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IL NUOVO PIANO: CONTENUTI STRUTTURALI E OPERATIVI

LA DIMENSIONE STRUTTURALE E LA SUA ARTICOLAZIONE


 


Negli anni dal 2001 al 2008 la gestione urbanistica è stata orientata dal nuovo piano in formazione. La cronologia delle principali tappe è sintetizzata nel prospetto 1. I successivi passaggi hanno apportato parziali modifiche, più consistenti al momento della adozione, meno al momento della approvazione.

Prospetto 1 Le tappe del nuovo Piano regolatore Generale

1997 Adozione della prima fase del nuovo piano detta “Piano delle Certezze”
2000 Approvazione da parte della Giunta Rutelli della prima edizione del nuovo piano
2002 Approvazione da parte della Giunta Veltroni della nuova edizione
2003 Adozione (19/20 marzo)
2003 Scadenza presentazione delle osservazioni (7000 osservazioni pervenute)
2004 Approvazione della variante delle Certezze (28 ottobre)
2006 Delibera di Controdeduzioni (21/22 marzo)
2008 Approvazione definitiva del Nuovo PRG (12 febbraio)
2008 Pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio (14 marzo)

Ma in sostanza può dirsi che il piano approvato e formalmente vigente dal 14 marzo 2008, è nella sua impostazione, nella sua struttura e nella gran parte della sua disciplina, quello scaturito dalla nuova urbanistica romana. La sua attuazione può proseguire in un regime giuridico di piena vigenza. (Fig. 1)


fig. 1: Sintesi del nuovo piano regolatore

Il Piano regolatore è strutturato secondo tre grandi sistemi: Il sistema insediativo, il sistema ambientale e il sistema dei servizi, delle infrastrutture e degli impianti (vedi Prospetto 2).
A loro volta i sistemi si articolano in componenti, ciascuna delle quali fa riferimento alla sua norma tecnica o regola. Da qui la dizione “Sistemi e Regole” che organizza sia le legende degli elaborati grafici prescrittivi sia le norme tecniche corrispondenti. I differenti tipi di elaborati, prescrittivi e non prescrittivi che costituiscono il piano sono elencati nel Prospetto 3.

 


PROSPETTO 2 : I TRE SISTEMI DEL NUOVO PIANO REGOLATORE

 

PROSPETTO 3 : I DIVERSI TIPI DI ELABORATI DEL NUOVO PIANO REGOLATORE, PRESCRITTIVI E NON PRESCRITTIVI

Prima di descrivere nei paragrafi seguenti l'articolazione della struttura del piano e la sua dimensione operativa sono necessarie due considerazioni generali.
La prima muove da quella vera e propria rivoluzione avvenuta nell'economia romana negli anni a cavallo del secolo grazie anche alle politiche urbanistiche che l'hanno sostenuta e accompagnata dall'inizio del 1994. Da una condizione di dipendenza dalla pubblica amministrazione, dal sistema delle partecipazioni statali e dall'industria delle costruzioni, l'economia romana si è dimostrata capace di trasformarsi in uno dei poli più evoluti e dinamici del paese. Diversi settori industriali, ma soprattutto l'amplissimo e composito comparto dei servizi privati alla produzione, specie di quelli a maggiore contenuto innovativo come l'informatica, la ricerca, il multimediale, le attività professionali, hanno segnato ritmi di crescita straordinari, superiori a quelli verificatisi nelle altre grandi città italiane. Il passaggio dalla base economica tradizionale a quella fondata sui servizi avanzati, sulla conoscenza e sulla ricerca, è arrivato tardi, ma si è svolto con intensità e rapidità inaspettate. A una evoluzione di tale entità, certamente connessa a processi economici e a scelte politiche di livello nazionale – si pensi al progressivo smantellamento delle partecipazioni statali e al blocco della crescita occupazionale nella pubblica amministrazione – hanno contribuito significativamente anche le scelte urbanistiche compiute dal '94 in poi, ora sancite dal nuovo piano vigente. La riduzione drastica delle previsioni edificatorie e delle attese di rendita fondiaria ha “rappresentato un incentivo per il mondo imprenditoriale e finanziario romano a individuare nuovi ambiti di investimento ”(86). Naturalmente la “bolla immobiliare” degli anni 2000 con i suoi valori drogati ha ridotto l'effetto positivo della manovra urbanistica. Ma questa ha una durata temporale e una dimensione territoriale tali da resistere a fenomeni congiunturali, ancorché rilevanti. Il nuovo piano rappresenta dunque una città in cui la popolazione è sostanzialmente stabile, che si misura con la sua mutevole condizione, non più di città in espansione, ma di città in trasformazione, che nel riconoscersi trova le ragioni del rilancio del suo straordinario patrimonio e costruisce la sua nuova identità e la sua nuova immagine. Nel momento della approvazione formale si sono saldate le due manovre convergenti della pianificazione generale e della sua attuazione già coerentemente in atto dall'adozione del piano delle certezze.
Nasce qui la seconda considerazione. La pratica di una pianificazione “processuale” ha permesso di ricondurre la trasformazione urbana entro il controllo pubblico grazie a un piano “in elaborazione” più forte di un piano approvato. Un piano in cui era chiara la direzione pubblica in quanto erano chiari gli indirizzi e le scelte. Un piano condiviso tra amministrazione e forze economiche e produttive, nato all'inizio come un “manifesto” e attuato con determinazione e continuità. Un piano che ha avuto riconosciuti e operanti tutti i principi di salvaguardia ambientale, di trattamento del “residuo” del piano precedente e di definizione del rapporto tra territorio urbano e territorio “non urbano” ( 87 ). Dal primo poster plan del 1995 alla Variante generale delle “Certezze” del 1997 e poi al piano adottato nel 2003, non si è mai derogato rispetto ai principi informatori e alle scelte strutturali, né nella teoria né nella prassi. Il poster plan ha fissato all'inizio i principi e alcune scelte fondamentali. Il principio di coniugare insieme “storia e natura” come criteri ispiratori; il principio del nuovo modello di assetto policentrico e del recupero della “città esistente”; il principio del ritorno (massimo possibile) della rendita alla città; le scelte, di respiro metropolitano, in merito al sistema ambientale e al riuso delle ferrovie per il trasporto pubblico di massa; le scelte degli ambiti di recupero e di riqualificazione legati a programmi attuabili, anche per la parte pubblica essendo privati.
Oggi il Piano regolatore è vigente e, come sempre nella vita delle città, è in atto una continua e diffusa trasformazione. Il nuovo disegno della metropoli policentrica comincia a vedere la luce e il piano ne è tassello fondamentale. Inoltre il piano provinciale adottato di recente prosegue, in coerenza, il cammino intrapreso.
Le nuove centralità già contribuiscono al decentramento fisico delle attività di livello urbano e metropolitano, decentramento sul quale è impostata la costituzione delle nuove “città di Roma”. Dunque sotto il profilo delle quantità e delle localizzazioni il nuovo piano ha evitato
Ma non tutto procede con la coerenza e con i tempi necessari. La scommessa della qualità urbana è tutt'altro che vinta. Nel 2005 una decisione del Consiglio comunale constatava i progressi ma soprattutto i limiti nella concreta realizzazione delle nuove centralità urbane e metropolitane e dettava le misure necessarie per correggere la rotta, e garantire la effettiva regia pubblica delle attuazioni. Ma la decisione è rimasta inapplicata. Sicché la realizzazione dei nuovi “centri città” sostenibili e di alta qualità, ove siano localizzate le funzioni previste e sia assicurata la guida pubblica delle trasformazioni nel tempo, elementi essenziali per la qualità del nuovo assetto metropolitano, è ancora al palo. Resta un compito ineludibile, ancora affidato al prossimo futuro.

QUADRO METROPOLITANO

L'assunzione del quadro metropolitano è stata una scelta culturale, tecnica e operativa, esplicita fin dall'inizio della nuova urbanistica. Nel corso del processo di pianificazione si sono progressivamente chiariti i limiti entro i quali tale assunto poteva esercitarsi. Le mancate riforme dell'urbanistica e dell'istituzione dei governi metropolitani hanno fatto sì che il piano approvato non potesse che essere un Piano Regolatore Generale ex lege 1150/42, e quindi fosse limitato al territorio comunale, fosse “conformativo” delle proprietà e che i ruoli e le competenze dei municipi, fossero quelli angusti della normativa vigente ( 88 ).
Il nuovo piano dunque, pur assumendo l'area metropolitana come riferimento, deve limitarsi a riordinare e strutturare il territorio comunale, riconnettendo i tre sistemi principali – ambientale, infrastrutturale e insediativo – ai quali è affidata l'integrazione con il territorio metropolitano.
Anzitutto uno sguardo alle dimensioni. La superficie territoriale della provincia di Roma è di circa 5200 km2, ed è la somma di 121 comuni.
Circa 1800 km2 di territorio provinciale sono ripartiti tra 51 comuni esterni al bacino fisico-geografico di Roma. L'area metropolitana se individuata nei suoi limiti geografici e morfologici, avrebbe una superficie di circa 3400 km2 e includerebbe 70 comuni. Di questi 30, direttamente confinanti con il comune di Roma, costituirebbero la prima cintura e 40, adiacenti ai primi, la seconda.
Il comune di Roma, al centro dell'area, ha una superficie di 1290 km2. Questo vastissimo territorio è paragonabile alla somma dei territori delle nove principali città italiane(Fig. 2). Il “gigantismo” del territorio comunale gli conferisce già i connotati d'area vasta e lo rende di fatto origine, corpo principale e motore dell'intera area metropolitana. Ma la reale area metropolitana si misura con la sua dimensione geomorfologica e con il suo sistema economico-funzionale e di relazioni, non con la sua suddivisione amministrativa.

FIG 2. Il territorio del comune di Roma equivale alla somma dei nove maggiori comuni italiani

L'andamento demografico della popolazione residente nel comune di Roma è stato monitorato nel corso di tutto il processo di pianificazione, dalle prime indagini del 1994-95 (89) alle verifiche condotte prima della adozione nel 2003, e prima delle controdeduzioni nel 2006. (Tab. 1)

I dati elaborati per il piano si sono rivelati di ottima approssimazione anche alla verifica con il censimento ISTAT del 2001, e anzi hanno evidenziato la necessità di aggiustamenti da parte dell'ISTAT stesso, aggiornamenti pubblicati nel 2006. Due sono le considerazioni da fare.
La prima è che, entro i confini del Comune di Roma, la popolazione è pressoché stabile dalla fine degli anni '70, con un lieve flesso alla fine degli anni '90 e una successiva ripresa.
La seconda è che la composizione di questa popolazione è profondamente cambiata e sta ancora mutando. La popolazione è invecchiata e il numero delle famiglie è aumentato con ritmi anche più rapidi rispetto alle ipotesi fatte a metà degli anni '90. L'immigrazione compensa la diminuzione della popolazione e contribuisce fortemente all'incremento della natalità. Si consolida quantitativamente e qualitativamente il fenomeno della “erosione residenziale”. Si è accertato che le nuove attività tipiche della riconversione economica di Roma, e genericamente classificate come “servizi all'impresa” si sono insediate e continuano a insediarsi nel patrimonio originariamente destinato a residenza. Complessa quindi è stata la lettura delle reali destinazioni del patrimonio esistente e la valutazione degli eventuali futuri usi in funzione della domanda di spazi per attività .(90)
Secondo una valutazione della domanda che include le possibili variazioni in uno scenario di sostanziale stabilità nel medio periodo, si è ricercata la migliore e più equilibrata strategia per la convergenza di domanda e offerta di spazi residenziali e non residenziali nel breve e nel medio periodo, con margini di flessibilità per eventuali aggiustamenti (91) . Movimenti di popolazione residente e localizzazioni di attività in ogni caso non possono essere letti all'interno dei confini del comune di Roma. Mentre Roma rimane pressoché stabile i comuni intorno crescono. L'osmosi tra i comuni è totale per le residenze e per le attività produttive.
Naturalmente i comuni connessi con Roma da una linea di trasporto pubblico di massa partecipano per primi e più intensamente alle dinamiche di sviluppo economico dell'ultimo decennio e crescono anch'essi. Il Piano Provinciale di recente adottato ha misurato il fenomeno. La popolazione della provincia cresce, anche se in misura contenuta. La ricerca di alloggi e di spazi per attività a costi minori dà impulso al fenomeno, peraltro legato anche ad altre e non secondarie cause. Soprattutto le famiglie giovani tendono a lasciare i quartieri ad alta densità degli anni '60-'80 per trasferirsi in aree esterne nelle quali è possibile avere case con giardino ( 92) . Ma è da tempo evidente che i fenomeni legati alle scelte localizzative di residenze e attività e ai movimenti della popolazione si possono governare solo con politiche d'area metropolitana. Da questo punto di vista il piano comunale approvato, in assenza di un piano strutturale metropolitano, contribuisce alla prospettiva metropolitana con tre fondamentali scelte strutturali.
La prima nasce, già in termini prescrittivi, con il Piano delle Certezze e viene poi confermata dal piano approvato dieci anni dopo è la scelta di destinare i due terzi del territorio comunale ad aree agricole o a parchi (877 km2 pari al 68%). Roma resta il più grande comune agricolo d'Italia. Le decisioni in merito al sistema ambientale sono state condivise con la Regione fin dall'inizio, e in seguito con la legge regionale istitutiva delle aree protette (1997), a conferma del costante orientamento metropolitano del piano comunale. Il sistema delle open areas nasce e si consolida come sistema metropolitano.
La seconda scelta, la priorità al trasporto pubblico di massa e in particolare al riuso in chiave metropolitana delle linee ferroviarie di superficie, si è anch'essa progressivamente costruita attraverso accordi con FS SpA condivisi con la Regione e la Provincia. Fin dal primo accordo di programma del 1994 e dalla prima realizzazione – l'entrata in esercizio della linea passante FM1 da Fara Sabina a Fiumicino ,(93) e poi in tutte le tappe successive (94) la costruzione di un moderno sistema di trasporto su ferro ha avuto come orizzonte esplicito, dichiarato e costantemente perseguito, l'orizzonte metropolitano.
Infine la terza scelta, quella del modello di assetto policentrico è per concezione e per definizione una scelta di orizzonte metropolitano. Lo confermano non solo le successive adozioni del PTC provinciale fino alla più recente del 2008 che dovrebbe preludere alla definitiva approvazione, (95) e il forte rapporto tra i centri esterni dell'area metropolitana e le nuove centralità, (96) ma soprattutto la scelta operata nel dimensionamento e nel disegno del nuovo piano. La scelta cioè in base alla quale eventuali nuove esigenze di crescita non potranno trovare risposta se non nell'eventuale densificazione dei comprensori già inseriti nel piano e, soprattutto, nella crescita dei centri metropolitani esterni, serviti dalle linee metropolitane regionali di superficie.
Approvando un piano “di minima” Roma ha dato il contributo più significativo alla costruzione, fin da oggi, dell'area e del governo metropolitano.

PIANO SOSTENIBILE

Il sistema ambientale dell'area romana era stato definito, nella sua dimensione territoriale e in termini normativi e gestionali con il piano delle certezze (p. B344). Con l'approvazione del nuovo piano il sistema si consolida come elemento strutturante primario dell'intero territorio; se ne dettagliano e rafforzano le componenti; con una normativa molto accurata, si preparano le basi per un grande progetto di miglioramento ambientale sia per le open areas sia per le aree urbanizzate. Tutti i temi per l'ottimizzazione della sostenibilità urbanistica già enunciati in sede di adozione sono affrontati e perseguiti: (97) il risparmio di suolo, le nuove scelte per una mobilità non inquinante, la rigenerazione della risorsa acqua, la rigenerazione della risorsa aria con l'aumento della biomassa, la rigenerazione dei suoli contaminati, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, il controllo dell'inquinamento acustico.
Componenti fondamentali del sistema ambientale sono le aree naturali protette nazionali e regionali, il reticolo idrografico di superficie e profondo, i parchi agricoli e l'agro romano. Elemento strutturante e connettivo dell'intero sistema è la “rete ecologica”, che ha carattere prescrittivo ed è definita in tavole alla scala 1:10.000 (v. la scheda dedicata). Il notevole lavoro di approfondimento e di dettaglio svolto tra l'adozione del piano (2003) e le controdeduzioni (2006) rende questi elaborati del tutto congruenti e complementari con quelli prescrittivi di “sistemi e regole” contribuendo in tal modo a disegnare l'intero territorio comunale. (Fig. 5)

FIG. 3. SINTESI DEL SISTEMA AMBIENTALE E DELLA RETE ECOLOGICA SECONDO IL NUOVO PIANO REGOLATORE GENERALE

La componente dei parchi istituiti con leggi nazionali o regionali nel territorio comunale di Roma è quantitativamente e qualitativamente assai consistente. Quantitativamente i parchi coprono circa 411 km2 (32% del territorio comunale) e le aree libere, open areas a prevalente destinazione agricola, circa 467 km2 (36 %). La parte rimanente (412 km2 pari al 32 %) sono “città”, parchi urbani e verde di quartiere inclusi. Il piano approvato include anche alcuni “parchi agricoli comunali” in parte indicati già nella prima selezione di “aree protette” deliberata dal Consiglio Comunale a metà degli anni '90 ( poster plan ), ma mai trasformate in parchi regionali: le aree agricole di Casal del Marmo, dell'Arrone – Galeria e di Rocca Cencia. Nei Parchi agricoli, oltre all'esercizio dell'agricoltura, sono previste attività economiche complementari compatibili con una nuova normativa che garantisce una più attiva e sostanziale tutela ambientale. Qualitativamente il sistema dei parchi circonda e penetra le aree urbane e determina, insieme alle zone agricole, un disegno di scala metropolitana e regionale di grande respiro. La metafora che ha spesso paragonato il disegno degli insediamenti come “isole” più o meno grandi nel “mare” dei parchi e della campagna nasce dalla lettura di questa specificità del territorio romano, e ne costituisce uno dei valori strategici principali.
Al momento le norme del piano approvato regolano i rapporti con le norme dei piani degli altri Enti sovraordinati, in quanto, non essendo stati ancora approvati la maggior parte dei piani dei parchi, ci troviamo in un regime di salvaguardia che vede insieme la responsabilità del Comune e degli altri Enti competenti fino alla approvazione specifica di tutti i piani di assetto. Le norme approvate per le zone agricole sono sostanzialmente quelle già approvate con il piano delle certezze,unificando però le due zone agricole dello stesso piano (H1 ed H2) in una sola (Agro romano) e generalizzandole norme più restrittive.

LA STRATEGIA DELLA ACCESSIBILITA'

Il piano di interventi per affrontare il problema della mobilità, il più sentito dai romani e freno allo sviluppo dell'area metropolitana, è stato affrontato in modo sistematico all'inizio degli anni novanta.
La presa d'atto del deficit pregresso di offerta di trasporto pubblico di massa per la città esistente e la necessità di ricompattare gli insediamenti programmati sono stati i dati di partenza. Rispetto al primo problema la scelta strutturale del piano, anticipata nel poster plan del '95 e coerente con il principio di sostenibiltà, è quella della priorità assoluta al trasporto su ferro, sia alla scala metropolitana che a quella urbana. Per migliorare le condizioni attuali, da un lato si è lavorato per servire con le metropolitane in sotterraneo la città più densa, dall'altro si è posto mano alla riconversione delle ferrovie di superficie esistenti perché potessero essere usate per il trasporto pubblico metropolitano. In altri termini, guardando alle esperienze tedesche (s-Bahn e U-Bahn) e a quelle francesi (RER e Metro) (98) e in sintonia con gli strumenti di programmazione del settore (PROIMO, PGTU, (99) piani urbani del traffico) il piano ha disegnato il nuovo sistema di mobilità integrato con quello insediativo secondo il“modello di ‘concentrazione decentralizzata' che si basa sullo sviluppo policentrico e la localizzazione dei servizi attorno ai nodi della rete di trasporto pubblico a elevata capacità, estesa nelle periferie e resa più capillare nell'area centrale” (100). Stabiliti i principi e le linee fondamentali,anche in questo caso si è agito secondo un logica “processuale”e operativa che ha visto le prime realizzazioni già nella metà degli anni '90. Il riuso in chiave di trasporto metropolitano delle linee ferroviarie esistenti, definito attraverso protocolli e accordi di programma con FS SpA,Regione e Provincia, si è integrato con un programma di investimenti e realizzazioni per due nuove linee metropolitane ( la C oggi in fase di costruzione e la D in project financing ) e per il prolungamento delle due linee esistenti. I tracciati sono illustrati nelle Figg . 4e 5.

FIG. 4. INFRASTRUTTURE PER LA MOBILITÀ NEL NUOVO PIANO REGOLATORE GENERALE


FIG. 5. RETE DEL FERRO E COPERTURA TERRITORIALE

Rispetto al secondo problema – il ricompattamento degli insediamenti programmati – oltre ad aver assunto il criterio di accessibilità per orientare la riduzione del“residuo” del vecchio piano, si è scelto con determinazione di appoggiarsi, per i nuovi insediamenti, alle linee di trasporto ad alta capacità esistenti o programmate. Le norme del piano (art. 13 comma 12) impongono la verifica della sostenibilità trasportistica per ogni intervento indiretto che determini un peso urbanistico aggiuntivo, la definizione delle infrastrutture da realizzare a sostegno, e la ripartizione degli oneri per la loro realizzazione. L'esperienza degli ultimi anni ha confermatola possibilità di misurare con buona approssimazione sia lo stato attuale sia le previsioni. Da queste ultime discende la possibilità di valutare le risorse economiche necessarie e di definire quanta parte dell'investimento è risposta al deficit pregresso e quanta è indotta dal nuovo intervento. Secondo la stessa linea, e a maggior ragione, il piano prescrive per le nuove centralità, interventi strategici con pesi insediativi consistenti e per i quali è obbligatorio il ricorso al progetto urbano, la necessità della contestuale realizzazione delle infrastrutture per il trasporto pubblico di massa. (art. 15 commi 2 e 7). Per le centralità già pianificate e per le quali le connessioni con il sistema del trasporto pubblico non sono ancora realizzate il piano indica le infrastrutture da realizzare, le quali hanno priorità nella programmazione finanziaria pubblica. Ad esempio la linea metropolitana che deve raggiungere la centralità di Bufalotta è in costruzione in un primo tratto (fino a Conca d'Oro) finanziata e in progettazione (fino a Viale Ionio), in studio di fattibilità sul tracciato previsto nel tratto finale (fino a Bufalotta). Altro contributo innovativo del Piano è stata l'introduzione e la regolamentazione dei “corridoi riservati al trasporto pubblico di superficie”. La costituzione di una riserva di spazi da usare poi con specifiche soluzioni a seconda della domanda di trasporto, è una innovazione che sta già producendo i suoi effetti nella gestione ordinaria delle trasformazioni. Il lavoro fatto ha prodotto un'importante novità nell'assetto e nel funzionamento della città e dell'area metropolitana. La rete delle FM (Ferrovie Metropolitane ora FR – Ferrovie Regionali) è già funzionante per 141 km (FM1,FM2 e FM3in tabella), così un prolungamento della linea A mentre quello della linea B e la linea C sono in costruzione. I nuovi TAF, Treni ad Alta Frequentazione a due piani corrono da tempo sulle linee delle ferrovie metropolitane. Sono pieni di passeggeri e anzi ne occorrerebbero di più e più comodi. La “cura del ferro”, dà già i suoi effetti. Tanto le stazioni principali(Termini, Tiburtina, Ostiense, Tuscolana, Trastevere)quanto le decine di stazioni nel territorio metropolitano si stanno trasformando per assumere nuovi ruoli nel ridisegno dell'area metropolitana.
L'obiettivo dichiarato e perseguito dalla strategia dell'accessibilità è stato quello di spostare dal trasporto privato al trasporto pubblico più utenti possibili razionalizzando e potenziando l'offerta di trasporto pubblico con la massima attenzione ai rapporti interistituzionali e finalizzando a questo obiettivo il massimo delle risorse finanziarie. Purtroppo il flusso delle risorse finanziarie attivate dallo Stato si è inaridito e si procede con lentezza su tutti i fronti. Dopo l'accordo di programma del 2000 si erano “armonizzati” piani e programmi urbanistici e per la mobilità ma il successivo accordo Regione –Ferrovie (2003) ha prodotto scarsi risultati, e la rete delle fermate delle linee metro e delle ferrovie metropolitane non ha visto implementazioni recenti. Oggi la domanda di trasporto pubblico è in continua crescita per effetto dell'aumento dei costi del trasporto privato e della ridistribuzione della popolazione tra i comuni dell'area metropolitana. Si rischia una nuova crisi per l'inadeguatezza della rete del trasporto pubblico di massa. È necessario quindi affrontare nuovamente il tema di un programma per il potenziamento della rete delle ferrovie metropolitane. Senza di che il nuovo piano di Roma rischierebbe di vedere vanificate buona parte delle sue previsioni strutturali

IL MODELLO POLICENTRICO

Come si è visto in precedenza l'urbanistica romana, grosso modo a partire dalla seconda metà degli anni '20 del novecento è andata esplicitamente alla ricerca di un “centro” alternativo a quello storico.( 102) Il nuovo Piano regolatore si libera di questa lunga e frustrante vicenda e sceglie con determinazione un modello alternativo, di scala metropolitana, multipolare e policentrico, incardinato sulla rete del ferro, circondato e percorso dal sistema storico-ambientale dell'agro romano e della rete ecologica.
A questa scelta, che caratterizza tutto il processo di pianificazione fino all'approvazione del nuovo piano concorrono diversi ordini di considerazioni. La riflessione sulla localizzazione delle attività direzionali e dei servizi avanzati, che prosegue anche dopo la discussione sullo SDO; una attenta lettura dell' “arcipelago”degli insediamenti dell'area romana, nella vastità del suo territorio, e la riflessione sugli indirizzi comunitari e sulle esperienze di altre grandi città europee; l'esigenza di alleggerire le funzioni terziarie del centro, condivisa da tutti e in particolare dalla massa degli utenti pendolari;soprattutto la necessità di dotare i tessuti periferici, interni o esterni al territorio comunale, di servizi, funzioni, attività di livello urbano e metropolitano, capaci di dar vita a veri e propri “centri città”, indispensabili per trasformare in città insediamenti di dimensioni analoghe a quelle di un medio capoluogo di provincia italiano (intorno ai 150.000 abitanti),ma privi appunto di “centralità”.
Dunque la scelta strategica del policentrismo, affiancata dalla determinazione per la realizzazione della rete del trasporto pubblico di massa, è stata fin dall'inizio uno dei tre pilastri del piano .(103)

 

FIG. 6 . STRUTTURE DEL PIANO E STRATEGIE METROPOLITANE

Per ridisegnare l'assetto della città e delle sua area la strategia policentrica si basa sulle nuove “centralità urbane e metropolitane”.
L'azione urbanistica si lega indissolubilmente a quella per il decentramento amministrativo, il sostegno ai Municipi e il coordinamento con i Comuni vicini. È la prima volta che si adotta un modello policentrico per Roma moderna. Peraltro il lavoro di questi anni ha confermato la assoluta diversità tra loro degli insediamenti delle periferie romane. Ogni sottoinsieme (municipi,quartieri, insediamenti sparsi di dimensioni variabili)ha un suo assetto fisico spaziale, una sua storia e suoi propri valori da recuperare come matrice per il disegno delle nuove città. È molto più significativo,ragionevole e concreto l'obiettivo un piano per “le città di Roma” piuttosto che un piano per Roma inteso come immagine complessiva. Si evita il riferimento astratto a segni ipoteticamente unificanti che scontano un evidente errore di scala, per affrontare nella realtà il tema delle diversità, vere risorse per la nuova città metropolitana. Il nuovo piano individua i luoghi per la concentrazione di servizi urbani e metropolitani, là dove si possono strutturare gli insediamenti recenti e meno dotati, nella fascia tra la città storica e i Comuni della prima cintura intorno a Roma. La città antica si libera di pesi e funzioni che non può più sostenere, gli insediamenti più esterni costruiscono una loro armatura autonoma e si collegano nella nuova rete di mobilità metropolitana. Ciò impone che le centralità debbano essere accessibili da tutta l'area metropolitana e direttamente connesse alla rete principale del trasporto pubblico. La realizzazione delle nuove centralità è quindi condizionata alla esistenza del servizio del trasporto pubblico di massa, come stabilisce il nuovo piano, che prevede specifiche soluzioni nel sistema della mobilità per ciascuna centralità. Quanto alle funzioni, quelle delle centralità debbono essere specializzate verso i servizi di livello urbano o metropolitano, a seconda dei contesti. Una ridotta quota di residenza è ammessa e prevista, per garantire la vivibilità e la sicurezza dei nuovi interventi, ma il significato delle centralità quali nuovi poli della metropoli multicentrica, luoghi di attrazione e di servizi per le periferie circostanti, magneti di “urbanità”, si ottiene solo con questo tipo di funzioni.

DA CENTRO STORICO A CITTA' STORICA

Assunti, fin dall'inizio, i valori della storia e della natura come principi ispiratori e vere e proprie “invarianti” della nuova urbanistica, il nuovo piano non poteva non dedicare una speciale attenzione e attenta cura al tema della città storica.
Già nel convegno di presentazione dei primi documenti ed elaborazioni (giugno 1999) venivano dichiarati i riferimenti culturali e la tradizione disciplinare cui si ispira il lavoro in corso. È quella “tradizione forte e nobile... che dalla carta di Gubbio del 1960, attraverso l'esemplare esperienza di Bologna degli anni '60, numerosi piani regolatori e l'azione di associazioni come l'ANCSA,l'INU, Italia Nostra, è giunta fino a noi .”(104) A quella tradizione il piano si propone di dare nuovo impulso, rinnovandola e aggiornandola, facendo tesoro delle esperienze già sperimentate sul campo (“pianificar facendo”):dalla partecipazione al vasto movimento “la scuola adotta un monumento” alla pedonalizzazione e restauro di tante piazze e spazi pubblici in centro storico,dall'azione di promozione e incentivazione al restauro delle facciate degli edifici storici alle “guide comportamentali”, al recupero di edifici e complessi moderni per attività culturali, musei, svago (105) . La prima delle innovazioni introdotte è appunto il passaggio da un concetto di centro storico a uno più ampio di città storica. In continuità con le riflessioni e le esperienze degli ultimi 50 anni nel campo del recupero, che hanno oramai consolidato l'idea che la memoria densa e stratificata,rappresentata dal centro storico, non possa più essere circoscritta entro il perimetro fisico delle mura della città di antico impianto. Il nuovo piano valica questo confine ed estende un'attenzione e un riconoscimento di qualità storica a una città e a un territorio più ampio. Non è un mero esercizio di estensione temporale, di spostamento in avanti della data entro cui collocare i valori storici, di semplice allargamento di un perimetro. Il riconoscimento della città storica sollecita un'esigenza interpretativa, una capacità di leggere parti urbane più ampie e diffuse nel territorio tradizionalmente “periferico”e di selezionare, anche entro processi di urbanizzazione più recente, quei tessuti e quei singoli materiali urbani che esprimono un valore storico e che richiedono quindi attenzione diversa volta al recupero, alla valorizzazione, e soprattutto alla fruizione. Si includono a pieno titolo nella città storica parti importanti della nostra storia recente, testimoniando così un cambiamento di sensibilità e di cultura che non si arresta all'oggi ma è destinato a evolvere nel futuro. La città storica pertanto è intesa come sistema urbano articolato e non necessariamente continuo, addensato al centro ma esteso, per concatenazioni di episodi architettonici e ambientali suscettibili di valorizzazione,dalle aree centrali verso le periferie e a tutto il territorio metropolitano.
Nel trattare la città storica il nuovo piano adotta un modello processuale non riducibile solo a un disegno pianificatorio di tipo prescrittivo, ma bisognoso di svilupparsi,attivando strumentazioni operative di tipo“indiretto”, più aperte e moderne, come la co-pianificazione e la progettazione “concertata”. Si introduce il principio di un progresso costante delle conoscenze che il piano stimola e acquisisce, di un lavoro continuo di analisi e di interpretazione nel corso del quale la stessa identità urbana si arricchisce e si amplia.
Più in dettaglio nella disciplina dedicata alla città storica il piano introduce tre approcci diversi e integrati. Il primo, di tipo regolativo, è riservato alle “componenti omogenee” per le quali gli elaborati prescrittivi di Sistemi e Regole e le norme tecniche di attuazione definiscono procedure e regole della trasformazione puntuale orientata alla tutela e alla manutenzione. Le tavole in scala 1:5.000 (Fig. 7) esplicitano l'articolazione intessuti, edifici e complessi speciali, spazi aperti e ambiti di valorizzazione nella parte centrale della città storica (incluso il litorale), mentre le aree più esterne sono rappresentate nelle tavole 1:10.000.

FIG 7. ELABORATO PRESCRITTIVO TIPO PER LA CITTÀ STORICA . . .

Le componenti del sistema insediativo attraverso le quali si articola la disciplina per la Città storica sono distinte in quattro grandi famiglie riferibili a:
Tessuti, che comprendono isolati o parti di isolato costituiti dall'aggregazione di edifici, con relativi spazi aperti di pertinenza, riconducibili a regole sostanzialmente omogenee d'impianto, suddivisione del suolo, disposizione e rapporto con i tracciati, nonché con prevalente caratterizzazione tipologica, formale, costruttiva e funzionale legata ai processi di stratificazione della città;
Edifici e complessi speciali, i complessi archeologico monumentali e gli edifici speciali singoli e aggregati,comprensivi degli spazi aperti di pertinenza e di quelli pubblici (piazze, strade, giardini) a essi connessi in un rapporto di inscindibile unità, che assumono nella struttura urbana una notevole rilevanza urbanistica, morfologica, simbolica e funzionale;
Spazi aperti, che costituiscono il sistema dei “vuoti” e che, unitamente con le parti costruite, in ragione della riconoscibilità, della compiutezza storico-morfologico architettonica e della connotazione dei caratteri orografici ed ecologico-ambientali, partecipano alla definizione dell'identità urbana;
Ambiti di valorizzazione, che riguardano luoghi che non hanno raggiunto o hanno smarrito i caratteri di identità propri della Città storica, o sono caratterizzati dalla presenza di edifici e manufatti non più utilizzati e riconvertibili a nuovi usi o che presentano fenomeni evidenti di degrado fisico e funzionale. Essi costituiscono quindi rilevanti occasioni di riqualificazione a scala locale e urbana,sia attraverso un innalzamento della qualità morfologica,sia attraverso l'inserimento di funzioni strategiche.
Il secondo approccio, anch'esso di tipo regolativo, si estende anche ai tessuti urbani diversi dalla città storica(la città consolidata, le città da ristrutturare, la città della trasformazione) per i quali è stata predisposta la “Carta per la qualità” , della quale si parla nella specifica scheda,in cui sono cartografati e classificati tutti gli elementi archeologici e monumentali visibili nel tessuto della città contemporanea, vincolati e non vincolati, dai più antichi ai più recenti, fino alle opere di rilevante interesse architettonico e urbano di età contemporanea e agli spazi aperti.
Il terzo approccio è invece di tipo programmatico e progettuale ed è rivolto agli ambiti urbani ritenuti strategiciper la possibile attivazione di dinamiche anche trasformative. Il nuovo Piano infatti, accanto ai tessuti omogenei, individua cinque grandi ambiti di progettazione strategica (Tevere, Mura, Parco Archeologico Monumentale, Foro Italico-Eur, Cintura ferroviaria)che esprimono una “visione di sfondo” della città,incardinata sulla continuità fisica di alcuni “segni”eccellenti della sua storia e che possono svolgere un rilevante ruolo nel consolidamento e nella valorizzazione della Forma Urbis . (Fig. 50)

FIG 8. AMBITI DI PROGRAMMAZIONE STRATEGICA: QUADRO DI UNIONE

Gli ambiti di programmazione strategica costituiscono cinque situazioni territoriali considerate particolarmente importanti ai fini del miglioramento della qualità e degli elementi identitari dell'intero organismo urbano.
Partendo dall'area più centrale si sviluppano linearmente(Tevere, asse Flaminio - Eur, Parco archeologico - Appia) intersecando l'intera città e attraversando quindi anche altri tessuti (quelli della città consolidata,della città da ristrutturare, della città della trasformazione,aree agricole), ovvero hanno uno sviluppo circolare(Mura e Cintura ferroviaria) a corona della Città storica,intersecando i tre ambiti a struttura lineare in punti considerati strategici.
Tali ambiti in sostanza riguardano alcuni contesti (naturali o antropici, completamente o parzialmente conservati)che hanno marcato nel tempo lo sviluppo della città e i suoi piani. A questi ambiti viene applicata una doppia normativa per l'intervento privato (attuazione diretta o premiale con i programmi integrati) e viene data particolare rilevanza a una serie di progetti (gli ambiti di valorizzazione) di iniziativa pubblica e privata.
A differenza della Carta per la qualità che ha valore gestionale per i singoli edifici e specifici spazi, essi contribuiscono a determinare quegli scenari preliminari rispetto ai quali predisporre e valutare i programmi diintervento.

FIG 9. ELABORATO INDICATIVO TIPO . . .

     

ELEMENTI DELLA DIMENSIONE OPERATIVA

La dimensione “strutturale” del nuovo piano, come si è visto, era stata già delineata con il poster plan e poi una sua parte essenziale era stata deliberata con il “Piano delle Certezze”. Allora furono stabiliti i limiti tra aree urbane e agricole, conclusa l'azione coordinata con la Regione per l'istituzione dei parchi regionali e definito il disegno dell'”arcipelago” delle città di Roma nel mare dell'agro romano. E allora fu valutata la struttura delle invarianti territoriali ed è iniziato il lavoro per l'integrazione nel sistema ambientale delle aree urbane e non urbane per mezzo della “rete ecologica”.
Di più. Nel Piano delle Certezze si sono lungamente dibattute e finalmente stabilite le norme per la trasformazione del territorio agricolo non soggetto alla pianificazione sovraordinata dei Parchi istituiti per legge. Norme per l'Agro romano pressoché confermate in approvazione e che rendono prescrittivo il Piano regolatore per (salvo i parchi) tutto il territorio comunale. Allora fu introdotto, come strumento intermedio, il Piano Ambientale di Miglioramento Agricolo.
Dunque una serie di scelte di “carattere strutturale” che definiscono il confine tra “urbano” e “non urbano” dal piano delle certezze in poi sono “prescrittive” e quindi conformative della proprietà. Da questo punto di vista il nuovo piano di Roma offre una risposta alla questione aperta dal carattere “non conformativo” che ha il piano strutturale in diverse proposte di riforma nazionali e in alcune leggi regionali. Tale carattere “non conformativo” renderebbe molto labile appunto il confine tra urbano e non urbano stabilito esclusivamente dalla norma urbanistica. Nel piano di Roma viceversa il confine è “conformativo”: in altri termini dopo il nuovo piano non è possibile alcun “Piano Operativo” che interessi l'Agro. Contemporaneamente, anche se con provvedimenti non urbanistici, furono fatte le principali scelte, poi confermate in approvazione, riguardanti il sistema delle infrastrutture del trasporto pubblico e privato.
Resta quindi da valutare come si gioca, nel piano di Roma, il rapporto tra “strutturale” e “operativo” nelle aree urbane non trattate nel piano delle Certezze 106 e quindi dichiarate e normate come tessuti urbani e/o aree potenzialmente trasformabili. Su questo territorio (circa 41.200 ettari sui 129.000 del territorio comunale) è intervenuto il nuovo piano confermando e integrando il piano delle Certezze, completando così il quadro normativo.
Quanto alla operatività il nuovo piano si attua attraverso interventi diretti (realizzabili direttamente senza titolo abilitativo o con titolo richiesto da norme statali o regionali) o indiretti (subordinati all'approvazione di strumenti urbanistici esecutivi di tipo “tradizionale” o “innovativo”).( 107) Una prima risposta del piano alla necessità di semplificazione, soprattutto nel campo della manutenzione e del recupero dei tessuti esistenti, è stata di non impedire mai gli interventi diretti. Non si congela alcuna parte della città in attesa di piani attuativi. Una base di possibilità di interventi manutentivi, di recupero o di trasformazione, questi con diritti generalmente uguali ai diritti previgenti ove confermati, è garantita a tutti. Quindi si può intervenire ovunque nella città, secondo le regole molto chiare e dettagliate fissate per i vari tessuti. Questo aspetto è stato particolarmente curato per la città storica (estesa a circa 5.000 ha con 629.725 residenti) e per la città consolidata (estesa a 10.821 ha e con 1.294.634 residenti): Si vedano in proposito la parte relativa alla Città storica e la scheda della la Carta per la Qualità. In generale la manutenzione dei tessuti esistenti che anche nella città storica, in casi specifici normati e individuati, ( 108) può includere piccoli interventi di completamento o di sostituzione, si fa in base a “regole di tessuto” molto dettagliate che potrebbero confluire in un nuovo regolamento edilizio-urbanistico da elaborare secondo nuovi criteri prestazionali. Con questo obiettivo la manutenzione e il rinnovo dei tessuti sono stati garantiti e incentivati per favorire ovunque il miglioramento bioenergetico.
Quanto agli interventi indiretti si è definitivamente preso atto del fallimento storico nella città esistente del “piano particolareggiato” che non ha mai funzionato sia per il frazionamento minuto delle proprietà sia per le difficoltà sociali di eventuali trasferimenti, anche temporanei, degli abitanti. Quindi il piano, pur mantenendo aperta la possibilità di ricorrere agli strumenti esecutivi tradizionali, privilegia nella città esistente (soprattutto “consolidata” e “da ristrutturare”) il ricorso agli strumenti “innovativi” quali i programmi integrati e i progetti urbani, agibili in realtà in ogni parte della città, naturalmente in forma diversa a seconda che riguardino parti di città esistente o parti da realizzare ex novo, che attivano forme di premialità urbanistica.
Quindi, operativamente, il recupero e la riqualificazione di parti di città esistente si avviano, sulla base di iniziative pubbliche o private in caso di inerzia del pubblico, quando partono i programmi che in genere prevedono, in caso di partecipazione dei privati, incentivi che possono arrivare a indici di edificabilità doppi rispetto a quelli previsti dall'intervento diretto.
La sperimentazione sia dei progetti urbani che dei programmi integrati ha verificato la certezza che si può mantenere un forte e qualificato indirizzo pubblico in programmi che riguardano anche aree di dimensioni consistenti. Si possono infatti disegnare programmi preliminari semplici (piani “strutturali” locali) che non incidono, nella fase di lancio, sui diritti pregressi. Questi piani preliminari d'assetto garantiscono il riferimento a un quadro urbanistico generale nel quale le grandi scelte di interesse pubblico sono determinate. La realizzazione dei programmi, sostenuta principalmente dagli investimenti privati attivati dagli incentivi, può avvenire in più fasi investendo il territorio interessato con trasformazioni puntuali, pubbliche e private, per le quali sono certi gli attori, i tempi e le risorse, coordinate e decise dai programmi definitivi.
Questa esperienza, avviata dopo la localizzazione dei programmi nel poster plan , è stata preziosa nella costruzione dell'intera impalcatura del nuovo piano.
È da chiarire e rimarcare che mentre il piano veniva perfezionato con i necessari passaggi formali ai fini della approvazione ne è stata progressivamente governata l'attuazione fin dalla adozione del piano delle Certezze (1997). Naturalmente anche nel corso degli anni precedenti l'amministrazione dell'urbanistica non si era fermata: erano così andati in cantiere i piani attuativi già perfezionati all'insediamento della nuova giunta (dicembre '93) ed erano stati poi progressivamente adottati e approvati dal Consiglio comunale quelli coerenti con le linee del poster plan e del piano delle certezze. Ciò ha richiesto in moltissimi casi l'uso degli accordi di programma: i piani attuativi coerenti con la nuova impostazione erano sempre in variante del vecchio piano del 1962-'65.
Per registrare il progressivo stato di attuazione “in itinere” del nuovo piano e permettere di valutarlo sono state considerate programmate le previsioni per le quali una deliberazione di Consiglio comunale ne avviava l'iter attuativo e da programmare le altre. Pertanto l'attuazione del piano, coerentemente con le linee e gli indirizzi già decisi, è andata realizzandosi nel tempo anche se il nuovo piano non era ancora formalmente approvato. Al termine del primo decennio della nuova amministrazione, all'atto della adozione del piano (marzo 2003) le previsioni “ programmate ” erano pari al 63% del totale; all'atto della approvazione erano pari al 77%. Restano quindi al Consiglio Comunale da adottare decisioni di tipo attuativo per circa il 23% delle previsioni.
Naturalmente le previsioni programmate non devono ritenersi tutte completamente definite: una parte lo è, o addirittura è già completamente realizzata (i piani e i progetti approvati e andati in cantiere negli anni '90), una parte deve completare il percorso di pianificazione e di progettazione. Vi è ancora un grande lavoro da svolgere, soprattutto negli ambiti di trasformazione maggiori e nei progetti urbani. Si tratta di un lavoro decisivo per una migliore qualità urbana, reso oggi più urgente e al tempo stesso praticabile proprio per il fatto che il “pianificar facendo”, necessario per ridurre l'effetto di “trascinamento” del vecchio piano (in realtà vigente fino al marzo 2008), oggi con il nuovo piano definitivamente approvato non ha più ragione d'essere e l'attuazione viene ricondotta alle procedure ordinarie.
In realtà l'approvazione formale del piano porta alla ribalta due questioni rilevanti: la programmazione degli interventi e la loro qualità.
Quanto alla programmazione deve dirsi che il tema è stato affrontato in termini operativi e con determinazione solo nel primo mandato Rutelli, con il poster plan del 1995 che indicava gli interventi prioritari. Oggi quegli interventi sono realizzati o in via di realizzazione ed è quindi tempo di affrontare una nuova fase di programmazione, di scegliere nuove priorità. Compito facilitato dagli stessi contenuti del piano approvato che subordina alla presenza del trasporto pubblico di massa, o alla sua avviata realizzazione, l'avvio delle trasformazioni più rilevanti.
Quanto alla qualità urbana degli interventi – cui certo non è estranea la presenza del trasporto – la citata deliberazione del 2005 che fa tesoro dell'esperienza compiuta nella attuazione delle centralità urbane e metropolitane è indicativa e costituisce riferimento per l'attuazione degli obiettivi del nuovo piano.

DALLA ZONIZZAZIONE AI TESSUTI

Così come il piano propone una nuova organizzazione del territorio e una nuova funzionalità alla grande scala sulle quali si gioca gran parte del futuro della città nel suo complesso, così individua anche un secondo necessario livello di riorganizzazione, che riguarda gli interventi sui tessuti della città esistente oggi senza forma e sostanza urbana.
Questo secondo livello è decisivo soprattutto per le parti di città consolidata e da ristrutturare che oggi sono “periferie” e per le parti più centrali degradate. Riconnettere con nuovi progetti i quartieri nati con modelli autonomi, sempre trattati come parti separate, con delle politiche di integrazione è l'obiettivo che ha condotto alla scelta di una articolazione territoriale per tessuti e non per zonizzazione e alla scelta del programma integrato come modalità principale di intervento.
È una riorganizzazione a una scala più vicina agli abitanti, che in prospettiva vede il coinvolgimento prioritario dei 19 Municipi, in particolare sotto il profilo gestionale. È finalizzata alla riqualificazione diffusa dei sistemi locali, è incentrata su un'articolazione territoriale del sistema insediativo per città (città storica, città consolidata, città da ristrutturare, città della trasformazione) a loro volta articolate in tessuti e ambiti, che sostituiscono la zonizzazione territoriale monofunzionale – del tutto incompatibile con il principio dell'integrazione funzionale alla base del nuovo Piano – e che si sostanzia attraverso il sistema di nuove regole e nuove procedure. La città ha una stratificazione storica e una configurazione morfologica che non possono essere più ridotte alle categorie schematiche delle zone omogenee monofunzionali della urbanistica tradizionale. Né si può più pensare a un “centro storico” indifferenziato. Tutta la ricchezza degli impianti urbani e degli edifici storici merita di essere valutata nella sua complessità, anche nelle aree più periferiche, perché questo inestimabile patrimonio sia ancora la base per i nuovi interventi progettuali mirati alla continuità e alla integrazione della qualità urbana ed edilizia.
Di qui la complessa articolazione delle norme che governano le trasformazioni dei tessuti, sia per gli interventi diretti che per quelli indiretti. Non un appesantimento procedurale, ma un sostanziale arricchimento che favorisce il rinnovo urbano. Per questo gli elaborati gestionali, già di per sé base di conoscenza da aggiornare continuamente, si arricchiscono delle “Guide” per la progettazione degli interventi. Ogni volta per le diverse città e per i diversi tessuti le norme integrano le parti specifiche con le prescrizioni del sistema ambientale (rete ecologica) e con il sistema dei servizi e delle infrastrutture, per avere il corretto quadro di tutte le possibilità trasformative. Il sistema insediativo è articolato per città, tessuti e ambiti e regola insieme le componenti storiche, quelle tipomorfologiche e quelle funzionali. Il nuovo Piano riorganizza, dunque, in modo definitivo l'intero territorio comunale in “Sistemi e componenti”. (Fig. 48)
La tavola D4 (tessuti e centralità) allegata alla relazione generale esplicita graficamente tutta l'articolazione del sistema insediativo. (Fig. 10)

FIG 10. TESSUTI E CENTRALITÀ

Recupero e riqualificazione

I piani attuativi di recupero delle zone ex abusive edificate nel secondo dopoguerra fino agli anni '70 e inserite come zone “O” nel piano del '62-'65 (con una variante generale approvata nel 1983) sono approvati. È iniziato il processo di formazione dei piani di recupero dei nuclei più recenti, lottizzati e parzialmente edificati negli anni ottanta e primi novanta.
Il lavoro per la soluzione della piaga dell'abusivismo ha prodotto a Roma risultati assai importanti. Si è fondato anzitutto su un rigoroso contrasto al nuovo abusivismo con molte centinaia di demolizioni (oltre 300 solo tra il 1994 e il 1997). Il rientro nella legalità ha reso necessaria la creazione dell'Ufficio Speciale per il Condono Edilizio per rispondere alle oltre 500.000 domande presentate in base al condono dell'85 e ai successivi ('94 e 2004) rilasciando tutte le concessioni in sanatoria che potevano essere regolarmente rilasciate. Fino al 2007 ne sono state rilasciate circa 350000. Tutti i cittadini interessati e le loro famiglie hanno avuto una risposta che non speravano più di trovare dall'Amministrazione pubblica.
Un enorme lavoro che ha avuto il merito di restituire la fiducia nella buona amministrazione. Certo la pratica dei successivi condoni edilizi, periodicamente usata da parte dello Stato, non ha aiutato ad amministrare. Roma, tuttavia, nel rinnovare il patto con i cittadini delle sue periferie, patto che prevede lo stop all'abusivismo e il recupero e la riqualificazione, continua a proporre soluzioni positive per riqualificare le parti della città nate senza piano. La realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri concessori è stata un esempio di innovazione amministrativa e ha dimostrato notevole capacità di autonomia delle associazioni locali e dei consorzi. In questa attività si è risvegliata una parte della città dimenticata, che ha trovato in sé le forze intelligenti e le risorse economiche per aprire una stagione di rinnovamento. A queste azioni ha dato sostegno una attenta programmazione delle risorse pubbliche di bilancio. Ci sono tre generazioni di quartieri nati senza piano. Il nuovo piano fa tesoro dell'esperienza fallimentare dei piani di recupero della prima generazione, avvia nuovi strumenti e interventi per rimediare alle lentezze e alle inefficienze della seconda, e infine introduce sostanziali novità per la terza.
I piani della prima generazione sono quelli previsti nel Piano Regolatore del 1962-'65, riguardanti i nuclei del primo dopoguerra, classificati come zone F e mai attuati. Molti piani particolareggiati sono stati adottati negli anni '80 (circa 30), ma sono prima rimasti sulla carta per mancanza di risorse pubbliche e sono poi decaduti. In essi l'edificazione è pressoché completa, la densità è abbastanza elevata (tra 150 e 200 abitanti per ettaro), quasi tutte le aree destinate a servizi sono compromesse e l'unico modo per ottenerle di nuovo è lavorare nelle poche aree libere e sui bordi. Nelle zone ex F vivono circa 390.000 romani. Per queste aree il nuovo piano avvia specifici programmi intergrati, che debbono essere lanciati e governati dai Municipi. I programmi per questi quartieri residenziali sono 81, ma probabilmente dovranno aumentare, perché gli ambiti sono di grandi dimensioni e già dalle prime sperimentazioni sembra necessario suddividere in sottounità i territori interessati per garantire la operatività.
I piani della seconda generazione sono i Piani delle zone “O”, individuati nella variante generale specifica approvata nel 1983. Si deve ricordare che la variante per il recupero delle zone ex abusive inserì i nuclei nel piano del '65 ma non introdusse alcuna modifica nel piano stesso per tener conto delle nuove condizioni. Nonostante l'enorme dimensione della variante, ( 4700 ha con circa 200.000 abitanti), nulla è stato previsto per le infrastrutture, per i servizi di livello urbano, per le connessioni con i contesti urbani circostanti. Si è fatto finta che il problema non esistesse. I piani particolareggiati erano 68 e sono diventati 71 dopo l'approvazione della “variante delle certezze.” Oggi questi piani sono approvati. Il nuovo piano regolatore recepisce l'operazione finalmente conclusa. La sola pianificazione attuativa di recupero delle zone abusive della seconda generazione ha avuto dimensioni tali, per territorio e popolazione interessati, da non avere eguali in Italia (circa 5500 ettari e 210000 abitanti attuali). Ma da tempo si sta verificando quello che già si sapeva. I piani, anche se approvati, non producono, con i soli proventi delle sanatorie e degli oneri concessori per il completamento, risorse sufficienti né per realizzare i servizi pubblici né per migliorare le reti infrastrutturali urbane, già enormemente carenti. I privati, con l'approvazione formale dei piani, possono completare l'edificazione, ma l'amministrazione non può realizzare le necessarie attrezzature e i necessari servizi. Per i presenti e futuri bilanci comunali per molti anni a venire il fardello delle zone “O” si presenta assai pesante. Inizia inoltre la serie della decadenza dei piani, dopo 10 anni, e si pone già da ora il problema di ripianificare evitando il ricorso all'esproprio, che interessa circa il 50% delle aree a standard. Già con il primo piano in scadenza (Infernetto) è in corso una riadozione che prevede il ricorso a strumenti più attuali e adeguati. Da un lato con la riduzione al minimo delle aree da acquisire, dall'altro la attivazione di meccanismi di cessione compensativa. Questa prima riadozione sarà il test per il metodo con il quale proseguire il recupero urbanistico avviato.
La nuova ondata di piani di recupero delle zone ex abusive, quella dei piani della terza generazione, tutta individuata nel nuovo piano, è stata impostata in modo assai diverso, ma comunque ancora assai oneroso per il Comune. I nuovi Piani di recupero, già avviati, impegnano circa 2000 ettari di territorio con circa 100000 abitanti. Per questi piani si è deciso di affidarsi ai consorzi dei proprietari delle aree e degli edifici, in modo da responsabilizzare gli abitanti e uscire dalla logica dell'intervento pubblico, per entrare nel campo della iniziativa e della gestione privata. Si intende che il quadro complessivo resta strettamente controllato e indirizzato nell'ambito dei principi e del dimensionamento del piano. Nonostante questa nuova impostazione i consorzi riusciranno a realizzare solo le opere di urbanizzazione primaria, e a cedere le aree per la secondaria, mentre saranno ancora a carico pubblico le opere di urbanizzazione secondaria.
I nuovi piani, che agiscono su aree edificate mediamente al 50%, sono anche una sfida a trovare nuovi assetti e integrazioni con i contesti urbani circostanti, sfida che avvia completamenti mirati anche a ottenere aree a disposizione del Comune per opere pubbliche o di interesse pubblico.
Con questi indirizzi e queste azioni si sta procedendo al recupero della città nata senza piano e senza progetto in cui vive un quarto dei cittadini romani (700000 su 2800000).
I programmi di riqualificazione (Art.2 L.179/92) e di recupero urbano (Art.11 L.493/93) sono da tempo cantieri. I programmi in attuazione interessano circa un terzo delle periferie romane. I programmi di recupero urbano hanno come centro quartieri di edilizia residenziale pubblica da completare e da legare al contesto urbano circostante.
Gli ambiti sono sedici, comprendono ciascuno una molteplicità di quartieri. I programmi partono da presupposti che li distinguono dalle tradizionali procedure urbanistiche. Gli attori che si impegnano a realizzare le opere debbono essere certi, certe le risorse e certi i tempi di realizzazione delle opere pubbliche e private.
Gli strumenti del progetto urbano e del programma integrato, come regolati dal nuovo piano, rendono ordinarie le procedure per l'attuazione garantendo l'indirizzo pubblico e le risorse private necessarie.
I luoghi degli interventi in atto sono quelli di maggior sofferenza. I programmi romani non si configurano come un intervento a tappeto su un'intera area e all'interno di un perimetro, ma come un sistema discreto e coordinato di azioni di trasformazione pubbliche e private. Nel loro complesso le trasformazioni, sfruttando un effetto di rete, formano la struttura iniziale del nuovo assetto urbano, e costruiscono le attrezzature pubbliche più necessarie. Sulla base di questo avvio avviene con continuità la trasformazione urbana ordinaria. Si ottiene in questo modo la riconnessione tra quartieri adiacenti, nati ciascuno in sé, ciascuno non completato, ciascuno carente di qualcosa, ottimizzando non solo le reti infrastrutturali, ma l'uso delle attrezzature puntuali e dei servizi pubblici e privati. I programmi preliminari con i relativi schemi di assetto sono stati elaborati come tasselli anticipatori del nuovo piano regolatore generale, tanto nelle scelte di pianificazione quanto per l'invenzione delle regole per i rapporti con i privati. I programmi preliminari sono stati di iniziativa pubblica e tutta l'operazione ha avuto un fermo e solido controllo pubblico.
Dopo la prima esperienza dei programmi di riqualificazione urbana, i programmi preliminari e il bando pubblico dei programmi di recupero, sono stati lanciati nel 1997 e interessano gli ambiti di Acilia, Corviale, Fidene-Valmelaina, Labaro-Primaporta, Laurentino, Magliana, Palmarola, Primavalle, San Basilio, Torbellamonaca e Valle Aurelia. (Fig. 11)

FIG. 11. QUADRO DI UNIONE DEI PROGRAMMI DI RIQUALIFICAZIONE E DI RECUPERO URBANO

I programmi si basano su un volano di finanziamento pubblico regionale di 87 milioni do euro. Il bando pubblico di chiamata dei privati si è chiuso a giugno del 1997 con la partecipazione consistente degli imprenditori privati romani, singoli e associati. Le proposte private sono state circa 200. Una commissione tecnica ha valutato le proposte, che sono state selezionate e ammesse alle fasi successive dei programmi. Si è avviato il processo di consultazione con i Municipi interessati, con le associazioni locali e con i comitati, sperimentando anche tecniche di partecipazione innovative.
Si è costruito fin dall'inizio localmente il quadro delle opere pubbliche da realizzare, individuando le relative priorità. La costruzione dei programmi definitivi, adottati dal Consiglio Comunale nel 2001, ha comportato circa quattro anni di duro lavoro, fatto insieme dal Comune e dai privati. I nove Municipi interessati e le commissioni consiliari permanenti congiunte all'urbanistica, ai lavori pubblici e all'ambiente, sono intervenute nella fase finale a perfezionare i programmi definitivi, prima del voto finale in Consiglio.
Il risultato è la più potente manovra di recupero delle periferie mai messa in campo da alcun Comune, tutta concordata a livello locale, tutta svolta attraverso procedure di evidenza pubblica concorsuali e trasparenti tutta sostenuta da risorse finanziarie certe, da utilizzare in tempi certi. Gli interventi sono complessivamente 444, dei quali 330 pubblici e 114 privati. L'importo totale degli investimenti è pari a 1670 milioni di euro, che comprendono 490 milioni di opere pubbliche. Per le opere pubbliche la Regione attiva un volano di 87 milioni, i privati contribuiscono con 310 milioni, la restante parte è a carico del bilancio comunale. Sono coinvolti direttamente una popolazione residente di circa 440.000 abitanti e un territorio di circa 7000 ettari . I programmi sono stati tutti approvati in accordi di programma con la Regione Lazio. Gli abitanti da insediare saranno circa 27000, ma le edificazioni proposte sono soprattutto, per circa il 60%, destinate alla realizzazione di servizi privati locali, così come era negli indirizzi della Amministrazione.

FIG. 12. PROGRAMMA DI RIQUALIFICAZIONE URBANA DI OSTIA PONENTE: SCHEMA DI ASSETTO PRELIMINARE

FIG. 13. PROGRAMMA DI RIQUALIFICAZIONE URBANA DI OSTIA PONENTE: LEGENDA DELLO SCHEMA DI ASSETTO PRELIMINARE

FIG. 14. PROGRAMMA DI RIQUALIFICAZIONE URBANA DI OSTIA PONENTE: SCHEMA DI ASSETTO DEFINITIVO CON INDICATI GLI INTERVENTI PUBBLICI E PRIVATI

FIG. 15. PROGRAMMA DI RIQUALIFICAZIONE URBANA DI OSTIA PONENTE: SCHEMA DI ASSETTO DEFINITIVO, INSERIMENTO NEL CONTESTO URBANO

FIG. 16. LA COLONIA MARINA VITTORIO EMANUELE RESTAURATA E IL LUNGOMARE

FIG. 17. IL PARCO CENTRALE L. PALLOTTA

FIG 18. CENTRO SOCIO CULTURALE E ASILO NIDO

FIG 19. LA PINETA DELL ' ACQUA ROSSA

 

DIMENSIONAMENTO E DOTAZIONE DI SERVIZI (STANDARD)

Il piano approvato nel marzo 2008 prevede la realizzazione di 549.051 stanze equivalenti, corrispondenti a 20.589.394 m2 di Sul, e a una volumetria di 65.886.062 m3 . La parte di stanze destinate a residenza è poco più della metà (56,5 %) pari a 310.458 stanze; quella ad attività (40,3 %) è pari a 221.745 e la parte restante, (3,07 %) è pari a 16848 stanze la cui destinazione dovrà essere valutata nel corso della attuazione, è definita “flessibile”. Come si è già detto queste “previsioni” includono anche le trasformazioni in itinere al momento della adozione del piano delle certezze (1997) indicate nelle Tabb. 1 e 2 come “programmate”.
A questi valori complessivi, pressoché identici a quelli definiti in adozione, si è arrivati dopo analisi condotte da istituti specializzati in diversi momenti del percorso di pianificazione, relative alle dinamiche demografiche e alla domanda di spazi residenziali e per attività, verificate con i dati del censimento Istat 2001 e, naturalmente, sottoposte al vincolo di coerenza con il principio di sostenibilità illustrato precedentemente.
Nelle diverse tappe di formazione del nuovo piano si è dunque confermata e perfezionata la scelta già definita con il piano delle certezze di ridurre alla metà il residuo del piano 1962-'65, operando sulla parte di vecchie previsioni confermate anche attraverso spostamenti localizzativi (compensazioni) e cambiamenti di destinazioni. Di stabilire un limite alla crescita della città nel territorio comunale decidendo che eventuali ulteriori necessità debbano risolversi o densificando i comprensori già urbanizzati o urbanizzando nuove aree servite dal trasporto pubblico su ferro nell'area metropolitana, al di là della “ruota verde”.
Il valore complessivo del dimensionamento approvato, se confrontato con i 710 milioni di m3 di volumetrie edificate stimati nella città, costituisce un incremento di circa il 9%. Questo semplice dato basta a confermare la natura del nuovo piano come “piano della trasformazione”, che segna finalmente un radicale cambiamento rispetto ai piani della crescita dell'urbanistica romana dall'unità in poi. Un piano “di minima” costruito a partire da un'ipotesi di stabilità della popolazione, che definisce la sua offerta attraverso un radicale trattamento delle previsioni residue del Prg del '62, avendo come obiettivo prioritario la riqualificazione e la modernizzazione della città esistente e del suo territorio.
Il piano dedica una particolare attenzione al tema degli standard urbanistici, molto presente nel dibattito urbanistico romano. Un altro dato segna il mutamento dei tempi ed ha inciso non poco nelle valutazioni di piano. Lo spazio vitale per ogni persona nella città esistente è molto di più di quanto non fosse in tempo di ricostruzione o di inurbamento (anni '50 e '60). Si va dal minimo di 110 m3/ ab dei quartieri di edilizia residenziale pubblica ai circa 250 m3/ ab dei quartieri sorti abusivamente. Questi dati sono oggettivi e risultano dalla divisione tra cubatura esistente e popolazione residente nelle sezioni di censimento. Il parametro di 80 m3/ab fissato dalla 167 e tradizionalmente usato per il calcolo degli standard non ha più senso. Nel piano si è scelto di valutare prudenzialmente un vano teorico equivalente per la residenza e per le attività di 120 m3 . Questo è il parametro base che è stato assunto per misurare l'offerta del piano.
Eseguito il rilevamento degli standard dei servizi pubblici generali e di livello locale, si è verificata la effettiva proprietà pubblica delle aree e la effettiva loro attrezzatura. Lo standard residenziale oggi effettivamente esistente per l'intera città è pari a 16,5 m2/abitante, una dotazione mediamente discreta nel panorama delle città italiane, anche tenendo conto che la quota dei parcheggi pubblici è praticamente inesistente non essendo tale servizio previsto, almeno come destinazione autonoma, dal PRG del '62. Lo standard obiettivo è stato fissato a 22 m2 ab.
Si è lavorato su due linee, una riguardante le acquisizioni pubbliche per rispondere al meglio alle prescrizioni normative cercando nel contempo di renderle più realistiche possibili; l'altra mirante alla regolamentazione di un contributo privato alle dotazioni dei servizi e al recupero ambientale prevedendo ampie quantità di verde privato, ove possibile attrezzato con servizi d'uso pubblico, e infine prevedendo il recupero ambientale delle fasce di rispetto e delle fasce di ambientazione delle infrastrutture.
Il nuovo piano conduce a una dotazione di standard pubblici di livello locale molto soddisfacente con riferimento ai territori e agli abitanti dei 19 singoli Municipi, che sono il primo campo di verifica, con un superamento per 14 di essi del valore minimo fissato. Per gli altri 5 Municipi più centrali, in particolare, i valori registrano una carenza della dotazione, trattandosi soprattutto di aree della città storica e della città consolidata. Tale carenza, viene in ogni caso compensata da un sovradimensionamento delle dotazioni dei Municipi contermini. Altrettanto positivo è il bilancio verificato nel secondo campo, che assume a base i territori e le popolazioni delle città (storica, consolidata, da ristrutturare, della trasformazione) dove la dotazione raggiunge e supera in alcuni casi il valore obiettivo di 22 m2/ab. In particolare la Città da ristrutturare pur rappresentando ora la parte più svantaggiata dell'intero territorio comunale, ottiene uno standard di 36,2 m2/ab. La Città della trasformazione, la cui dotazione è in parte finalizzata a compensare il deficit della periferia circostante, raggiunge addirittura i 63 m2/ab. (Fig. 20)

FIG 20. ELABORATO GESTIONALE TIPO, STANDARD URBANISTICI . . .

Il processo per il raggiungimento degli obiettivi di piano, tiene conto dei deficit della città esistente (storica, consolidata e della ristrutturazione), valuta il contributo verso il riequilibrio delle nuove trasformazioni e avvia una politica differenziata che vede, per le diverse parti della città sia l'attivazione dello strumento dell'esproprio (per la città storica e per parte della città consolidata) sia lo strumento della cessione da parte dei privati, da compensare con diritti edificatori (parte della città consolidata e la città da ristrutturare). La soluzione è stata quindi quella di affiancare all'esproprio, anche se in modo limitato e parziale, il meccanismo della cessione compensativa, peraltro già sperimentato nella prima fase del piano, con le “previsioni programmate” (vale a dire tutta la gestione del PRG ‘62 fatta nella prima fase del piano) che hanno garantito cessioni gratuite di verde e servizi con uno standard medio di 60 m2/abitante. Si prescrivono, da un lato, cessioni gratuite superiori a quelle necessarie per il soddisfacimento degli standard minimi, con percentuali comprese tra il 30% e il 50%, negli Ambiti di trasformazione e nelle Centralità urbane e metropolitane, tali da consentire un recupero dei fabbisogni pregressi nelle zone circostanti; dall'altro, limitatamente agli Ambiti per i Programmi integrati della Città da ristrutturare e della Città consolidata, le norme contemplano un doppio regime per le aree a destinazione pubblica di livello locale e urbano, prevedendo, oltre all'esproprio comunque possibile, l'attribuzione di un indice di edificabilità territoriale (0,04 m2/m2 in caso di intervento diretto e 0,06 in caso di partecipazione al Programma integrato) per la realizzazione di volumetrie private esclusivamente terziarie da concentrare su una parte minoritaria dell'area (10%della St) o da trasferire su un'altra area, in cambio della cessione all'Amministrazione della restante parte (dal 90 al 100% della St).
Il dimensionamento complessivo delle aree a verde e servizi pubblici di livello locale è pari a 12.026 ha . Su un totale di 6.689 ettari di aree da acquisire per raggiungere lo standard obiettivo di livello locale, 3.358 pari al 50% provengono dalle cessioni gratuite all'interno delle aree di trasformazione, 849 pari al 13% dal meccanismo di acquisizione compensativa, 1.287 pari al 19% devono essere espropriati nella città storica (86) nella città consolidata (714) e nel territorio extraurbano (487) e 1.196 pari al 18% devono essere espropriati all'interno di strumenti urbanistici esecutivi di iniziativa pubblica.
Quanto alle dotazioni di livello urbano, il nuovo piano conduce dunque a una dotazione complessiva di aree per il verde pubblico e i servizi pubblici di livello urbano pari a 5.954 ha , corrispondente a un valore medio di 17,54 m2/ab per l'intera città. In particolare, tale dotazione complessiva deriva da una dotazione pari a 2,54 m2/ab per i servizi e di 15 m2/ab per il verde territoriale. Tale dotazione è assicurata da una percentuale pari a circa il 15% dei territori ricompresi nelle aree dei parchi istituiti e delle aree protette.
Le scelte effettuate non hanno comunque risolto il problema dell'effettiva acquisizione di tutte le aree e quindi del miglioramento della qualità insediativa di ampie zone della città, alcune delle quali caratterizzate da una estrema carenza di servizi. Prima del termine dei cinque anni di validità delle destinazioni preordinate all'esproprio, tenuto conto della scarsità di risorse pubbliche e dell'impossibilità per legge di reiterare i vincoli per più di una volta, salvo comunque l'obbligo di indennizzo, sarà necessario rivedere le previsioni programmatiche, eventualmente ampliando la possibilità della cessione compensativa. Ciò è evidente e ne va della credibilità del piano.

CENTRALITA' E PROGETTO URBANO

La scelta strategica più forte del piano si basa sul policentrismo e sul decentramento per un nuovo disegno degli assetti urbanistici delle parti senza forma e senza servizi degli insediamenti. I sistemi insediativo e infrastrutturale si riorganizzano e si coordinano per accogliere i nuovi nuclei di servizi. Le centralità sono le concrete realtà di questa scelta.
Le centralità sono state posizionate in modo da essere servite dal trasporto pubblico di massa per costituire i nuovi gangli della rete metropolitana dei servizi di livello superiore. Sono state individuate aree adeguate, residui inutilizzati di aree edificabili prevalentemente con destinazioni a servizi generali privati o pubblici del vecchio Piano Regolatore Generale situate in prossimità dei luoghi già serviti dal trasporto pubblico o per i quali questo era previsto. Per ciascuna delle aree sono state indicate una o più specifiche vocazioni funzionali in relazione alle parti di città in cui si collocano.
Le modalità di attuazione delle centralità ancora da pianificare permettono di avere a disposizione del Comune mediamente il 50% delle aree e dei diritti edificatori. Il Comune li può usare per interventi pubblici o di interesse pubblico: dispone quindi di una potente leva per migliorare i contesti urbani periferici all'interno dei quali sono localizzate le centralità.
Le centralità urbane e metropolitane sono state dimensionate con densità non elevate, così che si può concentrare la parte edificata di ciascun progetto in un cuore urbano con spazi di elevata qualità e anche dedicare vaste zone a parco. Ciascuna centralità può così essere occasione per rilanciare la migliore architettura contemporanea e contribuire insieme al recupero quantitativo e qualitativo del sistema ambientale La procedura del progetto urbano, obbligatoria per le centralità (art.15 delle NTA), vincola a un lavoro comune pubblico e privato: fin dalla predisposizione iniziale dello Schema preliminare d'assetto è necessario che ci sia l'assenso del Comune sull'impianto urbano, sulle grandi scelte, sull'elenco delle opere pubbliche da realizzare. Debbono anche essere state eseguite tutte le verifiche di sostenibilità urbanistica e di fattibilità economica. La qualità dell'impianto urbanistico e la condivisione delle scelte a livello locale sono prerequisiti che vanno garantiti.
Le centralità sono diciotto. (Fig. 56) Alcune già in corso di realizzazione, altre ancora da pianificare.

FIG 21. CENTRALITÀ URBANE E METROPOLITANE: LOCALIZZAZIONE . . .

Le dieci centralità già approvate, attuate o in corso di attuazione rappresentano i 2/3 delle quantità complessive previste per le centralità e sono: Bufalotta, Pietralata, Ostiense, Alitalia-Magliana, Polo Tecnologico, Tor Vergata, Eur Castellaccio, Ponte di Nona-Lunghezza, Fiera di Roma e Massimina. Cinque tra queste sono di iniziativa pubblica: Pietralata, Ostiense, Polo Tecnologico, Tor Vergata e Fiera di Roma; le altre cinque sono di iniziativa privata: Bufalotta, Alitalia-Magliana, Eur Castellaccio, Ponte di Nona-Lunghezza e Massimina.
Le centralità ancora da pianificare, che in termini quantitativi rappresentano il residuo terzo, sono: Santa Maria della Pietà, Torre Spaccata, Ponte Mammolo, Acilia-Madonnetta, Anagnina-Romanina, Saxa Rubra, Cesano, La Storta. Tra queste, due sono su aree e immobili prevalentemente di proprietà pubblica, Santa Maria della Pietà e Ponte Mammolo, le altre sono su aree per la maggior parte private. Per Acilia-Madonnetta, Anagnina-Romanina, Torre Spaccata e La Storta sono state presentate proposte private ora all'esame della Amministrazione.
L'attuazione delle centralità in corso sta evidenziando alcuni nodi critici, e sarà necessario intervenire per evitare la ripetizione di errori che già si stanno riproponendo. Il problema principale riguarda la realizzazione contestuale delle parti pubbliche e delle parti private. Queste complesse parti di città di nuovo impianto, come ormai acquisito nell'esperienza di altri paesi, si realizzano in tempi lunghi, e per questo debbono continuamente misurarsi con le mutazioni della domanda e delle risorse disponibili. Per attuarsi coerentemente con gli indirizzi hanno bisogno di una forte regia pubblica. Le utilità pubbliche debbono poter essere visibili e fruibili fin dall'inizio, che si tratti di infrastrutture o di servizi. La gestione del processo realizzativo non può essere lasciata ai privati. Ci sono consistenti quote programmate di diritti edificatori che debbono essere governate dalla mano pubblica. Non sono più sufficienti nè il tradizionalemonitoraggio nè la semplice operazione di controllo.
Senza una forte regia pubblica il risultato sarebbe sempre la realizzazione della parte privata e la mancata realizzazione della parte pubblica. Anche la revisione e l'aggiornamento sullo stato delle centralità in attuazione è urgente e necessario. Le centralità sono l'avvio più significativo della città policentrica e di una concreta visione metropolitana. La accettazione della necessaria flessibilità nella realizzazione di programmi di lungo periodo deve rinforzare la capacità gestionale pubblica e non farla arretrare in difesa. Non è possibile pensare, come molti imprenditori delle costruzioni continuano a fare, che le centralità si possano ridurre a un grande centro commerciale più un quartiere residenziale. Questo modello è quello delle lottizzazioni convenzionate, cioè di quartieri che si aggiungono a quelli esistenti, secondo la logica della città in espansione. Se la regia pubblica manca, la deriva inizia e si manifesta continuamente la richiesta di derogare dagli indirizzi strategici. Vero è che la regia pubblica “deve” garantire la realizzazione dei grandi servizi pubblici.
E questo significa non solo coordinamento e governo tecnico, ma soprattutto garanzia di risorse. Con le attuali ripartizioni di competenze i servizi di livello superiore sono tutti dipendenti da decisioni di enti sovraordinati rispetto al Comune. La regia pubblica quindi ha compiti che coinvolgono direttamente lo Stato, la Regione e la Provincia in una necessaria politica di sussidiarietà interistituzionale.

FIG 22. CENTRALITÀ URBANE E METROPOLITANE: RETE DEL TRASPORTO . . .

Il programma delle centralità si è realizzato solo in parte. Le centralità in attuazione hanno visto i migliori progettisti italiani e stranieri in campo, spesso selezionati con concorsi pubblici o privati: Gino Valle a Bufalotta, Purini e Portoghesi a Pietralata, Salgado a Romanina, Gregotti ad Acilia Madonnetta, Tommaso Valle alla nuova Fiera di Roma, ancora Purini e Ascarelli a Castellaccio. Oggi la rilocalizzazione dei grandi servizi deve vedere una nuova fase. L'Università, gli ospedali, le sedi dei tribunali, della ricerca pubblica e privata, delle grandi banche, delle grandi società di servizi, debbono avere la certezza di una offerta valida, credibile e con serie prospettive di diventare parte di un nuovo “centro città”. Questo non solo è possibile nelle centralità ancora da avviare, ma anche con potenziamenti delle centralità realizzate o in corso di realizzazione. Il Comune di Roma ha votato in Consiglio Comunale una deliberazione di indirizzi (2005) per le centralità che ha avuto solo l'effetto di migliorare le norme per la loro attuazione, norme ora approvate. Ma la decisione più importante della delibera, la costituzione di una struttura tecnica pubblica che assicurasse la regiadella attuazione delle centralità è rimasta inattuata. Vuol dire che in questi ultimi anni non ci sono state le condizioni per un rilancio delle centralità. Debolezze del sistema economico romano e della sua rappresentanza politica? Certo l'inerzia del modello mono centrico preesistente è forte, ma alcune esperienze di decentramento sono ormai consolidate e potenti e dovrebbero dissipare i dubbi sulla validità dell'impostazione metropolitana del piano. Basti pensare allo sviluppo attorno a Cesano, Anguillara e al polo dell'ENEA a Nord-Ovest (ove è localizzata la centralità di Cesano da pianificare) o a quello attorno all'università di Tor Vergata (altra centralità in corso di attuazione), alla Banca d'Italia di Frascati, e ai poli CNR e InFN aSud-Est, o ancora alla centralità del polo tecnologico sulla tiburtina a est, che mostra le potenzialità di divenire anche polo di servizi per gli insediamenti circostanti. Sono esempi di decentramento “spontaneo” e sostenuto dal nuovo piano, o addirittura indotto da questo, già con risultati positivi i cui sviluppi richiederebbero una effettiva capacità di governo metropolitano delle trasformazioni.
In altri casi la realizzazione delle centralità è stata avviata senza la certezza della connessione con il trasporto pubblico di massa e senza una effettiva applicazione dei criteri del progetto urbano. Le infrastrutture programmate non hanno visto risorse, progetti e opere nel momento giusto. Oggi le norme approvate non consentono deroghe alla condizione della realizzazione delle infrastrutture di trasporto pubblico: abbiamo però visto quali contraddizioni si possono determinare a livello locale per una realizzazione rinviata per anni. La quota delle centralità ancora da avviare è forse la parte potenzialmente più rilevante nella prospettiva dell'assetto metropolitano, perché interessa alcune delle aree più lontane dalla città storica e con rapporti più stretti e significativi con i contesti insediativi.
Molte centralità, nel corso della elaborazione del piano, sono state prima ridimensionate e sono poi tornate alle previsioni iniziali di adozione. E se sono diminuite le quantità edificabili rispetto a quelle originariamente previste, sono rimaste invariate le superfici territoriali impegnate. L'operazione di ridimensionamento ha riguardato sia le centralità pubbliche, che le più grandi tra le private. Si è persa la possibilità di ottenere più vantaggi per la parte pubblica. Contenuti aumenti di densità infatti sarebbero stati solo a vantaggio pubblico, restando invariati i diritti privati. Una ragionata revisione del ruolo e della dimensione delle centralità pubbliche, che preveda un moderato incremento delle quantità, da valutare caso per caso in relazione ai contesti può essere un contributo alla carenza di aree trasformabili, perché si usano meglio aree già edificabili e si aiuta il bilancio comunale.
L'esempio più evidente è la centralità di Ponte Mammolo, in cui la connessione con la metropolitana già c'è, nel nodo di scambio più importante di Roma Est, le aree sono in gran parte di proprietà comunale e si può avviare una operazione di grande respiro per i quadranti Est e Nord-Est nel loro complesso. Altro esempio è Santa Maria della Pietà, dove la proprietà pur essendo pubblica non è del Comune, ma si presenta come una straordinaria occasione che, senza il necessario coordinamento, rischia di veder progressivamente deteriorarsi anche il patrimonio edilizio esistente. Le centralità avviate e da avviare sono oggi un enorme patrimonio in evoluzione: sulla qualità delle loro realizzazion si gioca la partita più importante del nuovo piano regolatore. (Figg. 57-61)

 

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86 Così scrive il Direttore del CER, Alessandro Aronica commentando il ruolo delle amministrazioni Rutelli e Veltroni nell'indirizzare l'economia attraverso “politiche di contesto”: “È questo il caso, per esempio, dell'azione volta a ridimensionare le attese di rendita fondiaria e immobiliare. La riduzione, effettuata tra il 1996 e il 1997, di circa il 50% delle previsioni edificatorie contenute nei vecchi strumenti urbanistici rappresenta anche un incentivo per il mondo imprenditoriale e finanziario romano a individuare nuovi ambiti di investimento” (v. AAVV, 2003, pp. 49-50)

87 La definitiva approvazione del piano delle certezze, dopo i passaggi regionali, risale al 2004

88 Nel 1996 è stata avviata la riforma delle19 Circoscrizioni di Roma, che ne ridisegnava i territori e le funzioni e prevedeva che i nuovi Municipi, ridotti di numero (da 19 a 13), divenissero comuni autonomi facenti parte della città metropolitana di Roma, che avrebbe incluso anche i comuni circostanti. Ma l'opposizione bloccò la riforma con un lungo ostruzionismo per superare il quale la proposta fu ritirata

89 Stime CRESME scenari e dimensionamento della domanda non residenziale a Roma (1999 e aggiornamento 2002); Roma:radiografia di una metropoli (1995); Domanda abitativa, processi insediativi e mercato immobiliare dagli anni '90 al 2000 (1995); Aggiornamento della domanda residenziale (2000 e integrazioni 2002); Gli scenari della domanda residenziale e non residenziale a Roma (2005)

90 vedi allegato a) alla relazione della delibera di controdeduzioni del 21/22 marzo 2006 (elaborazioni CRESME)

91 Le “stanze equivalenti flessibili” rappresentano previsioni edificatorie che potranno essere destinate a residenza ovvero ad attività in funzione di variazioni nelle dinamiche reali, al momento della concreta attuazione

92 Il modello di “casa di città” è profondamente cambiato dal dopoguerra a oggi, radicalizzandosi tra due estremi. O la casa nel centro della città storica, o la villa suburbana. E comunque, ad accogliere immigrati e famiglie a basso reddito, intensivi senza qualità nelle periferie metropolitane. Tutto da analizzare, da parte della sociologia, il modello culturale di riferimento

93 Una linea diametrale Nord-Sud dell'area romana, per 72 km , 16 stazioni e frequenze cadenzate ogni 20 minuti (poi portate a 15)

94 Accordo di programma tra Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma ed FS Spa per la attuazione degli interventi sulla rete ferroviaria dell'area romana (1994); Accordo di programma tra Regione Lazio, FS Spa e Tav Spa per il potenziamento del servizio ferroviario della Regione Lazio (1996)

95 Il piano territoriale di cordinamento della provincia di Roma è stato adottato la prima volta il 26 marzo 1998 con assessore Umberto De Martino

96 Rapporto già definito in sede programmatica (v. in proposito Comune di Roma, 2003 (a) p.16) e oggi evidente nei comportamenti dei cittadini metropolitani, (vedi il cap. 6.6)

97 (v. in proposito Comune di Roma, 2003 (a) cap. 4.2)

98 Una sintesi delle scelte di piano sul tema della mobilità è in Campos Venuti, 1999, 2001

99 Il PROIMO (programma integrato per la mobilità del 1998-99) è stato una prima sintesi ed è poi divenuto base per le verifiche del nuovo piano regolatore. Il Piano Generale del traffico Urbano (PGTU) è stato approvato dal Consiglio Comunale nel 1999 come strumento programmatico a breve termine.

100 V. Comune di Roma (b) 2003, art.13

101 Già dalla adozione del piano (2003) è stata resa obbligatoria la verifica della sostenibilità trasportistica, e la procedura e le modalità sono state definite in un apposito elaborato gestionale “Guida per la progettazione delle infrastrutture di mobilità” (G4), poi definitivamente approvato con il piano

102 Insolera fa risalire l'idea di un centro alternativo, ancor prima, a Quintino Sella e alla sua tesi di localizzare i ministeri lungo via XX settembre e di espandere la città verso Termini (v. Insolera, 1993, p. 117). Comunque vale la pena di ricordare alcune tappe principali della ricerca di un “nuovo centro”: le proposte di Piacentini e del Gruppo di Urbanisti Romani (1929) di spostare a Est il centro della espansione urbana orientata verso i colli Albani; la successiva clamorosa inversione verso il mare, con l'E 42 (1936); infine quello che sembrava un approdo definitivo l'asse attrezzato e i centri direzionali nella periferia orientale della città del piano del '62

103 Nel più importante documento divulgativo prodotto da Dipartimento Politiche del Territorio nel 1995 si legge in premessa: “Un territorio metropolitano innervato dalla rete dei trasporti su ferro, nel quale il grande sistema della cintura verde sia elemento di identità e di colloquio tra le periferie interne e i centri metropolitani esterni. Periferie dotate di nuove centralità, che le rendano meno tributarie del centro storico, da salvaguardare con attenta cura per consegnarlo in condizioni migliori alle generazioni future. Funzioni metropolitane di qualità – università, servizi specializzati, ricerca – che, decentrate nei poli esterni ne arricchiscano la vita economica e culturale. Un sistema metropolitano policentrico, meno inquinato e più efficiente. È questa l'ide di città che abbiamo per Roma.” (v. Comune di Roma, (c) 1995, p. 9)

104 Comune di Roma, relazione al piano alla prima approvazione di giunta Comunale (2000)

105 Gli esempi citati in quella occasione erano già numerosi: Dalle piazze di S. Lorenzo in Lucina, del Popolo, della Chiesa Nuova al percorso pedonale Trevi-Pantheon, dal recupero della ex fabbrica Peroni per la nuova Galleria comunale a quello della Mira Lanza per il teatro India al restauro dei primi padiglioni del S. Maria della Pietà ecc.

106 Si ricorda che il piano delle Certezze ha stabilito una nuova disciplina per una parte della città consolidata (zone A, B, Ce D del piano 1962'65) disciplina che è stata sostanzialmente confermata e arricchita nel nuovo piano

107 Art. 12 NTA

108 In particolare gli “ambiti di valorizzazione” per la città storica e gli “ambiti per programmi integrati” per la città consolidata