Scheda 11
Il ruolo delle città per lo sviluppo [1]
di Salvatore Cafiero
E’ ormai concordemente accettato dai geografi lo schema dei tre stadi di urbanizzazione, corrispondenti a tre stadi di industrializzazione. I tre stadi di urbanizzazione sono quello della concentrazione, quello della suburbanizzazíone e quello del decentramento. E poiché i tempi dell'industrializzazione differiscono storicamente da paese a paese, anche gli stadi corrispondenti dell'urbanizzazione possono cadere in tempi diversi. Inoltre i tre stadi possono anche non succedere puntualmente l'uno all'altro; il processo di urbanizzazione può anche cominciare dal secondo o terzo stadio dello schema, o può andare dal primo al terzo senza passare per il secondo; si esclude, tuttavia, che l'ordine degli stadi possa essere invertito: che cioè al terzo stadio possa succedere il secondo, o al secondo il primo.
Il primo
stadio dell'urbanizzazione è quello della concentrazione urbana,
corrispondente ad una fase dell'industrializzazione, in cui le industrie
utilizzano grandi quantità di materie prime, di fonti energetiche e manodopera
per unità di prodotto e la mobilità delle merci e della manodopera è limitata
dallo stato delle tecniche o delle infrastrutture, e quindi dai costi di
trasporto; per la manodopera un limite alla mobilità può essere costituito
anche dai tempi e dai redditi di lavoro, che possono essere incompatibili con i
tempi e i costi di lunghi spostamenti pendolari. Tutto ciò rende necessaria la
contiguità tra fonti o terminali di trasporto marittimo e ferroviario di
materie prime e energetiche, impianti, residenze dei lavoratori, servizi sia
per le imprese sia per le residenze. La crescita urbana è alimentata
dall'emigrazione dalle campagne ‑ che tendono a spopolarsi ‑ e dà
luogo ad un aumento delle densità insediative e a un'espansione a macchia
d'olio degli insediamenti urbani.
Il secondo stadio è quello della
suburbanízzazione, corrispondente allo sviluppo di nuove infrastrutture o di
nuove tecniche di trasporto e di telecomunicazione e di nuove tecniche di
produzione. Le nuove tecniche di trasporto e di telecomunicazione, insieme alla
diffusione della motorízzazione privata (che segue all'accresciuto benessere
delle famiglie), riducono i costi e i tempi degli spostamenti delle merci,
delle informazioni e dei lavoratori. Le nuove tecniche di produzione ‑ si
pensi in particolare alla catena di montaggio e alla produzione in serie per il
magazzino ‑ impongono la grande dimensione e il lay out orizzontale degli
impianti: cresce la domanda di spazio da destinare alle fabbriche o ai
depositi. Allo stesso tempo, con l'aumento dei redditi, con la riduzione della
dimensione media delle famiglie, con la diffusione della motorízzazione
privata, cresce anche la domanda di spazio per le residenze, per i servizi alle
residenze, per la viabilità e per i parcheggi. Questa domanda può essere
soddisfatta sempre meno e a costi sempre più alti nelle zone urbane centrali,
nelle quali tendono in misura crescente ad insediarsi invece attività
direzionali, professionali e di servizio qualificato che traggono maggiori
benefici comparati dall'ubicazione centrale. Fabbriche, depositi, residenze e
relativi servizi tendono invece a preferire ubicazioni nelle periferie urbane e
nei comuni «di cintura», nei quali si cumulano in questa fase i vantaggi della
prossimità al centro e della disponibilità di spazio a minor prezzo, e nei
quali si concentrano di norma anche i programini di edilizia pubblica. La
crescita delle periferie e delle cinture sopravanza, prima in termini relativi,
poi in termini assoluti quella dei quartieri centrali, che invece rallenta
progressivamente fino a cessare del tutto. E’ questa la fase della saldatura
edilizia tra grandi città e comuni minori contermini, e quindi della formazione
defle cosiddette «conurbazioni».
Il terzo stadio ‑ che oggi è in atto
ormai ovunque nel mondo sviluppato occidentale ‑ è quello detto della
«deurbanizzazione» o del «decentramento urbano» o della «diffusione urbana». E’
lo stadio in cui entra in crisi il precedente modello di urbanizzazione per
espansione progressiva verso anelli concentrici sempre più esterni. La congestione
finisce con l'investire anche le periferie e le cinture, dove diventa sempre
più difficile rispondere alla domanda di spazio per fabbriche, per depositi,
per residenze, per il traffico che essi generano e per i relativi parcheggi,
per il verde e per i servizi collettivi. Anche in termini di accessibilità, i
vantaggi che nella fase precedente erano connessi all'ubicazione suburbana
tendono rapidamente a venir meno; si riducono inoltre, per effetto dello
sviluppo di una fitta rete autostradale, le differenze di tempi e di costi tra
gli spostamenti interni alle cinture suburbane e gli spostamenti interurbani di
ambito regionale o anche tra regioni contigue. Con l'aumento dei redditi dei
residenti, aumenta anche la loro domanda di elevata qualità ambíentale, domanda
che nei quartieri e nei sobborghi urbani è diventata ormai impossibile
soddisfare. I nuovi insediamenti produttivi e residenziali si orientano dunque
in questa fase verso i centri minori fisicamente separati, che formano, con le
città e le conurbazíoni maggiori, vaste aree metropolitane non più connotate
dalla continuità edilizia, o anche verso centri esterni ai perimetri
metropolitani. Sia nelle aree poste ai margini dei perimetri metropolitani sia
nelle aree esterne a tali perimetri, non solo la disponibilità di spazio è
maggiore e gli spostamenti locali più agevoli, ma anche le condizioni del
contesto urbanistico ‑ ambientale risultano di norma più attraenti.
Per quanto riguarda
l'industria, poi, le nuove tecnologie ínformatiche e l'esigenza crescente di
far fronte all'instabilità dei mercati con la flessibilità e il decentramento
produttivo concorrono a porre fine alla fase di sviluppo industriale caratterizzata
dalle grandi dímensioni di impianto e a dar vita ad una nuova fase, in cui
prevalgono invece le piccole dimensioni. Con il venir meno della grande
dímensione e con lo sviluppo dei sistemi specializzati di piccole imprese viene
anche meno l'importanza localizzativa delle grandi concentrazioni di manodopera
e della compresenza di una larghissima gamma di qualifiche, fattori questi che
in passato avevano favorito la localizzazione urbana e suburbana delle
industrie. Per la grande impresa, poi, le nuove tecnologie di produzione e di
telecomunicazione consentono la localizzazione degli impianti di produzione (in
cui lavora un numero sempre minore di operai) anche a notevole distanza dalle
direzioni di impresa. Sia per molte piccole imprese, sia per gli impianti
appartenenti alle grandi imprese, viene insomma meno l'esigenza di
localizzazione urbana o suburbana, e diviene viceversa sempre più conveniente
la localizzazione in centri minori o addirittura in aree rurali, purché offrano
buone condizioni di accessibilità alle reti infrastrutturalí, adeguate
dotazioni e gestioni di servizi collettivi, equilibri sociali favorevoli ad un
ordinato svolgimento della vita civile e delle relazioni industriali.
In questa fase la
popolazione e l'occupazione industriale delle grandi città o conurbazioni tende
a diminuire, mentre è nel resto del territorio metropolitano e nel territorio
non metropolitano che si intensifica l'insediamento sia delle residenze che delle
attività produttive. In questa fase la distinzione fra città e campagna sfuma
progressivamente. Al vecchio modello monocentrico, che caratterizza sia lo
stadio della concentrazione urbana, sia quello della suburbanizzazione, si
sostituisce in questa fase un modello diffuso di urbanizzazione, tendenzialmente
policentrico. Lo sviluppo metropolitano non è più un processo di tracimazione
continua degli insediamenti verso anelli concentrici sempre più ampi, ma dà
luogo a «sistemi» di città costituiti da una costellazione di centri o sub ‑
poli che si sviluppano intorno ad una grande metropoli, oppure costituiti da
una rete di città di dimensione
media o minore, reciprocamente integrate, ma senza un univoco rapporto di
dominanza. I vari sistemi urbani tendono poi a collegarsi in più vasti sistemi
intermetropolitani che si dispongono lungo i grandi assi infrastrutturali di
interconnessione.
E’ quanto sta avvenendo ormai da qualche
decennio nell'Italia centro ‑ settentrionale, come risulta evidente
dall'aggiornamento al 1981 di una vecchia e nota ricerca SVIMEZ sullo sviluppo
metropolitano, aggiornamento i cui risultati sono in parte riportati
nell'ultímo capitolo del Rapporto 1987 sull'economia del Mezzogiorno.
Nell'Italia del Nord da circa vent'anni la popolazione residente e l'occupazione industriale sono in diminuzione nei centri urbani maggiori; quanto alla popolazione, essa diminuisce anche nei centri di media dimensione (intorno ai 200.000 abitanti); risulta invece sostenuto lo sviluppo insediativo nei centri minori e nelle aree rurali, con conseguente rapida espansione dei perimetri delle maggiori aree metropolitane, con il formarsi di nuove aree metropolitane policentriche, con la tendenza delle une e delle altre a saldarsi reciprocamente, conferendo connotati metropolitani quasi all'intero territorio. La grande area milanese, che si estende fino a Varese, Como e Lecco a nord, fino a Novara ad ovest, fino a Pavia a sud e fino a Brescia ad est tende ormai a saldarsi ad occidente, attraverso Biella, con quella torinese; verso oriente con quella policentrica del Veneto (Verona, Vicenza, Padova, Venezia, Treviso, Pordenone); verso sud, attraverso Piacenza, con quella emiliana (Parma, Modena, Reggio, Bologna); questa a sua volta tende a congiungersi sia con quella veneta, attraverso Ferrara, sia con quella alto‑adriatica (Ravenna, Pesaro, Ancona), che si prolunga, ormai quasi senza cesure, verso sud fino a Pescara‑Chieti. L'area ligure (da San Remo alla Riviera di Levante) si collega, attraverso la cerniera transappenninica di Alessandria, con la grande area milanese, e tende a saldarsi, ad est, con quella alto‑tirrenica (La Spezia, Massa, Pisa, Livorno, Lucca), e questa a sua volta con quella di Firenze ‑ Prato ‑ Pistoia.
Niente di simile nel
Mezzogiorno, dove la densità demografica ed insediativa nelle maggiori aree
urbane continua ad aumentare all'interno di perimetri che ‑ ad eccezione
del caso di Napoli ‑ restano ristretti; in alcuni casi, Bari e Palermo
per esempio, continua ad aumentare la popolazione residente nella città
centrale; e laddove, come a Napoli e a Catania, si ha qualche modesta
diminuzione della popolazione nella città centrale, è solo perché questa è
soffocata dall'abnorme intensificazione dell'insediamento nei comuni
contermini, del resto solo amministrativamente distinti dal comune capoluogo,
di cui in effetti costituiscono veri e propri quartieri. Insomma, mentre nel
Nord siamo nel pieno dello stadio dell'urbanizzazione
diffusa, nel Mezzogiorno non sembra ancora superato lo stadio della
suburbanizzazione; solo nel caso di Napoli l'espansione metropolitana è ormai
di raggio molto esteso e si alimenta dello sviluppo dei sub ‑ poli
esterni di Caserta, Salerno e di recente anche di Avellino.
Netta è poi la
separazione funzionale tra le maggiori aree urbane meridionali (Napoli, Bari,
Catania, Palermo, Cagliari), di cui, del resto, è molto marcata anche la stessa
separazione geografica: sembra evidente anche alla comune osservazione che i
rapporti economici e culturali di ciascuna di tali aree con le grandi metropoli
esterne, in primo luogo con Roma e Milano, sono più intensi che non quelli di
tali aree tra loro.
In tutto l'occidente
industrializzato, il declino della popolazione e dell'occupazione industriale
nelle città maggiori si accompagna alla fatiscenza dei vecchi quartieri
industriali, alle difficolà di reimpiego dei lavoratori espulsi dalle industrie
in crisi, all'aumento della disoccupazione giovanile, ai conseguenti fenomeni
di emarginazione e di devianza. Ma, malgrado questi fenomeni di degrado
urbanistico e sociale, il declino demografico e industriale delle città
maggiori non signifíca necessariamente che sia in declino anche la loro
importanza economico ‑ funzionale; anzi, in molti casi è solo il segno
del mutamento della loro struttura economica e del loro ruolo nel territorio:
un mutamento che è imposto dal fatto che sono mutati i fattori decisivi dello
sviluppo.
Oggi nella
competizione vince non tanto chi paga meno o fa rendere di più gli stessi
fattori e inputs di produzione nell'ambito di tecnologie sostanzialmente non
dissimili da quelle impiegate dai concorrenti, ma chi riesce ad adottare per
primo un'innovazione di processo, di prodotto, di mercato, e riesce a ridurre i
rischi e i costi connessi all'adozione dell'innovazione stessa. La riduzione
dei rischi e dei costi dell'adozione di innovazioni è assicurata, di norma,
attraverso la flessibilità tecnico ‑ organizzativa e la tempestiva
acquisizione delle informazioni, delle conoscenze e delle consulenze necessarie
a orientarsi in un mondo in cui sono aperte innumerevoli possibilità, ma che è
anche dominato da una grande incertezza di prospettive.
In questo quadro, ai
fini dell'adozione di innovazioni di successo, aumenta l'esigenza di
integrazione funzionale tra le diverse fasi del processo produttivo, a partire
dalla ricerca fino alla commercializzazione del prodotto finito; ma, ai fini
della flessibilità, aumenta, invece, l'esigenza di disintegrazione
organizzativa tra queste fasi, che tendono ad essere affidate ad imprese
indipendenti. La conciliazione tra queste opposte esigenze di integrazione
funzionale e di disintegrazione organizzativa postula un impegno crescente
nelle attività di contatto, di coordinamento, di integrazione, difeed back
costante di informazioni tra i vari soggetti e le varie fasi della catena
scienza – tecnología - produzione - mercati.
L'identificazione
delle innovazioni possibili, la soluzione effettiva dei problemi finanziari,
tecnologici, organizzativi, posti dalla ricerca, dallo sviluppo,
dall'applicazíone produttiva e dallo sfruttamento commerciale delle innovazioni,
il coordinamento tra i vari soggetti che concorrono al successo dell'iniziativa
innovativa richiedono un contesto in cui: siano favoriti i contatti personali e
gli scambi di informazioni; sia operante un insieme di istituzioni culturali,
di ricerca, di trasferimento tecnologico; sia disponibile un'ampia gamma di
competenze tecniche e professionali, di agenzie di consulenza, di servizi
specializzati e di alta qualità. Questo contesto può essere offerto solo dalle
grandi metropoli nazionali, che, se perdono residenti e posti di lavoro
operaio, restano però i luoghi deputati ad ospitare quelle attività per lo
svolgimento delle quali, oltre che la facilità di accesso alle reti dei
collegamenti internazionali, continua ad essere necessaria anche la prossimità
fisica. Tra queste attivìtà rientrano: 1) nell'ambito delle stesse attività
industriali, e più in generale nell'ambito delle grandi organizzazioni (anche
di quelle non - profit), quelle funzioni direzionali, o comunque quelle
funzioni non di routine, che, pur in presenza di reti moderne ed efficienti di
telecomunicazione e di telematica, non possono prescindere da contatti
personali «faccia a faccia» con partners d'affari, con centri di ricerca, con
consulenti, con finanziatori, con clienti; 2) i servizi richiesti per lo
svolgimento delle suddette funzioni direzionali: software, servizi finanziari,
ricerche di mercato, studi e progettazioni, pubblicità, consulenze
professionalí di alta qualificazione; 3) i servizi per i consumi che
caratterizzano lo stile di vita delle fasce sociali ad alto reddito, cui
appartengono gli addetti alle funzioni direzionali e ai servizi ad esse
complementari; 4) i servizi di supporto agli scambi di persone, di idee, di
informazioni di raggio interregionale e internazionale (attività editoriali,
cinematografiche, radio - televisive, congressi e manifestazioni culturali,
agenzie di viaggi, pubbliche relazioni, ecc.).
Le caratteristiche
qualitative dell'ambiente urbano risultano decisive ai fini dell'accoglimento
dì quest'insieme di attività, non solo sotto il profilo dell'efficienza del
loro esercizio, ma anche, e in misura crescente, sotto il profilo della domanda
di qualità della vita da parte di coloro che vi sono addetti e delle loro
famiglie: sembra infatti aumentare l'importanza delle preferenze residenziali
del personale di staff nelle decisioni di localizzazione di attività, per le
quali, sotto altri profili, le differenze di convenienza tra più alternative di
localizzazione in aree metropolitane non risultassero rilevanti.
E’ in questo quadro
che si pone il problema del recupero e della rivitalizzazione urbana; ed è
superfluo ricordare che da oltre un decennio tale problema è affrontato in
molti paesi europei con politiche specifiche e rilevanti interventi. La
dotazione di capitale fisso che le città hanno accumulato nel corso del loro
lungo passato preindustriale e industriale (abitazioni, impianti,
infrastrutture) richiede di essere rinnovata, riconvertita, in qualche misura
forse anche parzialmente eliminata, in parallelo con il rinnovamento e la
riconversione dell'economia e delle funzioni urbane e con l'avvento di nuove
tendenze e di nuove forme del processo di urbanizzazione. Ora, per la
complessità stessa e l'intensità sempre più marcata delle interrelazioni che
caratterizza non solo le singole città o aree metropolitane, ma i loro
«sistemi» e i loro rapporti con il territorio, la probabilità di successo degli
interventi di recupero e di rivitalizzazione è tanto maggiore quanto meno tali
interventi hanno carattere episodico, settoriale e parziale. Non possono, ad
esempio, non essere precari i risultati di un'azione di risanamento e di
rinnovo solo edilizio dei quartieri degradati, se non si avvia una parallela
azione di risanamento economico - sociale, che garantisca ai residenti
un'occupazíone, un reddito e una cultura che consentano la manuten - zione del
patrimonio risanato; analogamente l'entità dei benefici sociali di nuove o
rinnovate infrastrutture civili dipende in larga misura anche dalle risorse
finanziarie e organizzative di cui potranno disporre le amministrazioni cui
compete la responsabilità di una loro efficiente gestione; e non si può pensare
di risolvere alcun rilevante problema (a cominciare da quello del traffico) se
non in un'ottica di scala metropolitana. Sono, queste considerazioni, tanto
ovvie e banali quanto, purtroppo, spesso senza riscontro nella pratica.
La verità è che l'efficacia e la fattibílità dei
programmi di recupero e di rivitalizzazione urbana richiedono condizioni -
quali l'entità e la certezza pluriennale dei finanziamenti, il coordinamento
delle iniziative e delle competenze di una molteplicità di soggetti pubblici e
privati, la mediazione tra interessi locali presenti all'interno dell'area
metropolitana e che possono essere tra loro contrastanti - che appaiono non
facili da realizzare nell'attuale stato della finanza pubblica e nell'attuale
ordinamento dei poteri locali.
Sia la crisi e il
degrado progressivo in cui versano nel Mezzogiorno le grandi aree
metropolitane, sia il loro accresciuto ruolo strategico per lo sviluppo del
territorio impongono certo di non attendere i tempi lunghi che potrebbero
rivelarsi necessari affinché le condizioni richiamate siano formalmente
assicurate, ad esempio da leggi speciali o dall'istituzione di nuove autorità
metropolitane; ma ciò non deve significare la rinuncia a decidere in sede
pubblica in merito alle singole iniziative sulla base della valutazione degli
effetti che ne deriverebbero sull'intero organismo metropolitano e del costo
degli interventi complementari che tali effetti potrebbero rendere necessari.
Occorre, insomma, che le indubbie difficoltà non inducano a rinunciare, anzi
inducano finalmente a cominciare, a governare effettivamente il territorio
metropolitano.
[1]Intervento
all'incontro promosso dalla Società «Studi Centro Storico Napoli», presso il
Banco di Napoli, il 21 dicembre 1987, sul tema «Il recupero e il ruolo delle
città come elemento propulsivo dello sviluppo».
Testo pubblicato
in “Rivista economica del Mezzogiorno”, a.II, 1988, n.1