano;
- forme e soggetti di affidamento della realizzazione e della gestione degli interventi che variano in funzione delle caratteristiche degli interventi stessi.
Che questi elementi si ritrovino tutti o in parte, o assieme ad altri, nei progetti urbani realizzati in Europa negli ultimi venti anni, è certo che alla loro concreta gestione si è provveduto con strutture unitarie, preposte all’intero progetto urbano, capaci e sperimentate sotto il profilo tecnico, forti e responsabili sotto il profilo decisionale-operativo. Ciò grazie ad un impegno diretto ed autorevole delle autorità politiche locali, che si esprime durante tutto il tempo (lungo) del progetto urbano. Queste strutture, che si chiamino Urban development corporation in Inghilterra, Ètablissement public d’aménagement o Société d’économie mixte in Francia, hanno garantito l’unitarietà e la continuità del percorso attuativo e il raggiungimento degli obiettivi fissati, del quale sono state direttamente responsabili. E’ anche significativo che queste “strutture di scopo”, in genere dopo il completamento della “missione” vengono smantellate [25] .
In Italia, com’è noto, primi tentativi in qualche misura ispirati a queste esperienze sono stati la costituzione di società di servizi nei maggiori comuni urbani e la legislazione sulle Società di trasformazione urbana. I vincoli operativi sono però ancora troppo stretti e le concrete esperienze troppo limitate per poter dare una valutazione.
Principio di
CONDIVISIONE E CONCERTAZIONE
Nessun progetto urbano è fattibile se non è condiviso dalla collettività locale (partecipazione) e fondato sulla cooperazione tra amministrazione e imprese (concertazione).
Forme e tecniche di partecipazione sono numerose e la loro utilizzazione dipende dai contesti e dalle storie locali . Esse richiedono una attenzione particolare affinché siano evitati rischi di sovrapposizioni ideologiche e di confusione con forme tradizionali di “partecipazione politica” e siano invece esaltati gli elementi di condivisione delle decisioni tecniche e operative. Ciò è possibile attraverso strumenti costituiti ad hoc (laboratori di quartiere, workshops, gruppi di progettazione condivisa, strutture di consulenza ai residenti e agli operatori locali ecc.) che varieranno a seconda dei contesti e della natura del progetto urbano.
L’attenzione del progetto alle forme di rappresentazione e di comunicazione è volta a rendere possibile questo tipo di condivisione, sostanzialmente processuale, superando una tradizione rappresentativa tipica del progetto di architettura (i plastici, le prospettive ecc.), ma spesso poco adatta a costruire nel tempo percorsi di effettiva condivisione di scelte e decisioni.
Le forme di partecipazione possono arrivare al concorso in prima persona della collettività locale nel progetto: dalla gestione di spazi o attrezzature di uso pubblico alla partecipazione diretta alle trasformazioni attraverso forme associative o consortili. In genere, maggiore è la partecipazione, più alte le probabilità di successo del progetto urbano. Vi sono, dietro questa constatazione, motivi strutturali. Il progetto urbano agisce in contesti già insediati, nei quali spesso la frammentazione proprietaria è alta e sono sempre presenti numerosissimi portatori di interessi singoli o associati. Esso si rivolge ad una moltitudine di stake holders le cui voci possono essere dissonanti ed anche acute, ma i cui vantaggi derivanti dalla realizzazione del progetto sono certi, misurabili e quasi sempre poco comunicati e considerati. Nella città che non si espande più, ma si trasforma “su se stessa” è questo un aspetto decisivo.
Quanto alla concertazione tra i diversi soggetti pubblici e tra questi e i soggetti privati essa deve basarsi su regole certe e valide “erga omnes”, e sulla chiarezza e trasparenza delle valutazioni economico-finanziarie (v. sopra, primo principio).
E’ importante che il punto di vista imprenditoriale sia presente – in forme trasparenti ed esplicite – fin dalle prime fasi di formazione del progetto urbano, sia come elemento di verifica operativa delle valutazioni di fattibilità, sia per fornire un contributo di idee e di “saper fare” tipico dell’approccio imprenditoriale. Nel progetto urbano possono trovare applicazione positiva molte delle norme introdotte dalla legislazione recente in materia di “promotore” e tecniche ormai consolidate di finanza di progetto.
Soprattutto è importante che l’idea stessa di concertazione tra soggetti pubblici e privati perda quei connotati di affarismo e poca chiarezza che l’hanno caratterizzata in periodi anche recenti, L’idea che l’introduzione di automatismi e di regole rigide nella produzione di città e nell’affidamento della costruzione di opere pubbliche – tipico il caso del “massimo ribasso” – sia antidoto efficace nei confronti di fenomeni collusivi e di comportamenti disonesti si è dimostrata piuttosto superficiale. La correttezza dei comportamenti amministrativi e imprenditoriali è l’unico vero antidoto, ed essa è favorita dalla diffusione di forme partecipative, dalla trasparenza dei negoziati, dall’attenzione alla qualità dei risultati e da efficaci sistemi di controllo. Anche da questo punto di vista il progetto urbano può dare occasioni di pratiche virtuose nella costruzione della città contemporanea.
Roma, gennaio 2004
[1] v. F. Mancuso, “Vitalità del progetto urbano”, in “Il progetto urbano . . .”, a cura di C. Gasparrini, Liguori ed., Napoli, 1999)
[2] v. E. Piroddi, P. Colarossi, “Manuale di ingegneria civile”, Vol. 3, “Urbanistica. La Progettazione, pp 544-57
[3]
Hall P., Cities of tomorrow, Basil Blackwell,
Oxford, 1988
[4] Per una descrizione sintetica molto efficace di questo passaggio v. Secchi B., Prima lezione di urbanistica, Laterza, Bari, 2000, Cap. V.
[5] Bruno Gabrielli è stato tra i primi assertori di questa evoluzione. V. Gabrielli B., Introduzione a Lynch K., Progettare la città, la qualità della forma urbana, Etas Libri, Milano, 1990; id., Il recupero della città esistente, Etas Libri, Milano, 1993.
[6]
. In questa nota mi riferisco a progetti urbani nel contesto
europeo, ed in particolare all’esperienza romana e ad alcuni casi inglesi
e francesi. Una interessante interpretazione del significato del progetto
urbano alla scala globale, come dimensione generale della nuova urbanistica
è in Borja J., Castells M., Local y global. La
gestiòn de las ciudades en la era de la informaciòn, Taurus, Madrid, 1997 (trad. it. 2001)
[7] de Solà Morales M., Un’altra tradizione moderna, in Lotus International, n. 4, 1989, p. 12
[8] V. Gasparrini C. (a cura di), Il progetto urbano, una frontiera ambigua tra Urbanistica e Architettura, Liguori Editore, Napoli, 1999
[9]
de Solà Morales, cit. p. 28
[10] Mi riferisco qui a quella che Nuno Portas considera la “terza generazione” di progetti urbani, e cioè a quelli che, in definitiva, assumono come contesto i temi rilevanti della città contemporanea. V. Portas N., Interpretazioni del progetto urbano, in Urbanistica n. 110, giugno 1998.
[11] Già nei Programmi di recupero urbano (ex art. 11 L. 493/93) che introducevano alcuni elementi tipici del progetto urbano si era verificata l’utilità di inserire piani attuativi entro alcuni programmi stessi. Le Norme Tecniche di Attuazione del nuovo PRG di Roma adottato il 20 marzo 2003 danno per la prima volta una sistemazione normativa del progetto urbano (art. 16) e prevedono esplicitamente la possibilità che esso utilizzi piani attuativi tradizionali. “Il Progetto urbano approvato individua, mediante elaborati grafici, normativi e descrittivi: gli interventi diretti, gli interventi indiretti per i quali ha valore di strumento urbanistico esecutivo, le eventuali aree per interventi indiretti da assoggettare a successivo strumento urbanistico esecutivo.” V. Comune di Roma, Nuovo Piano Regolatore, Norme Tecniche di Attuazione, Roma, Luglio 2003
[12] Tra gli antecedenti illustri del progetto urbano contemporaneo, che ne hanno anticipato alcuni metodi e contenuti, si possono citare: le ZAC francesi (Zones d’Aménagément Concerté); l’azione delle UDC inglesi (Urban Development Corporations), i PRU italiani (Programmi di recupero o di riqualificazione urbana). V. Garano S., Progetti urbani per le periferie, limiti e opportunità dei Programmi complessi, in Pallottini R. (a cura di) I nuovi luoghi della città, Fratelli Palombi editori, Roma, 1999.
[13] Mi riferisco alle tesi avanzate da Elio Piroddi in diverse sedi ed in particolare in: Piroddi E., Uso sociale dello spazio pubblico nella società contemporanea, inMattogno C. (a cura di), Idee di spazio, lo spazio nelle idee, F. Angeli ed. Milano, 2002.
[14] Per il progetto urbano è decisiva non la proprietà dei beni ma la qualità della loro reale offerta e la possibilità che essi siano utilizzati da tutti i cittadini.
[15] Secondo dati del Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Roma gli investimenti in opere pubbliche generati dai Programmi di recupero urbano avrebbero avuto una dimensione media tripla rispetto a quelli realizzabili attraverso i normali oneri concessori. In base alle Norme Tecniche di Attuazione del nuovo Piano Regolatore Generale (v. nota 9) la cessione al Comune di aree libere, e di corrispondenti previsioni edificatorie, all’interno delle nuove centralità urbane e metropolitane da pianificare con progetti urbani, rappresenta mediamente circa il 50% del totale delle aree e delle previsioni di nuova edificazione.
[16] Esemplari, da questo punto di vista le elaborazione svolte nel corso del 2002 dal DAU nell’ambito della convenzione con il Comune di Roma, Dipartimento politiche del territorio, “Studio di prefatttibilità di un progetto urbano per l’ambito di Viale Giustiniano Imperatore”. Per una sintesi v. Cecchini D., Il caso di Viale Giustiniano Imperatore a Roma, in Urbanistica Dossier, n. 57, marzo 2003
[17] Caso paradigmatico degli effetti del prevalere di risorse e forze sovra locali nella costruzione di uno spazio urbano è il gruppo di grattacieli a Canary Wharf (circa tre miglia ad est della City di Londra). La battuta dei londinesi “Manhattan sul Tamigi” esprime bene l’assenza di una effettiva integrazione rispetto alla realtà locale. In questa parte dei docklands è mancato un approccio del tipo “progetto urbano”. Del resto nelle “città globali” sembra che i luoghi del capitale finanziario non sappiano che assumere la forma definitivamente interscambiabile di agglomerati di grattacieli. All’altro estremo un esempio di notevole integrazione tra forze globali e realtà locali può forse essere individuato, pur secondo modi di dissonanza e opposizione formale, nel Guggenheim Museum di Bilbao
[18] Il riferimento è alle due fondamentali leggi del 1990, la L. n.142 e la L. n. 241, e alle successive leggi “Bassanini”, confluite nel Testo Unico delle leggi sugli Enti Locali (D. Lgs. 18 agosto 2000).
[19]
La maîtrise d’ouvrage urbaine est un concept qui témoigne
d’une volonté de management global de l’aménagement et du développement
urbain. La maîtrise d’ouvrage urbaine organise la structure de décision
et de concertation entre les différents acteurs du développement urbain.
Ces acteurs sont notamment: les collectivités locales et leurs aménageurs;
l’État, les constructeurs; les organismes financiers; les gestionnaires
de logement sociaux; la population locale. Elle a également pour rôle d’assurer
la coordination entre tous les intervenants. . .
in Masboungi A., Fabriquer la ville, La documentation Française,
Paris, 2001, p.215.
Nella cultura e nella prassi francesi
il Maître d’ouvrage è la persona fisica o morale, pubblica o privata,
che decide di realizzare l’operazione, dispone degli immobili e dei finanziamenti,
fissa il programma e i tempi, affida le progettazioni e i lavori, sigla
i relativi accordi e contratti. Il Maître d’œuvre è la persona fisica
o morale cui il Maître d’ouvrage affida la concezione e il controllo
della realizzazione dell’operazione. Può ricevere l’incarico di tutte le
fasi progettuali e della direzione dei lavori. (vedi AAVV, Projets Urbains en France, Èditions du Moniteur, Paris,
2002, pp.198-199)
[20] La formazione delle Società di Trasformazione Urbana (STU), e in molti grandi comuni urbani di “Società di Servizi” volte anche alla progettazione e realizzazione di interventi urbani, sembra andare in questa direzione. Le esperienze concrete tuttavia sono ancora troppo limitate per poter trarre primi bilanci.
[21] Anche in questo caso appare significativa l’esperienza romana dei “Programmi di riqualificazione urbana” e “di recupero urbano” (anche se i secondi sono tutt’ora inspiegabilmente bloccati dalla Regione Lazio) e quella di alcuni grandi progetti urbani in corso di realizzazione: Ostiense-Marconi (parco Tevere Sud, riorganizzazione Parco Schuster, aree Papareschi), Bufalotta (parco delle Sabine e della Marcigliana), Pietralata (parchi di Pietralata e di Campo Lanciani)
[22]
Masboungi A., Introduction e Le projet
urbain à la française, in Projet Urbains en France, cit.
[23] A Paris Citroën il piano urbanistico è stato approvato nel 1976, il parco inaugurato nel 1992, gli alloggi, uffici ed edilizia per attività sono tuttora in costruzione; a Roma Ostiense-Marconi la prima nuova sede di facoltà universitaria è stata inaugurata nel 1999 assieme al teatro India, ed oggi può dirsi che sia stato realizzato un terzo di quanto previsto. E così via.
[24] Vedi Piroddi E., cit, p. 107
[25] Un esempio per tutti: la London Docklands Development Corporation, costituita nel 1981 con ampi poteri e risorse per riorganizzare l’intera area dei Docklands londinesi, ha cessato di esistere nel 1998, dopo aver completato buona parte degli interventi e trasferito ai Boroughs locali e ad altre authorities le proprie funzioni e proprietà.