Le aree urbane in Italia [1]
di
Domenico Cecchini
Scopo della presente nota è offrire al lettore i risultati della prima fase delle ricerche sulle recenti tendenze della urbanizzazione in Italia in corso presso la SVIMEZ. Parte di essi è stata già descritta nell'ultimo capitolo del Rapporto 1987 sull'economia del Mezzogiorno; qui si presenta, a integrazione di quel testo, il quadro nazionale delle aree urbane cosí come emerge, nella sua articolazione comunale, dalle elaborazioni svolte.
Nella seconda fase la ricerca sarà dedicata oltre che all’analisi dinamica della struttura e delle caratteristiche socioprofessionali della popolazione urbana, allo studio delle specializzazioni funzionali delle aree urbane e dei processi di conversione delle loro basi economiche.
La nuova attenzione
con la quale, da diverse sedi, si guarda oggi ai problemi connessi alle
trasformazioni urbane in corso e soprattutto a quello ‑ certo non nuovo
ma forse oggi piú maturo ‑ dell'avvio di una vera e propria politica
urbana in Italia, suggerisce alcune riflessioni in ordine al significato che
essa potrebbe avere per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Nel primo paragrafo,
quindi, si collocano tali riflessioni entro il quadro, per molti aspetti di
grande interesse, offerto dalle esperienze recenti di paesi che sperimentano da
oltre un trentennio politiche di questo tipo; nel secondo paragrafo si
discutono i criteri utilizzati per la delimítazione delle aree urbane, delle
quali si dà, nel terzo paragrafo, l'elenco dettagliato dei singoli comuni che
le compongono.
1. Alcuni
aspetti delle nuove politiche urbane in Europa
In molti paesi europei
il nuovo ciclo delle trasformazioni urbane [2]
ha stimolato l'avvio di nuove politiche urbane di livello nazionale o la
riformulazione di politiche già in essere, ovvero una combinazione di entrambi
gli approcci.
E’ ben noto che politiche urbane esplicite erano state già avviate in alcuni di quei paesi, e segnatamente in Gran Bretagna, in Francia, nella Repubblica Federale Tedesca e in Olanda, già negli anni 50 (in Gran Bretagna ancor prima) e si erano poi sviluppate nel corso dei due decenni successivi.
In un panorama allora
fortemente connotato dal prevalere delle forze centripete e agglomerative nelle
dinamiche localizzative e quindi da ritmi molto intensi di crescita urbana e
suburbana, di norma tanto più rapidi quanto maggiore era la dimensione delle
città, tali politiche erano sostanzialmente orientate al «riequilibrio» delle
armature insediative, a fronteggiare la domanda rapidamente crescente di
abitazioni e di pubblici servizi, a ridurre la congestione degli spazi e la
sovrautilizzazione delle infrastrutture urbane. Seppure con forti diversità di
contenuti e di strumenti esse prevedevano fra le azioni principali: a) la
creazione di vere e proprie villes
nouvelles o new towns (Francia e
Gran Bretagna) o il rafforzamento di centri urbani di livello regionale (le «métropoles d'équilibre») che mitigassero
le tendenze centripete e polarizzanti; ovvero la realizzazione di nuovi
quartíeri decentrati ed autonomi (come in Germania e in Olanda) che
consentissero una crescita policentrica e meno compatta delle agglomerazioni
urbane; b) il deciso rilancio di programmi pubblici per la costruzione di
alloggi destinati soprattutto alle classi di minor reddito e alla domanda
generata dai flussi intensi di immigrazíone urbana; c) il sostegno alla
realizzazione, o all'ampliamento, di “distretti degli affari» ‑ basti
ricordare la Défense a Parigi ‑ collocati al centro delle maggiori aree
urbane, che offrissero spazi ed attrezzature adeguate alla crescente
qualificazione terziaria delle loro basi economiche; d) un energico impegno nel
rinnovo e nell'ampliamento delle reti di trasporto urbano, soprattutto in sede
propria, funzionalmente interconnesse alle maggiori reti interurbane: in una
migliore accessibilítà interurbana si individuava, fra l'altro, un importante
strumento di decongestione e decentramento dei maggiori poli metropolitani.
Dalla seconda metà degli anni 70 il mutato clima economico, i vincoli di spesa
insorti per la maggior parte delle amministrazioni urbane, ma soprattutto la
progressiva percezione dei radicali mutamenti in corso nei processi di
urbanizzazione (mutamenti di cui l'arresto della crescita demografica delle
grandi città ha rappresentato solo il sintomo piú evidente) e del nuovo ruolo
che le città europee sono chiamate a svolgere nello sviluppo economico (ruolo
di cui i fenomeni di conversione funzionale delle loro basi economiche
costituiscono la prima e talvolta sconvolgente manifestazione) hanno dato luogo
ad una generale «messa in discussione» degli obiettivi, degli strumenti e dei
contenuti delle politiche urbane [3].
E’, questa «messa in
discussione», un fenomeno complesso, estremamente articolato, le cui modalità
ed i cui primi esiti appaiono molto differenziati non solo tra i diversi paesi,
ma, al loro interno, tra le diverse regioni ed amministrazioni urbane. E’
anche, indubbiamente, fenomeno di grande rilievo ed interesse: rappresenta il
laboratorio entro il quale possono definirsi i termini con cui le città
europee, ed in specie le maggiori, affrontano la competizione imposta dalla
nuova fase del progresso tecnico «per divenire i centri della conoscenza
tecnico - organizzativa, della produzione e distribuzione delle informazioni e
della comunicazione, e attraverso ciò i protagonisti del futuro sviluppo del
sistema industriale mondiale» [4].
Naturalmente l'esame di un fenomeno di tale rilievo culturale ed operativo, esula dai limiti della presente nota; è però utile ricordare alcune caratteristiche generali delle nuove politiche. cosí come esse emergono da una prima, sommaria considerazione.
In primo luogo può riscontrarsi la generale convinzione della inefficacia di interventi rigidamente monosettoriali e di approcci esclusivamente fondati su iniziative di trasformazione fisica: il carattere intrinsecamente sistemico della realtà urbana, e quindi la necessità di azioni contestualmente finalizzate a modificare le strutture fisiche, a gestirle con efficienza e manutenerle in modo costante, a rivitalizzare i tessuti economici e le attività produttive locali, impongono programmi plurisettoriali in grado di perseguire sistemi complessi di obiettivi fisici, occupazionali, sociali, culturali, ambientali attraverso strumenti e forme di gestione, di controllo e verifica degli esiti (monitoraggio) altrettanto complessi ed articolati. L'accento si sposta dalla pura realizzazione delle opere ‑ caratteristica della fase precedente ‑ alle modalità organizzative ed operative di programmazione, di concertazione e soprattutto di gestione [5].
In questo quadro si
pongono rilevanti problemi di coordinamento tra politiche urbane «esplicite» e
politiche settoriali (fondiarie, dei trasporti, localizzative, ecc.) che pure
determinano impatti decisivi sulla realtà urbana. E si pongono anche notevoli
problemi di governo di quella partnership
tra soggetti privati e pubblici che sempre piú si manifesta come condizione
necessaria, ma non sufficiente, per la efficace attuazione di interventi
altamente complessi. Emerge inoltre una notevole diversifícazione nelle
esperienze di gestione dei rapporti tra Amministrazioni Centrali,
Amministrazioni Locali ed Imprese che costituisce uno dei nodi centrali delle
politiche urbane: a conferma del fatto che l'attuazione di queste ultime non
postula un modello unico di governo urbano o metropolitano [6].
In secondo luogo si
consolida la preminenza dei programmi di recupero e riqualificazione urbana in
senso lato, che naturalmente si differenziano largamente in adesione ai diversi
modelli di sviluppo urbano nelle specifiche realtà regionali e nazionali, e che
in molti casi assumono un peso finanziario e un'enfasi programmatica superiori
a quelli delle politiche per le «città nuove» tipiche della fase precedente. Le
diversità di strumenti utilizzati, di procedure e contenuti, e prima ancora di
«filosofie», che si riscontrano, ad esempio, tra la Inner City Policy avviata in Inghilterra dal 1978, i programmi
regionali di rivitalizzazione urbana nella RFT e le politiche nazionali
francesi [7]
rendono difficile individuare delle «costanti» ed arduo, ancorché auspicabile,
l'esercizio della comparazione.
Sono però anche qui
riconoscibili alcune caratteristiche comuni ai diversi programmi; tra queste
possono sicuramente essere incluse la multisettorialità degli interventi
previsti, la ampia sperimentazione di forme nuove di gestione e la mobilità
entro i singoli contesti urbani, ma anche alla scala interurbana, delle
funzioni, delle destinazioni d'uso, delle utenze che i programmi stessi
postulano.
Né potrebbe essere altrimenti: i mutamenti in corso nelle principali componenti delle basi economiche urbane ‑ con tutta probabilità destinati a proseguire, anche nel prossimo futuro [8] ‑ la accresciuta competizione interurbana per l'acquisizione di funzioni ed attività innovative e la riformulazione delle gerarchie urbane che essa comporta esigono una maggiore mobilità spaziale delle componenti fisiche, economiche e sociali che hanno finora definito i diversi tessuti urbani. Ciò naturalmente dà luogo ‑ come gli osservatori piú attenti vanno da tempo rilevando ‑ a nuove contraddizioni e conflitti entro lo spazio urbano: ma è proprio nel loro governo secondo finalità sociali e di sviluppo ‑ non nella loro rimozione ‑ che può verificarsi l'efficacia delle nuove politiche urbane.
E’ appunto nell'ambito
della creazione di condizioni ambientali favorevoli allo sviluppo delle nuove
funzioni urbane e metropolitane (il nuovo milieu
industriel ) [9]che si
riscontra un terzo connotato generale delle politiche: il sostegno e l'impulso
alla realizzazione di strutture e spazi attrezzati per l'esercizio delle
attività di ricerca, consulenza, progettazione, programmazione e direzione che
sempre piú si confermano come i segmenti trainanti dello sviluppo di quelle
nuove funzioni, e che richiedono una elevata integrazione reciproca: si va dal
riutilizzo plurisettoriale di aree centrali o semicentrali un tempo destinate a
produzioni manifatturiere o ad attività di stockaggio e movimentazione oggi dismesse,
alla realizzazione in aree periurbane di parchi scientifici, tecnologici, di
centri di eccellenza, di tecnopoli, alla progettazione di «assi terziari» che
proiettano le funzioni un tempo localizzate nel Central Business Districts
sull'íntero territorio metropolitano [10].
Anche in questo caso
la gamma degli interventi è estremamente ampia e differenziata ed il loro avvio
relativamente recente rende difficile una valutazione comparata di efficacia:
sembra però già ora evidente che la significatività dei risultati in larga misura
dipenda dalla integrazione sia spaziale che funzionale tra le tre «reti» di
riferimento essenziali per questi tipi di interventi e cioè la rete delle
istituzioni e dei centri di ricerca, quella delle industrie nnovative e della
imprenditorialità e quella delle amministrazioni locali [11].
Cosí come appare evidente che, nella grande maggioranza dei casi, la
localizzazione e le caratteristiche tecnicofunzionali degli interventi tendono
ad aprire verso l'esterno gli spazi e le relazioni un tempo concentrati nei cores delle maggiori aree urbane e nei CentralBusiness Districts ed a
proiettarle in ambiti periurbaní ed interurbani, senza tuttavia rinunciare ad
una sorta di «prossimità allargata» ‑ resa possibile dalla díffusione
delle nuove tecnologie informatiche ‑ con i maggiori centri urbani e con
la loro offerta di strutture ed occasioni di ricerca, di cultura, di
innovazione e trasformazione.
Ora, i connotati delle
nuove politiche urbane sommariamente ricordati non sono estranei ai temi
presenti nel dibattito che da qualche tempo si è avviato anche nel nostro paese
sul nuovo ciclo urbano e sulle azioni che sarebbero necessarie per sostenere in
alcune città e aree urbane, avviare in altre, la transizione verso assetti piú
coerenti alle nuove esigenze dello sviluppo; ed anche per rendere piú spedita
ed efficace la attuazione di quegli interventi, sia ordinari che straordinari,
che, per le caratteristiche di alta densità insediativa e forte
interconnessione funzionale dei territori in cui ricadono, risultano
particolarmente complessi.
Si tratta però di un
dibattito che, seppur ricco di episodi signifícativi e di nuove presenze [12]
è ancora frammentario, con esiti culturali ed operativi incerti e, soprattutto,
cui stenta a far seguito una iniziativa pubblica organica: una iniziativa,
cioè, in grado di delineare una politica urbana nazionale adeguata all'entità,
alla complessità, ed anche all'urgenza dei problemi che quella transizione
pone.
Non può non
menzionarsi, in proposito, la recente nomina, per la prima volta in Italia, di
un Ministro per le aree urbane. Indubbiamente si è voluto con essa rimarcare la
dimensione nazionale che una politica urbana dovrebbe necessariamente avere.
Dimensione resa necessaría soprattutto dalle notevoli diversità con cui le
singole realtà urbane, e le loro amministrazioni, hanno reagito alle
trasformazioni imposte dal nuovo ciclo e quindi dalla diversa natura ed entità
dei problemi di intervento che esse pongono. In effetti solo una dimensione
nazionale e quindi una valutazione attenta e costantemente aggiornata della
natura e dell'ampiezza di tali diversità, e dei problemi che di volta in volta
esse pongono, consentirebbe di orientare gli interventi al fine di ridurre i
costi della modernizzazione urbana e massimizzarne i benefici per l'ititera
collettività nazionale.
Ora, ed è questo il punto essenziale, i divari di gran lunga piú rilevanti, e gravi, sussistono ancor oggi tra la realtà urbana ed i sistemi urbani centro - settentrionali. Certo, lo stesso Mezzogiorno urbano appare largamente differenziato al suo interno ed i problemi che si pongono, ad esempio, per il riordino dell'area urbana di Bari ed un suo piú equilibrato sviluppo non possono che essere molto diversi da quelli dell'area metropolitana di Napoli, che da sola raccoglie oltre un quinto della popolazione e quasi un terzo dell'apparato industriale manifatturiero del Mezzogiorno, o da quelli del recupero, della riqualificazione e della integrazione con il territorio regionale, delle città calabresi.
Cionondimeno sembra inconfutabile, alla luce non solo della osservazione quantitativa e statistica, ma della stessa esperienza quotidiana, che sotto molti ed essenziali profili sono le città e le aree urbane meridionali nel loro insieme a mostrare oggi i sintomi piú gravi di distacco dai processi di modernizzazione, di adeguamento delle condizioni urbanistiche ed ambientali, di integrazione con i rispettivi territori regionali che, seppure con modalità e ritmi diversi, si vanno affermando in molte aree urbane centro - settentrionali ed europee.
Su tale crescente
distacco, sulle sue principali caratteristiche quantitative e qualitative e sui
rischi che esso comporta, la SVIMEZ è tornata anche di recente, e con
insistenza [13]; sul fatto
che al suo progressivo superamento dovrebbe essere anzitutto finalizzata una
politica urbana nazionale sembrano ora convergere autorevoli opinioni e
risultati di indagini diverse [14].
Se il sistema urbano nella sua complessiva articolazione costituisce, oggi forse píú di ieri, la principale infrastruttura per lo sviluppo non v'è dubbio che è dalla carenza e dalla debolezza di questa «infrastruttura» che il Mezzogiorno è particolarmente penalizzato, e che il suo territorio rischia ulteriori perdite di competitività.
2.
Definizioni e criteri di delimitazione delle aree urbane
Le discipline
territoriali hanno finora elaborato diversi criteri e metodologie per la
delimitazione delle aree urbane: essi possono caratterizzarsi sia in relazione
al «punto di vista» secondo il quale si considera l'area (che potrà essere di
volta in volta prevalentemente fisico - geografica, o politico .
amministrativa, o economico - funzionale) sia in relazione alla specifica
finalità rispetto alla quale ci si propone di delimitare l'area (che potrà
essere amministrativa, pianificatoria, o di gestione di specifici servizi o
interventi, ovvero analitico - conoscitiva) [15]14.
E’ al punto di vista
economico - funzionale che la SVIMEz ha fatto riferimento fin dalle sue prime
ricerche sullo «sviluppo metropolitano» condotte alla fine degli anni 60, ed è
ancora oggi a quel punto di vista che conviene riferirsi. Piú di altri esso consente
di perseguire la finalità, comune alle ricerche di allora e a quelle in corso,
di valutare analiticamente l'entità, le caratteristiche strutturali e le
tendenze dei problemi della urbanizzazione nelle regioni meridionali e di
verificarne le eventuali diversità rispetto alle altre regioni del paese [16]
Secondo tale punto di vista i termini di «città», «città centrale», «area urbana», «area metropolitana» acquistano, pur nel diversificarsi delle tipologie reali, significati ormai consolidati che conviene brevemente ricordare.
Se, secondo la comune
accezione, «città» è una porzione di territorio ad alta densità insediativa,
caratterizzata da una edificazione intensa e compatta, senza effettive
soluzioni di continuità, di norma estesasi, nel corso del primo «ciclo» della
urbanizzazione industriale, attorno ad un centro storico preesistente, in
termini economico - funzionali essa,è soprattutto il luogo nodale delle reti di
relazioni ove si concentrano gli scambi e si polarizzano i flussi di persone,
di beni e di messaggi: è quindi il luogo ove si costituiscono le maggiori
convenienze per la localizzazione delle attività, ad alto valore aggiunto, connesse
a funzioni direzionali, di gestione e di rappresentanza che di quegli scambi e
di quei flussi piú largamente beneficiano.
L'«area urbana» è di norma costituita da un territorio piú ampio, la cui densità insediativa permane piuttosto elevata, ma che può presentare soluzioni di continuità della edificazione, e al cui interno sono localizzate, in modo commisto o comunque a breve distanza reciproca, residenze, attività industriali, manifatturiere in particolare, commerciali e di servizio in un sistema fortemente integrato di produzione, di distribuzione e di consumo. L'«area urbana» rappresenta dunque l'estensione produttiva e residenziale della «città» nei territori a essa limitrofi. Le città intorno alle quali si è andata formando un'area urbana, essenzialmente nel corso del secondo «ciclo» di urbanizzazione, sono usualmente indicate come «città centrali».
Con il termine «area
metropolitana», si intende un sistema economico,funzionale piú che una unità
insediativa demografico - edilizia; esso può includere anche diverse «cíttà» e
«aree urbane». Ciò che importa nella individuazione di un'area metropolitana,
le cui dimensioni sia territoriali che demografiche e funzíonali sono comunque
molto píú ampie di quelle dell'«area urbana», non è la continuità della edificazione,
la quale può risultare interrotta da territori anche ampi, a destinazione
agricola o liberi, quanto la presenza di rapporti funzionali, di interrelazioni
e di scambi fra le diverse attività e funzioni insediate nel suo ambito. I
confini fisici di un'area metropolitana appaiono dunque piú sfumati di quelli
della «città» e anche dell'«area urbana»; cionondimeno essi sono
approssimativamente definibili attraverso opportuni indicatori.
E’ all'approccio
economico - funzionale che devono attribuirsi, come è ben noto, le esperienze
piú significative di definizione e delimitazione delle aree urbane e
metropolitane. Di tali esperienze, due costituiscono ancor oggi un riferimento
obbligato.
La prima, avviata
negli USA fin dagli anni 50, ha consentito di mettere a punto un insieme di
criteri che utilizzano congiuntamente indicatori di dimensione assoluta (soglia
demografica minima di 50.000 abitanti per le «città centrali») di densità
territoriale (delle residenze e della occupazione) e di integrazione economico
- sociale tra la città centrale e le unità territoriali circostanti. Val la
pena di ricordare che, attraverso successivi affinamenti, compiuti dall'Ufficio
di Censimento degli USA, le aree cosí delimitate, e denominate prima Standard Metropolitan Areas (SMA, 1950)
poi Standard Metropolitan Statistical
Areas (SMSA, dal 1960), costituiscono da oltre trenta anni unità
territoriali inserite nei Censimenti nazionali; e che, per tener conto della
crescita e diffusione urbana, e dei processi di saldatura tra diverse aree
urbane, negli anni 70 è stata introdotta una ulteriore aggregazione
territoriale, la Standard Consolidated
Statistical Area (SCSA) che è costituita dalla aggregazione di due o Piú
SMSA contigue [17].
La seconda esperienza,
avviata alla fine degli anni 60 in Inghilterra, si è svolta soprattutto attorno
ad una idea di area urbana come «spazio autocontenuto», come territorio cioè
entro il quale si svolgono i movimenti pendolari e le relazioni a carattere
giornaliero (Daily Urban System).
Essa ha dato luogo ad un insieme di criteri essenzialmente fondati su
indicatori della intensità degli spostamenti per motivi di lavoro tra la città
centrale e le unità territoriali circostanti.
Tali criteri hanno
consentito, attraverso successivi approfondimenti, di suddividere l'intero
territorio nazionale in «Regioni Funzionali» e di delimitare, attraverso di
esse, le aree urbane, in stretta correlazione con i mercati del lavoro locali.
Le aree cosí individuate sono state largamente utilizzate nelle indagini finalizzate
alla formulazione di politiche urbane ‑ sia nazionali che regionali ‑
e di politiche del lavoro [18].
Nel corso dei primi
anni 80 alcune importanti ricerche comparative a scala europea [19],
pur riferendosi alle due esperienze ricordate, ed in particolare utilizzando il
concetto di area urbana come entità territoriale costituita da una ‑ o
piú ‑ città centrali (core) e
da una corona periferica (ring) ad
essa funzionalmente integrata, hanno utilizzato aggregati territoriali (Functional Urban Areas) delimitati
secondo criteri meno univoci, che consentissero però di tener conto delle
esperíenze e degli indicatori utilizzati in ciascun paese.
Anche in Italia, ove purtroppo non si è ancora pervenuti ad una utilizzazione censuaria di entità territoriali di tipo urbano o metropolitano, utilizzazione che pure avrebbe effetti positivi sia ai fini conoscitivi che di predisposizione di politiche, alcune ricerche recenti hanno fornito contributi utili in materia. In particolare un gruppo di lavoro congiunto ISTAT‑IRPET (Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana) ha reso noti, nel dicembre 1986, i risultati di un vasto lavoro di elaborazione dei dati sub - comunali (sezioni di censimento) dei censimenti 1981 della popolazione e dell'industria e commercio; tale elaborazione, fondata essenzialmente sulla analisi degli spostamenti giornalieri per lavoro disponibili per la prima volta in Italia attraverso il Censimento 1981 della popolazione, ha dato luogo ad una prima individuazione di 955 «sistemi locali del lavoro» in cui può essere suddiviso l'intero territorio nazionale e delle 177 «regioni funzionali del lavoro» in cui essi sono aggregabili [20].
Al problema della
delimitazione delle aree urbane in Italia la SVIMEZ aveva dato un contributo
fin dalla ricordata indagine sullo sviluppo metropolitano [21]
mettendo a punto un criterio che, pur riferendosi alle esperienze
internazionali piú consolidate, teneva conto delle specifiche caratteristiche
dei processi di urbanizzazione nel nostro paese e della disponibilità di dati
statistici sufficientemente disaggregati.
Secondo tale criterio
venivano considerate aree urbane quei comuni, o insieme di comuni contigui,
che, oltre a superare una determinata dimensione demografica (100.000
abitanti.residenti) raggiungessero una dimensione e una densità di attività
extragricole (oltre 35.000 attivi rilevati dal censimento della popolazione con
una densità di oltre 100 per kmq) tali da presupporre la presenza e la
reciproca integrazione di funzioni urbane: cioè di quelle funzioni che
richiedono una dimensione sufficiente di mercato e di economie esterne, non
offerte dai centri minori. Per tener conto poi della entità e della persistenza
dei fenomeni di sovrappopolazione urbana nel Mezzogiorno, in successivi
aggiornamenti di quella ricerca [22]
si consideravano «comuni urbani» anche quei comuni che, pur non raggiungendo
quelle soglie dimensionali o di densità di attivi extragricoli presentavano una
popolazione superiore a 100.000 abitanti.
Oggi, la rilevanza dei processi di decentramento produttivo e di diffusione ínsediativa verificatisi anche nel nostro paese, e le tendenze alla redistribuzione di attività e funzioni all'interno delle singole aree urbane o metropolitane, hanno suggerito di integrare tali criteri, rivelatisi comunque ancora significativi. IL parso quindi necessario introdurre, tra i criteri di delimítazione delle aree, un indicatore che consentisse di rilevare, seppur approssimativamente, gli effetti del decentramento produttivo sull'ampliamento o sulla nuova formazione delle aree urbane: che consentisse cioè di tener conto dello spostamento degli impianti di produzione nei territori «di frangia» delle aree come prima individuate, o anche al loro esterno. Si è perciò associato al criterio della densità degli attivi extragricoli, censiti nei loro luoghi di residenza, quello della densità degli addetti extragricoli ‑ cioè dei «posti di lavoro» ‑ rilevati presso le unità locali delle imprese dai censimenti industriali: ciascun comune dell'intero territorio nazionale è stato quindi valutato anche in relazione ad opportune soglie di densità dei posti di lavoro extragricoli [23] e, se con densità superiore a tali soglie, inserito nelle aree urbane o metropolitane. Quanto alla valutazione della distribuzione delle attività e funzioni all'interno delle singole aree, si sono introdotti criteri che consentono di individuare la presenza, al loro interno, di «città centrali» cioè di poli o sub - poli urbani con funzioni attrattive, o preminenti, nei confronti del resto dell'area: si sono quindi definiti come «città centrali» tutti i comuni interni alle aree urbane o metropolitane che, oltre ad avere una popolazione superiore a 50.000 abitanti soddisfano almeno una delle seguenti condizioni: un rapporto tra posti di lavoro (addetti) e attivi extragricoli superiore a 1, ovvero superiore al valore dello stesso rapporto per l'intera area (indici di attrazione); una popolazione superiore alla metà di quella dell'intera area (indice di preminenza).
Infine, nell'esame
qualitativo delle relazioni tra le aree urbane o metropolitane e il resto dei
territori regionali si è tenuto conto della numerosità e della distribuzione
dei centri, con una popolazione compresa tra 50.000 e 100.000 abitanti, esterni
alle aree stesse.
I criteri indicati
hanno naturalmente un carattere convenzionale. Essi non si propongono una
esatta individuazíone dei confini delle aree urbane o metropolitane [24]:
molte di esse ad un esame localmente piú approfondito, o soprattutto ad una
delimitazione finalizzata ad obiettivi di diversa natura (pianificatori o di
attuazione di politiche) potrebbero risultare in qualche misura diversamente
configurate. I criteri adottati, tuttavia, sono risultati adeguati agli
obiettivi della ricerca che, si ricorda, consistono nella analisi economica -
funzionale dell'entità, delle caratteristiche, delle tendenze del fenomeno
urbano in Italia e nella valutazione dei diversi problemi che esso pone nel
Mezzogiorno e nel Centro‑Nord.
3. Le aree urbane al 1981
Nell'elenco in
Appendice è riportata la articolazione territoriale delle aree urbane
delimitate al 1981 secondo i criteri esposti nel paragrafo precedente. Per ogni
area sono indicate le città centrali e gli altri comuni che di essa fanno
parte, elencati per provincia di appartenenza; sono inoltre evídenziati i
comuni che sono risultati inclusi nelle aree per l'espansione dei loro confini
tra il 1971 e il 1981; alcuni comuni che, pur essendo inclusi nelle aree al 197
1, ne sono risultati esclusi al 1981 sono indicati tra parentesi in calce a
ciascuna area.
Le 39 aree urbane
individuate sono disposte nell'elerico, e nella tabella i che ne mdica le
principali dimensioni territoriali, demografiche ed occupazionali, secondo tre
gruppi dimensionali.
Il primo gruppo è
costituito dalle massime concentrazioni urbane la cui popolazione, secondo la
piú recente rilevazione anagrafica disponibíle, supera i 3 milioni di abitanti
e che possono essere definite vere e proprie aree metropolitane. Si tratta
anzitutto della grande area metropolitana milanese, di dimensione oramai
decisamente sovraregionale, che raccoglie al 1985 oltre 7 milioni di abitanti e
670 comuni di ben 9 province; della piú compatta area di Roma, ove risiedono
poco piú di 3 milioni di abitanti e che aggrega, essenzialmente a motivo della
eccezionale ampiezza territoriale del suo comune centrale, solo 15 comuni;
dell'area metropolitana di Napoli, di gran lunga la maggiore e piú articolata
realtà urbana del Mezzogiorno, ove risiedono oltre 4 milioni di abitanti, in
166 comuni appartenenti a 4 diverse province.
Sono poi elencate le
aree urbane di grande dimensione, la cui popolazione varia tra gli 1,8 milioni
di abitanti della maggiore, quella torinese, ed i circa 637.000 della minore,
quella di Catania: delle 11 aree urbane appartenenti a questa classe
dimensionale 8 sono localizzate nel Centro‑Nord e 3 nel Mezzogiorno.
Seguono infine le aree urbane definibili come di dimensione media o minore, ed
i «comuni urbani»: la loro dimensione demografica è compresa tra i circa
300.000 abitanti delle maggiori (Taranto e Cagliari) e la soglia convenzionalmente
assunta di 100.000 abitanti. Delle 25 aree appartenenti a questa classe
dimensionale, 12 ricadono nel Mezzogiorno e 13 nel Centro‑Nord.
Complessivamente nelle
39 aree urbane risiedono 31,7 milioni di abitanti, pari al 55,4% della
popolazione nazionale. La consistenza demografica e l'articolazione
territoriale delle aree è però notevolmente diversa nelle due grandi
circoscrizioni del paese.
Nel Centro‑Nord,
come già si è rilevato nel Rapporto SVIMEZ 1987, la diffusione urbana ha
virtualmente saldato in un unico sistema le grandi aree padane e venete, ha
congiunto la direttrice emiliana a quella adriatica fino a Pescara ed ha
notevolmente ampliato le aree liguri e toscane; la popolazione residente nelle
23 aree urbane del Centro‑Nord, pari a 22,9 milioni di unità, corrisponde
al 63 % della sua popolazione complessiva su un territorio pari al 15 %, con
un numero di posti di lavoro extragricolí pari al 69% del totale
circoscrizionale.
Nel Mezzogiorno, ove
non si sono registrati rilevanti fenomeni di saldatura fra le diverse aree
urbane, che restano fra loro separate sia geograficamente che funzionalmente,
la popolazione urban ' a ascende a circa 8,8 milioni di abitanti, pari al 42%
della popolazione meridionale, su di un territorio pari al 6% e con un numero
di posti di lavoro extragricoli pari al 51% del totale.
Differenze notevoli si
riscontrano, sempre a livello aggregato, sia nella densità insediativa media
delle aree, nel Mezzogiorno (1.245 ab./kmq) nettamente piú elevata rispetto al
Centro‑Nord (848 ab./kmq), sia nei ritmi di crescita demografica, ancora
intensi nel Mezzogiorno, ove la popolazione urbana è aumentata di 1,3 milioni
di unità nel decennio 1971‑81 e di oltre 255.000 unità nel quadriennio
successivo; nel Centro‑Nord invece la popolazione delle aree è
addirittura diminuita in valore assoluto di quasi 100.000 unità negli anni 1982‑85.
In realtà, come si è
già osservato, il sistema urbano centrosettentrionale è cresciuto, negli anni
70, essenzialmente per diffusione, mentre in quello meridionale sono ancora
prevalenti le tendenze alla concentrazione. Val la pena di rilevare, in
proposito, che un primo risultato della introduzione dell'indice di densità
territoriale dei posti di lavoro (addetti) extragricoli nel criterio di
delimitazíone delle aree è consistito nella verifica della esiguità dei
processi di «índustrializzazione diffusa» nel Mezzogiorno durante gli anni 70 e
quindi della loro relativamente scarsa incidenza sui processi di urbanizzazione
[25].
Naturalmente i dati
aggregati non esprimono la complessità di sistemi e realtà urbane tra loro
molto diversificate; rinviando ad altra sede, e al proseguimento della ricerca,
la analisi di tale complessità sembrano per ora possibili due considerazioni di
carattere generale.
La prima concerne
appunto il fatto che l'universo urbano del quale si è tentata la delimitazione
raccoglie al suo interno aree molto diverse per dimensioni, articolazione
territoriale, caratteristiche economico - funzionali. In particolare la
notevolissima estensione di quella vera e propria «regione urbana» indicata
come area metropolitana milanese potrebbe sollevare alcune perplessità in
ordine alla utilizzazione del criterio adottato. Esso, è stato osservato,
potrebbe dar luogo a delimitazioni territoralmente troppo estese [26].
E viceversa da ritenere che proprio in casi comcome quello dell’area milanese
si manifesta la utilità conoscitiva di tale criterio: esso consente da un
lato, attraverso la individuazione delle città centrali, di caratterizzare sia
in termini spaziali che funzionali campi urbani molti vasti che possono in tal
modo essere disaggregati ed analizzati al proprio interno; dall'altro è
proprio la utilizzazione di soglie significative e costanti nel tempo che
consente di rilevare la reale dimensione dei fenomeni territoriali nella loro
dinamica e di «misurare», ad esempio, la entità e gli effetti dei processi di
diffusione urbana. Il fatto che le 9 «città centrali» individuabili all'interno
dell'area metropolitana milanese siano collocate entro un territorio ad elevate
caratteristiche urbane e di grande estensione quale quello delimitato nella
indagine, è circostanza di grande rilievo sia ai fini analitici, che
programmatici.
La seconda
osservazione riguarda il fatto che, ferme restando lenotevoli differenziazzioni
tra la realtà urbana meridionale e quella centro - settentrionale, e nonostante
l'entità dei processi diffusivi che hanno interessato quest'ultima, le densità
insediative medie, sia di residenze che di posti di lavoro, risultano ancora
straordinariamente piú elevate nelle aree urbane, non solo com'è ovvio nelle
città centrali ma anche nei ben piú vasti hinterlands
(gli «altri comuni») di quanto non lo siano nel restante territorio non urbano.
Il richiamo a questo dato, apparentemente banale, vuol semplicemente evitare
che l'attenzione alle nuove tendenze al decentramento produttivo e residenziale
metta in ombra il carattere di relativa rigidità e di permanenza «storica»
tipico delle strutture insediative [27].
In effetti, non è tanto ad una generale «diluizione» delle caratteristiche
urbane o metropolitane degli insediamenti che quelle tendenze sembrano dar
luogo, quanto ad una estensione per contiguità e propagazione, di tali
caratteristiche a porzioni sempre piú ampie di territorio. Si può ad esempio
stimare che, anche a motivo del crescente consumo di suolo sia pro capite che
per addetto, circa metà delle aree classificate di pianura dall'ISTAT nelle
regioni del Centro‑Nord ricadono oggi all'interno delle aree urbane
secondo la delimitazione SVIMEZ. Si vuole con ciò semplicemente notare che V
affermarsi di modelli diffusivi e di strutture insediative di tipo reticolare,
cui si è fatto anche altrove riferimento [28],
non riduce né la sostanziale diversità del territorio urbano e metropolitano
rispetto al tetritorio che tale non è, né rende meno necessario l'avvio di
quelle politiche cui ci si è riferiti nel primo paragrafo.
[1]
Le
elaborazioni statistico‑informatiche necessarie per la delimitazione
delle aree sono state svolte da G. Goffredo con la collaborazione di F.
Ieva.
Testo
pubblicato in : “Rivista economica del Mezzogiorno”, a. II, 1988, n. 1.
[2] Per una sintesi delle origini strutturali del nuovo ciclo v. il testo di S. Cafiero Il ruolo delle città per lo sviluppo in questo numero della rivista. La letteratura sull'argomento è ormai molto vasta: un'ampia rassegna è in P. Cheshire, D. Hay, G. C arbonaro, Regional Policy and Urban Decline, Interim Report, Inventory of Existing Work: Final Draft, Joint Centre for Land Development Studies, Reading, novembre 1983; una bibliografia ragionata su La città e le sue scienze oggi, relativa ai lavori pubblicati tra il 1983 e il 19861 è in corso di pubblicazione a cura del FORMEZ; tra i lavori di sintesi piú recenti v. anche il saggio di R. Barras, Technical Change and The Urban Development Cycle, in «Urban Studies», vol. 24, n. 1, 1987.
[3] Dal 1980 un «Groupe ad hoc sur les problemes urbains» istituito dal Consiglio dell'OCDE (e successivamente trasformato in «Groupe des affaires urbaines») ha preso in esame le politiche urbane in molti paesi OCDE. I primi risultati del lavoro del gruppo, sono stati pubblicati in Les villes en mutation, Politiques et Finances (vol. 1), Le role des pouvoirs publics (vol. II), Paris, 1983. Sullo stesso tema v. anche: N.J. Ewers, J.B. Goddard, N. Matzerath, The Future ofthe Metropolis ‑ Berlin, London, Paris, New York, Economic Aspects, Berlin‑New York, Walter de Grujter, 1986, ed in particolare la parte III «Economic policy and the Metropolis»; P. Cheshire e al., Urban Problems and Regional Policies in European Comunity, European Commission, 1988, in corso di pubblicazione; R.H. Williams (a cura di), Planning in Europe, Urban and Regional Pianning in the EEC, London, George Allen and Unwin, 1984.
[4] N.J. Ewers e altri, The Future of tbe Metropolis,
cit., pp. 1 - 2.
[5] Gli esempi dell'emergere di queste nuove
tendenze sono naturalmente molto numerosi. Tra quelli piú significativi possono
ricordarsi: l'introduzione, in Francia, dal 1981 e con maggior forza dal 1984,
anno di costituzione del «Comité Interministeriel pour les Villes», di una
nuova metodologia di intervento per la riqualificazione e riorganizzazione
urbana, la «démarche Projet de Quartier» che prevede la programmazione e
gestione di interventi molto articolati da parte di organismi misti («équipes
de maitrise d'oeuvre urbaine») istituiti dalle amministrazioni locali con il
contributo sia tecnico che finanziario della amministrazione statale, cui
prendono parte i diversi soggetti pubblici e privati interessati agli
interventi; l'avvio in Inghilterra fin dal 1978, attraverso l'Inner Urban Areas Act, e poi il Local Govemment Planning and Land Act
(1980) di una gamma molto ampia di interventi per il recupero e la
rivitalizzazione delle aree urbane (istituzione dell'Urban Development Grant e del Derelict Land Grant, costituzione delle Enterprise Zones, finanziamento dell'Urban Programme e delle Estate
Actions, istituzione delle Urban
Development Corporations ecc.) tra i quali il piú rilevante sotto il
profilo dell'impegno di risorse pubbliche (Urban
Programme) ha destinato, tra il 1983 e il 1987, il 36% delle risorse alle
attrezzature e infrastrutture per l'industria, il 38% alla realizzazione di
strutture e servizi sociali (sport, centri di assistenza e formazione ecc.), il
17% alla riqualificazione e all'ampliamento delle urbanizzazioni, il 9% al
recupero abitativo; gli esiti, secondo diversi osservatori largamente positivi,
del Glasgow Eastern Area Renewal Project
(GEAR) che ha nella intersettorialità e nel coordinamento pubblico/privato
alcuni dei motivi ispiratori essenziali; gli esiti, anch'essi valutati
positivamente, dell'Action Programme
avviato nel 1979 nella RFT per la regione della Ruhr, ed articolato secondo
diversi, integrati e complementari sub‑programmi (v. Ministère de
l'Equipement, du Logément, de l'Aménagement du Territoire et des Transports,
Comité pour les villes, J.O.R.F, 1986, 1987; Department of the Envíronment, The Urban Programme: 1986, 1987; V.U.
Wannop, C1ydeside in Transition, Town
Planning Review, vol. 55 n. 1, 1984; e R. Leclerc, D. Draffan, The Glasgow Eastern Area Renewal Project,
ibidem, vol. 55 n. 3, 1984; P. Cheshire e al., Urban Problems... cit.).
[6]
Esemplare, sotto questo profilo, è
la profonda diversità che si può riscontrare, addirittura entro un'unica area
nazionale, tra i rapporti Governo centrale - Enti locali - operatoti stabiliti
dalle Urban Development Corporations
recentemente istituite in Inghilterra e nel Galles e quelli stabiliti, in
Scozia, dal citato GEAR.
[7] Oltre ai documenti ufficiali citati nella
nota 5, si veda, per un primo confronto, J. Fox Przeworski, Overview: National Govemment Responses to
Structural Changes in Urban Economies in Nj. Ewers e al., The Future
oftheMetropolis cit.; P.H. Cheshire e al., Urban
Problems... cit., Section 8.
[8] Argomentano in questo senso sia analisi
ormai classiche, quali quella di Stanback e Noyclle (T.M. Stanbackjr e al.,
Services, The New Economy, Totowa.
NJ., Allanheld‑Osmun, 1981) e di Scott (Aj. Scott, Locational Pattems and Dynamics of Industrial Activity in the Modern
Metropolis, in «Urban Studies», vol. 19, n. 2, 1982), sia lavori piú
recenti (v. ad es. i saggi di D. Kceble e di R.V. Knight in Nj, Ewers e al. The Future of tbe Metropolis cit.;
v. anche R. Barras, Technical Change...
cit.).
[9] Cfr. N.J. Ewers e al., The Future of the Metropolis cit., pp. 1‑10
[10]. Fra questi ultimi i casi senz'altro piú rilevanti sono costituiti dal programma di un «asse terziario» nella regione urbana di Parigi tra la Défense e Marne La Valleé, e dalla vasta azione di trasformazione dell'area dei Docks londinesi, gestita dalla London Docklands Development Corporation. Sulle politiche di realizzazione dei parchi scientifici e tecnologici, v., fra l'altro, gli atti del Colloque International Nouvelle Industrialisation ‑ Nouvelle Urbanisation, Tolosa, 23‑25 settembre 1987.
[11]V., tra i piú recenti lavori in materia,
gli atti della Tavola rotonda su Les
politiques d'innovation tecnologique au niveau local. Articulation des dynamiques locales aux dynamiques
externes ,organizzata dal GREMI (Groupe de Récherche Européen sur
les Milieux Innovateurs) a Parigi il 14‑15 dicembre 1987 ed in
particolare le relazioni di: J.C. Perrin, Dynamiques
Locales et dynamiques externes: étude comparative des politiques technologiques
régionales; di M. Quevit, L'articulation
des politiques régionales d'innovation aux programmes transnationaux de
recherche et dévelopment européens, e di R. Camagni e R. Rabellotti, Rationale and guidelinesfor a research and
tecnological development strategy in least favoured regions.
[12] Ci si riferisce alle numerose proposte e
progetti di interventi, anche di rilevante dimensione formulate, nel corso
dell'ultimo anno, sia da parte del sistema delle Partecipazioni statali, sia da
parte di imprese private, o consorzi di imprese anche di recente costituzione.
[13]V., in particolare SVIMEZ: Rapporto sull'economia del Mezzogiorno 1986 e 1987; La questione meridionale nel quarantennale della SVIMEZ, Roma, 1986; D. Cecchini, Motivi ed obiettivi di un programma straordinario di intervento per il riassetto urbanistico e territoriale nel Mezzogiorno, in «Studi SVIMEZ», n. 3‑4, 1986; v. anche i risultati delle ricerche sui problemi di assetto territoriale ed urbanistico delle singole regioni meridionali in corso di pubblicazione su questa rivista (già pubblicati i saggi sulla Calabria, di A. Bianchi nel Numero unico 1987, e sulla Puglia, di D. Borri e A. Barbanente, in questo stesso numero).
[14] Cfr. IRER - Progetto Milano - Fondazione
Agnelli, Il sistema metropolitano
italiano, Milano, F. Angeli, 1987, ed in particolare l'introduzione di G.
Mazzocchi, coordinatore del Progetto Milano, in cui si afferma, tra l'altro:
«Si tratta in ogni caso di organizzare una politica urbana nazionale, che è
oggi la condizione essenziale per realizzare ciò che Pasquale Saraceno ha
definito «l'unificazione economica del paese». Il centripetal bias delle nuove tecnologie, gli effetti di
polarizzazione delle componenti piú innovative dello sviluppo verso i maggiori
centri metropolitani delle regioni piú avanzate, ed i conseguenti rischi di un
aggravamento degli squilibri regionali - sia in termini di produttività che di
píú generali «condizioni ambientali» - sono lucidamente evidenziati da R.
Camagni e R. Rabellotti (GREMI, cit.) che avanzano anche alcune indicazioni
sulla natura degli interventi finalizzati alla diffusione della innovazione
tecnologica. Quanto al crescente divario non solo e non tanto di dotazioni
fisiche ed infrastrutturali delle aree urbane meridionali rispetto al Centro -
Nord, ma soprattutto di efficienza nelle gestioni dei servizi di pubblica
utilità, si possono segnalare i risultati di una recente indagine svolta da
SPS, che confermano le valutazioni della SVIMEZ, secondo i quali le dotazioni
di verde pubblico, parcheggi, asili nido e l'efficienza dei servizi di
assistenza scolastica, culturali, di smaltimento dei rifiuti solidi urbani
ecc., sarebbero nettamente inferiori nelle quattro maggiori città meridionali
(Napoli, Bari, Palermo e Catania) rispetto alle altre grandi città italiane (v.
SPS Sistema Permanente di Servizi, 4°
Rapporto sullo stato deipoteri locali - 1987,
Roma, 1987).
[15] Una sintetica rassegna sulle metodologie
di delimitazione delle aree metropolitane e sune loro recenti applicazioni a
livello internazionale è in P. Hall e D. Hay, Growth Centers in the European Urban System, London, Heinemann
Educational Books, 1980. In Italia i problemi connessi ai diversi criteri di
delimitazione sono stati ampiamente discussi in U. Marchese, Aree metropolitane e nuove unità
territoriali in Italia, Genova, ECIG, 1981.
[16]Una valutazione aggiornata della efficacia
dell'approccio economico - funzionale è in Roger D. Clark, John P. Roche, Functional Typologies of Metropolitan Areas:
An Examination of Their Usefulness, in «Urban Studies», vol. 21, n. 1,
febbraio 1984.
[17] Cfr.
C.P. Kaplan, T.L. Van Valey, Census 80:
Continuing the Factfinder Tradition, Washington U.S. Department of
Commerce, Bureau of the Census, 1980.
[18] Cfr. P. Hall e D.
Hay, op. cit.
[19] Si tratta essenzialmente, oltre a P. Hall, D. Hay, Growtb Genters... cit., e P. Cheshire e al., Urban Problems... cit., della nota ricerca condotta, all'interno del «The Costs of Urban Growth (CURB) Project», da L. Van Den Berg e al. e pubblicata nel volume Urban Europe, A study of Growth and Decline, London, Pergamon Press, 1982.
[20] Cfr. ISTAT‑IRPET, I mercati locali del lavoro in Italia, bozza presentata al Seminario «Identificazione di sistemi territoriali: Analisi della struttura sociale e produttiva in Italia», Roma, dicembre 1986
[21]. Sui criteri di delimitazione delle aree
metropolitane utilizzati dalla SVIMEZ, cfr. S. Cafiero, A. Busca, Lo sviluppo metropolitano in Italia,
SVIMEZ, Milano, Giuffré, 1970; S. Cafiero, Nuove
tendenze dell'urbanizzazione in Italia e nel Mezzogiorno, in «Informazioni
SVIMEZ», n. 4, 1980; D. Cecchini, Nota
sulle aree urbane meridionali, in «Studi SVIMEZ, nn. 11‑12, 1983.
[23]Essendosi convenuto, per ovvi motivi di signíficatività nella analisi dinamica, di mantenere fissa la soglia di 100 attivi/kmq ai censimenti 1971 e 1981, i valori per gli addetti sono risultati rispettivamente pari a 70,4 add/kmq e 92,8 add/kmq.
[24]Sotto questo profilo gli indicatori adottati sarebbero
ancora grossolani e, basati come sono su dati statistici relativi ai singoli
comuni ‑ la cui ampiezza territoriale, come è noto, è estremamente
variabile ‑, si rivelerebbero inadeguati per una dettagliata rilevazione
delle singole aree.
[25] Nel Centro‑Nord l'introduzione di
tale indice ha consentito di rilevare estensioni significative: delle aree
metropolitane di Torino e Milano (rispettivamente ampliatesi di 17 e 71 comuni
nel decennio 1971‑8 l); l'estensione e la reciproca saldatura delle aree
urbane di Vicenza e Verona ( + 19 comuni) e la loro virtuale congiunzione con
quella di Bassano ( + 6 comuni); l'estensione dell'area metropolitana di Padova
e Venezia fino a includere Befiuno (+ 23 comuni), la costituzione della nuova
area urbana di Pordenone; la saldatura ed estensione lungo la direttrice
emiliana delle aree urbane di Parma, Modena e Bologna ( + 10 comuni); la
continuità della direttrice adriatica da Ravenna fin quasi all'area urbana
media‑adriatica (Alba Adriatica e Giulianova) di nuova costituzione; la
estensione delle aree metropolitane della Liguria meridionale e della Toscana
(Firenze‑Prato, + 6 comuni; La Spezia‑Massa C.‑Pisa, + 8
comuni). Nel Mezzogiorno, viceversa, lo stesso criterio ha dato esiti molto
meno rilevanti: se si eccettua l'arca medio‑adriatica di nuova formazione
(pressoché totalmente inclusa nella provincia di Teramo ma solo perciò, in
effetti, da attribuirsi al Mezzogiorno) essi si riducono alla inclusione di
Avellino nell'area metropolitana di Napoli (+ 14 comuni) e a limitati ampliamenti
dell'area urbana di Siracusa (+ 3 comuni) mentre le altre estensioni delle
aree, comunque esigue, sono determinate da processi di conurbazíone soprattutto
residenziali.
[26] Cfr. P. Costa, E. Canestrelli, Agglomerazione urbana localizzazione
industriale e Mezzogiorno, SVIMEZ, Mílano, Gíuffrè, 1983, pp. 54 ss.
[27]
Su questi aspetti è di notevole interesse il
saggio di B. Secchi, Nuove tecnologie e
territorio in A. Ruberti (a cura di), Tecnologia
domani, Bari, Laterza, 1985.
[28] Cfr. SVIMEZ, Rapporto 1987sull'economiadelMezzogiorno, parte III, cap. 2. Sugli
aspetti diffusivi e reticolari delle nuove tendenze insediative sono essenziali
i recenti lavori di G. De Matteis, ed in particolare Contro‑urbanizzazione e strutture reticolari in G. Bianchi,
I. Magnaní (a cura di), Sviluppo
multiregionale: teorie, metodi, problemi, Milano, Angeli, 1985; Contro‑urbanizzazione e
deconcentrazione: un salto di scala dell'organizzazione territoriale in R.
Innocenti (a epra di), Piccola città e piccola impresa, Milano, Angeli, 1985.