Dinamiche delle funzioni urbane e Mezzogiorno [1]

D. Cecchini – G. Goffredo

 

 

  1. Premessa

 

È stata autorevolmente avanzata, di recente, l'ipotesi secondo la quale il ciclo della «controurbanizzazione» nei paesi industrializzati si sarebbe concluso, tra la fine degli anni '70 ed i primi anni '80: da allora si sarebbe avviato un nuovo ciclo di «riconcentrazione» verso le regioni centrali altamente urbanizzate («core region»), meno intenso di quello degli anni '50 e '60 e tuttavia percettibile (Cochrane e Vining, 1988).

Nel successivo dibattito è stata proposta, a conferma e spiegazione di tale ipotesi, una riconsiderazione del rapporto tra «onde lunghe» dello sviluppo economico e cicli di urbanizzazione (alle fasi ascendenti delle prime corrisponderebbero periodi di forte immigrazione urbana, e viceversa: Berry, 1988); sono state anche formulate congetture circa la rilevanza che la ripresa economica degli anni '80, le nuove tecnologie e gli orientamenti neoliberisti assunti da diversi governi avrebbero avuto su tali processi di «riconcentrazione» (Mera, 1988).

Per quanto i temi sollevati siano di evidente interesse, la natura dei dati (relativi esclusivamente ai flussi migratori) e l'estensione sovra‑regionale delle aree cui essi si riferiscono, non sembrano in grado di dar conto degli effettivi processi di trasformazione urbana in corso (Cafiero 1990)[2]. La difficoltà è poi aggravata dal fatto che la differenza tra i saldi negativi registrati nelle «core region» fino alla fine degli anni '70 e quelli positivi, ma comunque prossimi allo zero, dei primi anni '80 è, soprattutto nei paesi dell'Europa occidentale, talmente esigua da far pensare ad un affievolirsi dei fenomeni di controurbanizzazione ‑ o anche ad un loro arresto ‑ piuttosto che ad una effettiva ripresa della crescita metropolitana (Frey, 1988). Quanto all'Italia poi, come osservano gli stessi promotori del dibattito, il virtuale arresto delle migrazioni interregionali e il contributo decisivo fornito dall'incremento naturale all'aumento della popolazione meridionale, riducono ulteriormente, almeno per ora, la significatività della ipotesi di una riconcentrazione metropolitana determinata da flussi migratori nuovamente centripeti.

In effetti, se si adotta una scala territoriale inferiore e si assume come riferimento il sistema urbano italiano definito in precedenti ricerche (v. Fig. 1), i dati demografici disponibili mostrano nel Nord una accentuazione delle tendenze alla controurbanizzazione fino a tutto il 1987 e, per lo stesso periodo, una estensione della suburbanizzazione nel Mezzogiorno (Cafiero e Cecchini, 1989).

Il differente rapporto tra centri e periferie delle aree urbane nella localizzazione delle residenze costituisce però solo uno degli aspetti che hanno reso diversi i processi di urbanizzazione degli ultimi quindici anni nel Nord e nel Mezzogiorno d'Italia. Altri, certo non meno rilevanti, riguardano la evoluzione delle funzioni urbane.

È ben noto che carattere decisivo delle trasformazioni urbano‑territoriali avviatesi in Italia negli anni '70, ancor prima in altri paesi europei, è la accelerata specializzazione delle basi economiche urbane, ed in particolare di quelle delle città centrali, in funzioni direzionali e nelle attività di servizio ad esse connesse, (Stanback e al. 1981; Scott, 1982; Cafiero, 1984; Gibelli, 1986; Bianchi e Magnani, 1985).

Tale crescente specializzazione, le cui connessioni con l'innovazione tecnologica e con la crescente internazionalizzazione delle economie sono state ampiamente indagate, è la risultante di due processi

 

 

 

 

 

concomitanti: a) riduzione assoluta dei posti di lavoro industriali nelle città centrali, loro decentramento nelle periferie delle aree urbane e nei territori non urbani; b) forte aumento dei posti di lavoro terziari nelle città centrali e, in alcuni casi, nei centri minori delle periferie metropolitane (Ewers e al. 1986; Begg e Cameron, 1988).

Nei successivi paragrafi, dopo un sintetico richiamo ai criteri di definizione del sistema urbano ed ai principali risultati delle precedenti ricerche sugli andamenti demografici (par. 2), si analizzano i due processi richiamati (parr. 3 e 4) e si illustrano alcuni aspetti dei problemi di intervento che essi comportano (par. 5).

 

 

  1. Criteri di definizione e dimensioni del sistema urbano preso in esame

 

Il significato attribuito ai termini di città, città centrale, area urbana, area metropolitana, ed i criteri di delimitazione territoriale progressivamente messi a punto nelle ricerche della SVIMEZ sono stati illustrati in precedenti occasioni, alle quali si rinvia (Cafiero e Busca, 1970; Cafiero, 1980; Cecchini, 1988). Ci si limita a ricordare che nelle ricerche ora in corso si considerano aree urbane o metropolitane[3] quei comuni, o aggregati di comuni contigui, che oltre a superare i 100.000 abitanti residenti, raggiungono una densità territoriale di attivi o addetti extragricoli superiore, per ciascun comune, a determinate soglie[4]; all'interno di tali aree si considerano «città centrali», cioè poli o sub‑poli urbani con funzioni attrattive o preminenti, tutti i comuni con più di 100.000 abitanti e quelli la cui popolazione, compresa tra 50.000 e 100.000 abitanti, rappresenta più della metà della popolazione della rispettiva area o che sono prevalentemente destinatari di spostamenti giornalieri per motivi di lavoro; gli altri comuni, compresi in ciascuna area urbana ma non costituenti né poli né sub‑poli urbani sono indicati come «periferie»[5].

I criteri ricordati hanno naturalmente un carattere convenzionale e consentono una rappresentazione solo largamente approssimata della realtà urbana nazionale. Essi non si propongono né una esatta individuazione dei confini delle aree urbane o metropolitane[6], né di restituirne la straordinaria e crescente complessità fisica e funzionale; essendo di natura evidentemente «areale», i criteri adottati sono inoltre soggetti a molti dei limiti propri di questo tipo di rappresentazione (De Matteis, 1989) e tengono solo indirettamente conto della effettiva entità dei flussi di pendolarismo giornaliero[7]. Pur con tali limiti, essi sembrano tuttora adeguati agli obiettivi delle ricerche in corso che, si ricorda, sono quelli di una valutazione, a livello nazionale, dell'entità, delle caratteristiche e delle tendenze del fenomeno urbano e dei diversi problemi che tali tendenze pongono nel Nord e nel Sud del Paese. E’ inoltre opinione degli scriventi che effettivi avanzamenti, sul piano conoscitivo ed anche su quello operativo, sarebbero conseguibili non solo e non tanto attraverso la messa a punto di criteri più sofisticati ed aderenti a specifiche situazioni (ma perciò necessariamente ad esse vincolati e di difficile applicazione alla scala nazionale) ma soprattutto attraverso la adozione, in sede nazionale e in occasione dei censimenti, di criteri univoci per la definizione di unità territoriali di tipo urbano e metropolitano.

L'entità, l'articolazione territoriale e le dinamiche demografiche del sistema urbano italiano negli ultimi 15 anni sono state descritte recentemente (Cecchini 1988, Cafiero e Cecchini 1989). Ci si limita ora a richiamarne gli aspetti salienti[8]. Complessivamente nelle 39 aree urbane individuate, e nelle loro 63 città centrali, risiedevano, a fine '87, 31,7 milioni di abitanti, pari al 55% della popolazione nazionale, ed erano localizzati (censimento '81) 10,8 milioni di posti di lavoro extragricoli, pari al 65 % del totale nazionale.

Nel corso degli anni '70 e dei primi anni '80 la diffusione urbana ha virtualmente saldato in un unico sistema le grandi aree padane e venete, ha congiunto la direttrice emiliana a quella adriatica fino a Pescara ed ha notevolmente ampliato le aree liguri e toscane; all'interno di questo sistema, e soprattutto tra le aree della “Padania” che costituiscono ormai la porzione meridionale della «megalopoli europea» (Brunet, 1989), la controurbanizzazione demografica e funzionale ha dato un impulso decisivo alla formazione di strutture insediative reticolari e tendenzialmente policentriche tra i cui nodi urbani si rafforzano rapporti di complementarietà e integrazione non gerarchica (Emmanuel e De Matteis, 1989). La popolazione residente nelle 23 aree urbane del Nord (22,9 milioni di unità) corrisponde al 63% della sua popolazione complessiva su un territorio pari al 15%, con un numero di posti di lavoro extragricoli pari al 69% del totale circoscrizionale.

Nel Mezzogiorno, ove non si sono registrati rilevanti fenomeni di saldatura fra le diverse aree urbane, separate geograficamente e funzionalmente e tra le quali non si manifestano formazioni insediative di tipo «reticolare», la popolazione urbana ascende a circa 8,8 milioni di abitanti, pari al 42 % della popolazione meridionale, su di un territorio pari al 6% e con un numero di posti di lavoro extragricoli pari al 51 % del totale.

Differenze notevoli, sempre a livello aggregato, si sono riscontrate (v. prospetto seguente)[9]:

-        nella densità insediativa media delle aree, più elevata nel Mezzogiorno che nel Nord ma esclusivamente a motivo delle altissime densità delle «periferie» meridionali (1.104 ab/Kmq contro 601 nel Nord);

-        nei ritmi di crescita demografica, ancora molto intensi nelle «periferie» meridionali (+9,5% tra il 1981 e il 1987 contro +2,8% nel Nord);

-        nelle tendenze della localizzazione residenziale, caratterizzate nel Mezzogiorno anche nel corso degli anni '80 dalla progressiva saturazione di corone concentriche attorno alle città centrali, o di direttrici radiali, secondo modalità tipiche della sub‑urbanizzazione;

-        nella articolazione interna delle aree urbane, molto più polarizzata e con scarsi sintomi di strutture policentriche nel Mezzogiorno (due sole aree, quella di Napoli e quella di Pescara, hanno più di una città centrale);

-        nella debolezza dei rapporti funzionali tra le aree urbane meridionali, soprattutto le maggiori, i cui flussi largamente prevalenti di comunicazione sono diretti ai grandi poli metropolitani esterni (Bonavero, 1989).

 

 

 

 

  1. La despecializzazione industriale delle aree urbane

 

Il primo dei processi richiamati in premessa (riduzione dei posti di lavoro industriali nelle città centrali, loro decentramento nelle periferie e nei centri minori esterni alle aree urbane) può essere introdotto attraverso alcuni dati generali.

Nel corso degli anni '70 le città centrali del Nord hanno perso oltre 150 mila posti di lavoro industriali, cioè uno ogni dieci esistenti all'inizio del decennio (v. Tab. A1). Poiché la crescita industriale nelle periferie, che hanno accolto molti degli impianti trasferiti dalle città centrali, è stata più che compensativa, il saldo complessivo delle aree urbane è rimasto, seppur di poco, positivo. Le nuove localizzazioni si sono comunque indirizzate soprattutto verso i territori esterni alle aree urbane, che hanno espresso oltre i 2/3 dell'incremento netto degli addetti industriali. Nel Mezzogiorno viceversa l'incremento degli addetti industriali, in complesso relativamente più sostenuto di quello del Nord, si è localizzato per una quota prevalente (120 dei 215 mila nuovi posti di lavoro) nelle aree urbane distribuendosi, al loro interno, sia nelle città centrali ( + 23 mila) sia, ed in misura maggiore, nelle periferie (+ 97 mila). In termini assoluti e relativi la crescita industriale degli anni ' 70 è stata nel Mezzogiorno, a differenza che nel Nord, soprattutto urbana e metropolitana.

Il confronto fra incrementi o decrementi degli addetti a specifiche attività (industriali o terziarie) nelle diverse parti del territorio non consente tuttavia di apprezzare la effettiva «specializzazione», o «despecializzazione» di queste ultime, per valutare la quale occorre tener conto dei contemporanei incrementi o decrementi di tali attività nell'intera economia nazionale.

Si è quindi fatto ricorso al calcolo dei «quozienti di localizzazione» (d'ora in poi ql) i quali esprimono, come è noto, il rapporto tra la quota degli addetti a una determinata attività in una determinata area (città centrale, periferia, area urbana, territorio non urbano) e la quota degli addetti alla stessa attività in un'area di riferimento più vasta (Italia)[10]. Un ql superiore a 1 (o a 100, come nel nostro caso, essendosi convenuto, per comodità di lettura, di moltiplicare per 100 tutti i valori dei ql) indica che la presenza di una certa attività in un'area urbana è relativamente più importante, rispetto all'insieme delle attività dell'area, di quanto non lo sia nell'area di riferimento: l'area urbana dunque «si specializza» in quella attività la quale, secondo la classica terminologia della teoria della «base economica», può essere anche definita come una attività «di base» per l'area.

Il fenomeno della despecializzazione industriale delle aree urbane verificatosi negli anni '70 è sintetizzato nella Tab. A2: l'industria manifatturiera è definitivamente uscita dalla base economica delle città centrali del Nord, come segnalano i valori dei ql tutti in riduzione e inferiori a 100; la specializzazione industriale delle periferie, pur ancora rimarchevole, è diminuita soprattutto per le industrie tradizionali (ramo 4) e per quelle che richiedono un maggiore utilizzo di suoli per unità di prodotto (ramo 2): per queste ultime il valore del ql è ormai più elevato nei territori non urbani che nelle periferie. Le industrie per le quali la specializzazione urbana si è mantenuta elevata, ma solo grazie ad una relativa tenuta nelle periferie, sono quelle meccaniche (ramo 3) e in particolare quelle elettriche, elettroniche e dei mezzi di trasporto, che comprendono alcuni dei comparti a più elevato contenuto tecnologico. L'unica classe di attività manifatturiera che presenta una specializzazione urbana, sia centrale che periferica, crescente dal 1971 al 1981 è quella della carta, stampa ed editoria, al limite tra produzione industriale e funzioni di direzionalità culturale.

A motivo del minore tasso di industrializzazione e della minore ampiezza del sistema urbano, questo processo di decentramento selettivo non si è verificato nel Mezzogiorno: il numero dei posti di lavoro nell'industria è cresciuto, in termini assoluti e relativi, sia nell'insieme delle città centrali (tranne che per le industrie tradizionali) sia nelle periferie[11]. I valori dei ql sono quindi generalmente aumentati ma, dati i bassi livelli iniziali (1971) solo in pochi casi, e nelle periferie più frequentemente che nelle città centrali, divengono superiori a 100 nel 1981[12].

Molti indicatori suggeriscono la prosecuzione di queste tendenze della localizzazione industriale almeno fino alla prima metà degli anni '80 (Progetto Milano, 1985; Garofoli e Magnani, 1986; SVIMEZ, 1989). Ma, come evidenziano anche i più recenti dati regionali dell'ISTAT, il manifestarsi anche nel Mezzogiorno di marcate riduzioni della presenza industriale nelle maggiori città non sembra connesso a processi «fisiologici» di decentramento produttivo verso le periferie o i territori extraurbani, bensì a perdite secche di occupazione industriale per l'insieme delle economie regionali (Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna in particolare), ben più gravi di quelle occorse nelle regioni del Centro‑Nord[13].

 

 

  1. La crescente specializzazione terziaria

 

Più articolato è il secondo dei processi richiamati, e cioè la crescente specializzazione terziaria delle aree urbane. È noto come le convenienze localizzative dei diversi comparti di produzione di servizi differiscano notevolmente non solo in relazione al loro essere, o non essere, destinabili alla vendita, ma anche, e soprattutto per i primi, alle condizioni sia di domanda che di offerta (maggiore o minore propensione alla esternalizzazione, allo scambio attraverso le reti di impresa e/o tra imprese diverse) (Noyelle e Stanback, 1984; Cappellin, 1986; Coffey e Polèse, 1987; Cafiero, 1989).

I primi risultati della ricerca in corso confermano valutazioni formulate per altre aree, settentrionali o europee, e consentono una prima considerazione delle diversità che tale processo presenta nei sistemi urbani del Nord e del Sud d'Italia:

-        a livello aggregato (Italia) 11 dei 15 comparti in cui si sono raggruppate le attività di servizio[14] risultano «di base» nelle aree urbane e ciò esclusivamente in virtù delle elevate e crescenti specializzazioni delle loro città centrali. È dunque nei « cores» delle aree urbane che si è verificato, con la massima intensità, il processo di conversione funzionale (v. Tab. A3, sez. A);

-        i servizi che mostrano una specializzazione urbana centrale elevata e crescente[15] sono il credito, le assicurazioni, i servizi alle imprese, alcuni servizi di trasporto e comunicazione; molto alta anche la specializzazione delle città centrali in servizi di ricerca e sviluppo per i quali tuttavia non è possibile un confronto intercensuario. Specializzazioni elevate, ma decrescenti, nelle città centrali si riscontrano per il commercio all'ingrosso, gli intermediari del commercio ed i servizi ausiliari del trasporto: il forte aumento dei ql nelle periferie, con valori 1981 ormai prossimi a 100 (soprattutto per il commercio all'ingrosso) conferma la tendenza di questi servizi a seguire il decentramento periurbano dell'industria.

Considerando che i servizi di trasporto e comunicazione sono in larga misura condizionati dalla struttura delle reti fisiche esistenti e dalla pura dimensione urbana (nodi delle reti) e che quelli di comunicazione risentono inoltre, in Italia, della loro natura pubblica[16], i comparti più significativi restano, sotto il profilo della innovazione e delle dinamiche urbane, il credito, le assicurazioni e i servizi alle imprese;

-        valutazioni statiche comparate (1971 e 1981) mostrano come le tendenze localizzative di questi tre tipi di servizi entro i sistemi urbani siano piuttosto diverse fra loro. Le specializzazioni nei servizi assicurativi hanno una distribuzione molto polarizzata: solo 18 su 63 città centrali risultano specializzate, con valori dei ql molto elevati a Venezia e Trieste (sedi di grandi società nazionali) a Milano e a Roma (ove sono rispettivamente localizzati il 25 % e il 22 % del totale nazionale degli addetti assicurativi). Più uniforme è la distribuzione delle specializzazioni nei servizi finanziari (credito) e nei servizi alle imprese, che risultano di base rispettivamente in 54 e in 52 città centrali. I servizi alle imprese, in particolare, presentano, sia al 1971 che al 1981, una distribuzione delle specializzazioni marcatamente bimodale (numerose città con specializzazioni deboli e poche con specializzazioni elevatissime) spiegabile con il fatto che il ristretto gruppo di città nettamente più specializzate al 1971 (Milano e Novara nella grande area metropolitana milanese, Ferrara e Roma) si è alquanto ampliato al 1981 includendo: nell'area milanese, oltre a Milano anche Bergamo, Varese e Como, nelle aree del NEC, Padova, Treviso, Udine e Bologna; nel nord‑ovest Biella; nel sud Avellino. Sulla «diffusione per sub‑poli» di questi servizi torneremo.

 

 

4.1.          Città centrali

 

Il confronto tra le specializzazioni delle città centrali del Nord e del Sud (Tab. A3, sezz. B e C) mette in evidenza alcune significative diversità:

-        fino al 1971 le città centrali meridionali non erano specializzate né in servizi assicurativi né in servizi alle imprese, mentre lo erano, con un quoziente analogo a quello del nord, in servizi finanziari; al 1981 le città si specializzano nei primi due tipi di servizi, con quozienti però ancora di poco superiori a 100, e la specializzazione in servizi finanziari si riduce;

-        specializzazioni molto più elevate nelle città centrali del Mezzogiorno rispetto a quelle del Nord si riscontrano nei servizi di trasporto, con il primato di quelli marittimi;

-        specializzazioni elevate si evidenziano anche in alcuni servizi al consumo di tipo «banale», quali il commercio al minuto e le riparazioni: la sovraddotazione dell'intera economia meridionale in questo tipo di attività, confermata dal fatto che valori altrettanto o più elevati dei quozienti si riscontrano anche per le periferie e per i territori non urbani, sarebbe proseguita anche nel corso degli anni '80, come sembrano indicare i più recenti dati ISTAT regionali.

-        la specializzazione delle città centrali meridionali in servizi di ricerca e sviluppo è molto bassa (ql = 114), pari a poco più della metà di quella delle città centrali del Nord (ql = 201).

Una schematizzazione delle diversità nelle specializzazioni funzionali delle città centrali del Nord e del Sud d'Italia è illustrata nel prospetto seguente ove sono disposti, in ordine decrescente, i valori dei ql medi: alcuni dei servizi ai primi posti nella graduatoria delle città del Nord (trasporti aerei, assicurazioni, ricerca e sviluppo, ausiliari del credito e assicurazioni e servizi alle imprese) sono nelle ultime posizioni della graduatoria delle città del Sud, e viceversa (in particolare trasporti terrestri, commercio al minuto e riparazioni).

 

 

 

Una ulteriore e più dettagliata conferma di questo quadro è fornita dalla applicazione della tecnica fattoriale delle componenti principali alla matrice costruita utilizzando come variabili i ql di 19 classi di attività terziarie calcolati al 1981 per le 63 città centrali[17].

Il primo fattore estratto è associato positivamente, nell'ordine, alla pubblica amministrazione, al commercio al minuto, alle comunicazioni, ai servizi di riparazione, ai trasporti terrestri, ai servizi sociali, di igiene e sanità: il suo asse individua quindi la componente pubblica, «banale» e tendenzialmente non specializzata dei servizi urbani. Il secondo fattore è associato positivamente, e sempre nell'ordine, al noleggio di beni mobili, ai servizi assicurativi, ai servizi ausiliari del trasporto, ai servizi alle imprese, al credito e ai trasporti aerei: il suo asse individua quindi la componente terziaria più dinamica e significativa della conversione delle funzioni urbane.

Nella distribuzione sul piano fattoriale principale le città centrali meridionali risultano chiaramente separate da quelle settentrionali (v. diagramma 1) e possono essere descritte secondo la seguente tipologia:

-        un gruppo (a) di sei città, poli di aree urbane di dimensione media o minore (le tre aree calabresi, quelle di Messina e di Siracusa in Sicilia e quella di Sassari in Sardegna) per le quali la preminenza delle funzioni amministrative di capoluoghi provinciali e la esiguità della componente industriale e «terziario avanzato» della base economica dà luogo a specializzazioni in pubblica amministrazione elevatissime; è inoltre notevole che per due di esse, Siracusa e Sassari, la forte specializzazione in industrie di base delle rispettive periferie non induca corrispondenti specializzazioni in funzioni di servizi urbani; moderne: si potrebbe parlare di «città dell'industria dipendente».

-        sempre con coordinate fattoriali rispetto al primo asse (terziario pubblico e «banale») superiori a quelle di qualsiasi altra città centrale del Nord, un gruppo di 11 città, a sua volta distinguibile in due sottogruppi: il primo (bl) caratterizzato da coordinate fattoriali positive, anche se non elevate, rispetto al secondo asse (terziario alla produzione) è costituito dai quattro poli principali delle

 

 

 

maggiori aree urbane meridionali (Napoli, Palermo, Bari e Catania) cui si aggiungono Cagliari (la cui specializzazione risente probabilmente dell'effetto di insularità della regione di cui è capoluogo) e Pescara (per la quale è forse da ricordare la caratteristica di polo della «direttrice adriatica»). Da segnalare che la posizione di Napoli è contigua a quella di Pisa e inferiore rispetto al secondo asse a quella di ben nove città centrali settentrionali[18]. Il secondo sottogruppo (b2), caratterizzato da coordinate fattoriali negative rispetto al secondo asse, è costituito dai sub‑poli dell'area metropolitana di Napoli (Caserta, Avellino e Salerno) e dalle città di Foggia e Lecce;

-        gli altri due sub‑poli dell'area napoletana (Torre Annunziata e Castellammare di Stabia) presentano valori ancor più negativi rispetto al secondo asse e prossimi allo zero rispetto al primo; analoga collocazione ha la città di Chieti, sub‑polo dell'area di Pescara, e ancor più negativa, sotto il profilo delle specializzazioni terziarie avanzate alla produzione, appare Taranto, la cui base industriale non ha dato luogo ad una modernizzazione dei servizi offerti dalla città (la posizione rispetto al secondo asse è inferiore a quella di Terni ‑ altro polo siderurgico la cui dimensione demografica e di occupazione extragricola è però poco più di 1/3 di quella di Taranto e che può avvantaggiarsi della prossimità a Roma ‑ a quella di Prato e di Lecco, sub‑poli di grandi aree urbane o metropolitane e con popolazione e occupazione extragricola rispettivamente inferiori di due e cinque volte a quella di Taranto).

 

 

 

 

 

4.2.          Periferie

 

Si è detto della decrescente specializzazione industriale delle periferie urbane del Nord. Ad essa fa riscontro un aumento significativo dei quozienti di localizzazione di alcuni servizi alla produzione (commercio all'ingrosso, intermediari del commercio, noleggio) che restano tuttavia ancora inferiori a 100. Fenomeno analogo si riscontra anche in molte periferie meridionali ove il quoziente del commercio all'ingrosso assume, al 1981, un valore piuttosto elevato.

 

Ma mentre nelle periferie settentrionali si sono decentrate, nel corso degli anni '70, anche attività connesse ai tre comparti qualitativamente più significativi del terziario urbano (servizi finanziari, assicurativi e alle imprese), in quelle meridionali si è assistito ad un processo inverso: i valori dei ql di questi servizi si sono addirittura ridotti dal 1971 al 1981 a conferma dell'assenza di processi di diffusione policentrica delle funzioni urbane e di qualificazione funzionale delle periferie.

Il diagramma 2 illustra il diverso comportamento localizzativo dei servizi alle imprese nelle due circoscrizioni nél corso degli anni '70: nel Nord la quota di tali servizi concentrata nelle città centrali è scesa dal 64 al 60% del totale circoscrizionale, ma il loro peso nella economia delle città, in virtù del contemporaneo decentramento delle industrie, è aumentato (conversione funzionale) sicché il valore dei ql, già elevato, è ulteriormente cresciuto (da 164 a 176)[19]; nelle periferie il marcato incremento percentuale (dal 17 al 22% del totale circoscrizionale) ha indotto un corrispondente innalzamento dei ql (da 54 a 64). Nel Mezzogiorno la limitata espansione dei servizi alle imprese si è concentrata quasi esclusivamente, ed ancor più di quanto non sia avvenuto per gli impianti di produzione, nelle città centrali (ove i valori dei ql sono passati da 108 a 151) mentre nelle periferie la quota di servizi presenti sul totale circoscrizionale è variata di poco e i valori dei ql si sono ridotti (da 66 a 63).

 

 

  1. Qualche considerazione finale

 

La conversione delle funzioni dà luogo alla riorganizzazione degli spazi e delle reti urbane, e ne è a sua volta condizionata. Da oltre un decennio la riformulazione delle politiche urbane in molti paesi europei, e il dibattito anche in Italia, si confrontano con i temi della trasformazione, del recupero e della riqualificazione urbana (ocnE, 1983; Gibelli, 1986; Cheshire e Hay, 1989).

All'esterno delle città centrali il sistema territoriale delle grandi aree urbane del Nord è andato evolvendo, come si è accennato, verso formazioni insediative di tipo reticolare e policentrico nelle quali relazioni di complementarietà e sinergia tra i diversi nodi urbani offrono migliori condizioni ambientali alle nuove esigenze della gestione di impresa e della stessa vita civile. Le premesse di tale evoluzione, che sembra costituire una risposta adeguata alle sfide della competizione interurbana, si erano già poste nel corso degli anni '70 ed erano segnalate, come si è mostrato nei paragrafi precedenti, dalla diffusione nei sub‑poli delle maggiori aree urbane, ed anche in centri minori dei loro hinterland, di funzioni prima concentrate nelle città centrali maggiori.

Tali condizioni non erano invece riscontrabili, e stentano ancor oggi a manifestarsi, nella realtà urbana meridionale; sembrano anzi rafforzarsi le tendenze contrarie alla sua partecipazione ai processi richiamati:

-        il virtuale arresto dell'industrializzazione dalla metà degli anni ' 70 e il suo evolvere in alcune regioni, negli anni più recenti (1983‑87), in marcata deindustrializzazione, rappresenta un handicap grave anche per la crescita dei comparti terziari più moderni della base economica urbana; a sua volta la debolezza di tali servizi costituisce un ulteriore fattore ambientale negativo per la localizzazione di nuove imprese;

-         l'ormai generalmente riconosciuta «tendenza centripeta» della innovazione tecnologica, particolarmente accentuata nelle fasi iniziali di un nuovo ciclo (Camagni e Rabellotti, 1988), è stata ed è tuttora un altro svantaggio per lo sviluppo delle componenti più dinamiche delle basi economiche delle città meridionali;

-        il ruolo che le città centrali possono svolgere, di «incubatrici» di nuove imprese nei settori avanzati e ad alto contenuto innovativo, è correlato alla integrazione tra le tre reti decisive per l'innovazione: la rete imprenditoriale e di impresa, la rete della ricerca scientifica, la rete delle amministrazioni locali (Ciciotti, 1986; Gremi, 1987). È soprattutto sul versante della prima e della terza che le città meridionali hanno visto addirittura aggravarsi le proprie condizioni;

-        effetto della mancata riorganizzazione degli spazi e delle reti urbane è la loro retrocessione nelle gerarchie urbane, che debbono ormai considerarsi a scala europea (Brunet, 1989). Ulteriori retrocessioni sarebbero, per il Mezzogiorno, ancor più gravi: qui, come altrove, città e reti urbane costituiscono le principali infrastrutture per lo sviluppo.

L'azione pubblica per la riqualificazione delle città meridionali sulla quale la SVIMEZ ha più volte richiamato l'attenzione, appare dunque oggi più urgente e decisiva che in passato.

Converrà ricordare in proposito che, come si è documentato anche sulle pagine di questa rivista[20], nella maggior parte dei paesi europei, al manifestarsi già negli anni ' 70 di fenomeni di crisi urbana «da conversione funzionale» ha corrisposto la riformulazione, o l'avvio ex novo, di politiche urbane esplicite.

Tali politiche si sono in generale configurate come interventi «centrali» e «straordinari»: centrali perché disposti, regolati e finanziati da provvedimenti nazionali promossi dai governi centrali; straordinari perché aggiuntivi sotto il profilo finanziario (anche se spesso in essi concorrono risorse, locali o non, pubbliche o private) e integrativi, o addirittura sostitutivi, di funzioni e competenze locali sotto il profilo amministrativo e gestionale. Naturalmente il rapporto tra potere centrale e poteri locali costituisce, per tali politiche, un nodo problematico complesso, che trova soluzioni molto diversificate nei singoli paesi della Comunità (Merloni, 1986; Dente, 1989; Gibelli, 1989). Sembra però universalmente accettato il principio secondo cui a problemi di riassetto e riqualificazione urbana imposti da processi di ristrutturazione industriale e di conversione funzionale di origine certamente sovra‑locale, si debba far fronte anche, talvolta soprattutto, con politiche nazionali centrali.

Si potrebbe pensare che tale orientamento sia testimoniato, nel nostro Paese, dalla nomina nel 1987 di un Ministro per le aree urbane e dal moltiplicarsi, negli anni recenti, di provvedimenti nazionali di sostegno a specifiche aree urbane[21]: se però ci si chiede se tali provvedimenti configurino una esplicita politica urbana e se in particolare questa, qualora riconoscibile, tenga conto della diversa natura ed entità che i problemi di riqualificazione urbana presentano nel Mezzogiorno e nel Nord del Paese, la risposta non può che essere negativa. Si ha anzi l'impressione che i provvedimenti assunti nei confronti di alcune tra le maggiori città meridionali ‑ da Napoli a Palermo a Reggio Calabria ‑ abbiano il carattere di «provvedimenti tampone» nei confronti di crisi locali particolarmente acute, piuttosto che di sostegno a programmi organici di riqualificazione urbana. Ed è difficile anche solo immaginare che provvedimenti di tale natura, sostanzialmente finalizzati a garantire un mero trasferimento di risorse finanziarie per opere pubbliche, possano sortire effetti significativi per il «risanamento e lo sviluppo delle aree urbane meridionali» che pure si dichiara di voler perseguire[22].

In un saggio pubblicato in questo numero della rivista, Salvatore Cafiero indica i due requisiti generali necessari a che l'azione pubblica di risanamento e riqualificazione metropolitana nel Mezzogiorno abbia successo: la unitarietà di coordinamento e controllo degli interventi e la loro multi‑settorialità non solo edilizi ed urbanistici ma di risanamento e sviluppo del tessuto economico sociale.

Ora, da quanto si è venuto dicendo, appare evidente che tale unitarietà dovrebbe essere garantita non solo al livello della singola area, ma anche a quello dell'intero sistema urbano meridionale. Oggi, come tutte le ricerche dimostrano, «il ruolo produttivo e di sviluppo della città non è più univocamente determinato dalla sua dimensione» bensì dalla sua collocazione nella rete urbana e dalla sua capacità di valorizzare, anche in termini competitivi, le proprie vocazioni, risorse e condizioni ambientali, per assicurarsi condizioni di vantaggio nei rapporti di scambio con il resto della rete (Camagni, 1989; De Matteis, 1988); essenziale è quindi la capacità di selezionare ed orientare gli interventi pubblici secondo criteri di complementarietà, integrazione e sinergia tra i diversi nodi urbani della rete. Tanto più nel Mezzogiorno ove quest'ultima appare debole e scarsi i rapporti di integrazione funzionale tra le sue diverse componenti. Selezione e coordinamento difficili da rinvenire nei provvedimenti recenti e che richiederebbero un quadro conoscitivo e programmatico sufficientemente approfondito e costantemente aggiornato.

Vi è di più: mentre nel Nord l'arresto della crescita demografica delle città e di molte aree urbane consente di indirizzare le risorse locali e centrali ‑ verso incrementi qualitativi dell'offerta di servizi pubblici e di modernizzazione dell'attrezzatura urbana anche al fine di sostenere lo sviluppo delle nuove funzioni urbane, nel Mezzogiorno tali obiettivi, indispensabili ad evitare l'ulteriore regresso dell'ambiente urbano, devono conciliarsi con quelli imposti da un aumento della popolazione urbana ancora rilevante e quindi da una domanda crescente di servizi di base.

Inoltre mentre nel Nord, già negli anni '70 e ancor più in seguito, il decentramento di impianti industriali e di attività di servizio, favorendo l'affermarsi di sistemi policentrici e reticolari, ha contribuito alla decongestione delle città centrali ed alla qualificazione de­gli spazi periferici, nel Mezzogiorno l'assenza o debolezza di tali processi e la troppa elevata e crescente polarizzazione centrale delle maggiori aree urbane, postulano che sia l'azione pubblica a promuo­vere risolutamente la decongestione, sostenendo e incentivando modelli policentrici. Nel Mezzogiorno, più che altrove, una politica urbana dovrebbe porsi l'obiettivo della qualificazione delle maggiori periferie metropolitane soprattutto attraverso il rafforzamento delle funzioni e delle attività produttive dei centri intermedi e minori ivi localizzati, la loro reciproca integrazione attraverso efficienti sistemi di trasporto e comunicazione non centripeti, il loro inserimento en­tro una rete di rapporti economici, commerciali, culturali, capace di porli in relazione con ben più ampie aree di mercato. Obiettivo cer­tamente attuale nell'area metropolitana di Napoli, ove negli anni più recenti si è manifestato qualche sintomo di decentramento produtti­vo, ma che dovrebbe essere perseguito anche nelle altre maggiori aree urbane, a Palermo, a Bari, a Catania, a Pescara, ove più gravi appaiono le diseconomie da congestione delle città centrali.

Quanto alla multi‑settorialità degli interventi, non solo l'ormai ampia letteratura in materia, ma la stessa, più che decennale espe­rienza di molti paesi della Comunità dovrebbero aver definitivamen­te chiarito l'inefficacia e la precarietà di approcci fondati esclusiva­mente su interventi di infrastrutturazione fisica. Che riqualificazio­ne e sviluppo di un'area urbana siano possibili solo attraverso un si­stema integrato di interventi produttivi, culturali ed ambientali, ol­tre che infrastrutturali e di riassetto urbanistico, e che il persegui­mento di tali obiettivi richieda strumenti e forme di gestione, di controllo e di verifica degli esiti sufficientemente articolati e flessi­bili, dovrebbe essere acquisizione ormai generalmente condivisa. È forse il concorso di gravi ritardi culturali, di una ripartizione delle competenze amministrative non funzionale e di una eccessiva pres­sione di interessi particolari, che può spiegare perché provvedimenti anche recenti per la riqualificazione di città meridionali restino al di qua di tale consapevolezza.

Si tratta di ritardi i cui effetti appaiono più gravi per il sistema urbano meridionale, per almeno due ordini di motivi. Il primo è che le collettività locali e le Amministrazioni preposte al governo del ter­ritorio, in primo luogo le Regioni e i maggiori Comuni, sono qui me­no in grado che altrove di promuovere e gestire, con autonoma ini­ziativa, quei programmi organici di riassetto e riqualificazione per i quali negli altri paesi della Comunità i governi locali possono contare sul sostegno delle politiche urbane centrali.

Il secondo è che nel Mezzogiorno, più che altrove, un approccio multisettoriale alla riqualificazione metropolitana richiederebbe la individuazione puntuale, la attenta valutazione e il sostegno di tutti i fattori su cui è possibile far leva per quello sviluppo decentrato e policentrico cui ci si è riferiti, quali ad esempio: le specializzazioni produttive locali, il tipo e la qualità delle attrezzature e servizi necessari al loro consolidamento ed all'ampliamento dei loro spazi di mercato; la definizione delle complementarietà funzionali tra i diversi centri, l'integrazione e il completamento delle filiere produttive, pur embrionali, esistenti; il potenziamento degli apparati tecnico‑amministrativi locali in funzione di gestione di sistemi complessi di intervento urbano e metropolitano, e così via. Tale approccio richiederebbe, in altri termini, la mobilitazione di risorse progettuali, imprenditoriali, amministrative e gestionali, e non solo finanziarie, in assenza delle quali l'obiettivo della riqualificazione non resta che una mera intenzione.

Sono questi, in definitiva, alcuni dei motivi per i quali la «questione urbana» dovrebbe effettivamente divenire terreno di uno specifico impegno dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno.

 

 

 

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[1] In questo testo si amplia e rielabora un contributo dal titolo Dinamica delle funzioni urbane in Italia presentato alla X Conferenza Italiana di Scienze Regionali, Roma, 27‑30 novembre 1989.

Testo pubblicato in "Rivista economica del Mezzogiorno", n.2 , 1990

[2] Deve anzi rilevarsi, attorno al concetto di “riconcentrazione” una sorta di «confusione terminologica» che vale la pena di chiarire. Nel dibattito in questione i principali dati di riferimento (Cochrane e Vining) riguardano i flussi migratori tra regioni molto estese (Northeast, Midwest, South e West per gli USA; Nord‑ovest, Nord‑est, Centro e Sud per l'Italia; Ovest, Nord, Centro, Baden Wurttenburg e Bavaría per la RFT, ecc.). Ciò implica che alla migrazione verso alcune di tali regioni, quelle definite «core regions», può corrispondere, al loro interno ed a scale territoriali inferiori, sia una ripresa della crescita demografica delle aree urbane, sia una prosecuzione della controurbanizzazione, e cioè del declino demografico delle aree urbane e della crescita dei centri minori extraurbani. Frey, che si riferisce come Berry a dati relativi alle aree urbane negli USA (SMSe) conclude, ad esempio, affermando che «While 1970s core region declines may bave been strongly linked io the counterurbanization process, post‑1980 core region gains do not appear to signal a return to the metropolis». In ogni caso, che la riduzione o l'inversione delle migrazioni dalle «core» alle «peripheral region» sia o meno connessa ad una ripresa della crescita demografica metropolitana, i termini di «riconcentrazione» o «riaccentramento urbano» spesso utilizzati nel dibattito recente in Italia, alludono a un fenomeno diverso e cioè alla crescente concentrazione metropolitana di funzioni direzionali e di servizi ad esse complementari. Come si argomenterà anche in seguito è questo un fenomeno non contraddittorio ma complementare a quello della “controurbanizzazione” demografica.

[3] L'analisi delle dimensioni demografiche del sistema urbano italiano ha consentito di individuare, a fine 1987, tre gruppi di aree: quelle con oltre 3 milioni di abitanti (aree di Milano, di Roma e di Napoli) che possono essere considerate vere e proprie aree metropolitane; un gruppo di 11 aree con popolazione compresa tra 1,8 milioni e 600 mila abitanti, che possono essere definite «grandi aree urbane»; un più ampio gruppo di 25 aree con popolazione compresa tra 300 mila abitanti e la soglia convenzionale di 100 mila abitanti, che comprende aree urbane di dimensione media o minore ed anche alcuni singoli comuni definibili come «comuni urbani» (Piacenza, Terni, Foggia e Catanzaro) (Cecchini, 1988).

[4] Essendosi convenuto, per evidenti motivi di significatività delle analisi dinamiche, di mantenere invariata la soglia di 100 attivi/Kmq per ciascun censimento, i corrispondenti valori per gli addetti sono risultati pari a 70,4 add/Kmq nel 1971 e 92,8 add/Kmq nel 1981.

[5] Con «periferie» non si indicano quelle parti di città cresciute, soprattutto dal secondo dopoguerra, attorno ai centri storici ed ai loro sviluppi ottocenteschi: alla scala territoriale adottata queste espansioni, più propriamente definibili come «periferie urbane consolidate», risultano quasi sempre interne alle «città centrali» che dobbiamo necessariamente considerare spazialmente coincidenti con i rispettivi confini comunali. Con il termine «periferie» si intende viceversa l'insieme, molto composito e differenziato, di quei territori, edificati e non, nei quali si localizzano attività e funzioni urbane (da quelle produttive, industriali e terziarie, a quelle residenziali, di trasporto, per il tempo libero, ecc.) e che, pur compresi all'interno di un'area urbana, non ne possono essere considerati poli o sub‑poli (città centrali). Secondo tale accezione all'interno delle «periferie» potranno dunque trovarsi anche centri di media dimensione, comunque inferiori a 100 mila abitanti.

[6] Ciascuna di esse ad un esame localmente più approfondito, o ad una delimitazione finalizzata ad obiettivi di altra natura (pianificatori, di attuazione di politiche o interventi specifici, di gestione di servizi ecc.) potrebbe risultare di dimensioni e articolazioni diverse.

[7] V. ad es: l'ipotesi avanzata in Costa e al., 1987; un tentativo di utilizzare metodi basati sugli spostamenti giornalieri per motivi di lavoro per la definizione dei sistemi urbani nazionali è in F. Sforzi, 1989.

[8] V. anche nota 2.

[9] Per un'analisi dei divari Nord‑Sud nei processi di urbanizzazione v. anche: Costa e Canestrelli, 1983; Celant e Morelli, 1985; Viganoni, 1990.

[10] Il calcolo è stato svolto, per le classi di addetti extragricoli (codice ISTAT a 2 cifre) censiti nel 1971 e nel 1981 nei 1.449 comuni facenti parte delle aree urbane e resi confrontabili dall'ISTAT, secondo la classica formula

ql=aij/aj:Ai/A x 100

dove aij=addetti all'attività iesima nell'area jesima (area urbana, periferia, città centrale, territori non urbani); ai =addetti totali dell'area jesima; Ai=addetti all'attività iesima in Italia; A = addetti totali in Italia. L'uso di dati censuari confrontabili ha comportato per il 1981 la riduzione del campo di osservazione dai 10,8 milioni di addetti extragricoli censiti nelle aree urbane agli 8,7 milioni effettivamente confrontabili.

[11] Con riferimento all'industria in senso stretto fanno eccezione, seppure per decrementi molto contenuti, alcune città centrali dell'area napoletana (Napoli, Salerno, Caserta, Torre Annunziata) e inoltre, Pescara, Cosenza, Messina e Siracusa.

[12] L'analisi di dettaglio dei quozienti evidenzia le aree urbane meridionali nelle quali la crescita industriale ha creato o consolidato alcune specializzazioni. Innanzitutto l'area metropolitana di Napoli, e soprattutto la sua estesa periferia, ove si sono consolidate alcune specializzazioni nei comparti elettrici ed elettronici (asse Casoria‑Caserta) e dei mezzi di trasporto (Alfa di Pomigliano, Aeritalia, Ansaldo, ecc.) e verso la quale si sono decentrate dai principali poli urbani alcune produzioni alimentari di base (Sarno‑Nocera), pelli e cuoio, abbigliamento e calzature (queste ultime ancora in parte concentrate a Napoli); l'area diffusa Medadria (costa teramana) con qualche specializzazione nei comparti alimentari non di base, dei prodotti in gomma e in metallo; Chieti e le periferie dell'area di Pescara (prodotti in metallo e pelli e cuoio) con quozienti elevati, nelle due città principali, di industrie della carta, stampa ed editoria; la periferia dell'area di Bari, ove emergono, oltre ad alcuni comparti meccanici, le produzioni tessili, di abbigliamento e calzature del barlettano; l'area di Taranto, ove i grandi impianti siderurgici hanno indotto una presenza significativa di costruzioni in metallo (carpenterie, ecc.) e produzioni di macchine e materiale meccanico; le aree di Messina (qualche specializzazione nelle produzioni in gomma e plastica) e di Siracusa, ove, analogamente a quanto è accaduto nell'area di Sassari in Sardegna, i grandi impianti chimici (Priolo), e chimici e mecca nici (Porto Torres) hanno indotto presenze significative nei settori dei prodotti in metallo della costruzione e riparazione di impianti e materiale elettrico ed elettronico.

[13] Secondo la nuova contabilità regionale elaborata dall'ISTAT e presentata nel novembre 1989, l'occupazione industriale (unità di lavoro) sarebbe diminuita, tra il 1983 e il 1987, del 6,6% nel Centro‑Nord e del 10,1% nel Mezzogiorno. Le perdite più rilevanti, verificatesi in Campania (‑17,9%), Sicilia (‑12,0%), Sardegna (‑11,4%) e Calabria (‑11,0%) sarebbero percentualmente superate solo da quelle occorse, nello stesso periodo, in Piemonte, Val d'Aosta e Umbria.

[14] Ci si riferisce alle attività per le quali si dispone di dati al 1971 e al 1981 fra loro confrontabili.

[15] Quozienti superiori a 100 nelle città centrali e in crescita, tra il 1971 e il 1981 sia nelle città centrali che nelle periferie.

[16] Gli addetti alle comunicazioni sono essenzialmente i dipendenti dell'Amministrazione delle poste e telecomunicazioni.

[17] I primi cinque fattori estratti spiegano i 2/3 della varianza complessiva (66%). I primi due, ai quali ci si riferisce nel testo, ne spiegano rispettivamente il 21 % e il 16%.

[18] Non solo come era da attendersi, a Roma e Milano, ma anche a Trieste, Bologna, Firenze, Genova, Padova, Ancona e Savona che hanno dimensioni demografiche e di occupazione extragricola inferiori da 2 a 16 volte a quella di Napoli.

[19] Si noti, che i quozienti di localizzazione, in questo caso, sono calcolati non più con riferimento all'intero paese ma a ciascuna círcoscrizione.

[20] V.D. Cecchini, 1988.

[21] V. ad esempio quanto previsto dalla L. n. ‑453 del 24‑10‑1987 per «Roma Capitale»; dalla L. n. 99 del 28‑3‑1988 per il risanamento delle città di Palermo e Catania; dalla L. n. 219 del 14‑5‑1981 per le aree colpite dagli eventi sismici del 1980‑81 (in particolare per le vicende della ricostruzione nell'area di Napoli v. svIMEZ, Rapporto 1988 sull'economia del Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna, 1988); dalla L. n. 246 del 5‑7‑1989 per il «risanamento e lo sviluppo della città di Reggio Calabria». V. anche, naturalmente, quanto previsto dal programma triennale 1987‑'89 e dai primi due piani annuali di attuazione della L. n. 64 dell'1‑3‑1986, ed in particolare i contenuti della Azione Organica 6.1 per la «riqualificazione dei sistemi urbani».

[22] Il primo comma de11'art. 1 della L. n. 246 del 5‑7‑1989, ad esempio, stabilisce che «Il risanamento e lo sviluppo dell'area urbana di Reggio Calabria sono di preminente interesse nazionale ed i relativi interventi sono di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili».